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SCIA e tutela del terzo: l'evoluzione giurisprudenziale e gli approdi recenti

La SCIA ha da tempo acquisito un ruolo fondamentale all’interno dell’ordinamento nazionale, soprattutto a seguito dei numerosi interventi legislativi che, negli ultimi anni, hanno cercato di semplificare i procedimenti amministrativi e di liberalizzare numerose attività precedentemente sottoposte alla potestà amministrativa. In tale contesto una delle questioni principali riguarda l’individuazione dei rimedi impugnatori volti a garantire ai terzi adeguate tutele rispetto alle attività sottoposte alla SCIA.


L’impugnabilità della SCIA da parte del terzo: il percorso verso l’Adunanza Plenaria n. 15/2011

La questione dell’impugnabilità della SCIA da parte del terzo è stata oggetto forte dibattito giurisprudenziale e dottrinale, all’interno del quale, a partire dai primi anni duemila, erano emerse due diverse tesi.

  1. Una prima tesi riteneva la SCIA come atto amministrativo tacito non soggetto a liberalizzazione delle attività (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 05/04/2007, n.1550). In particolare, per tale corrente giurisprudenziale la SCIA rappresentava una autorizzazione implicita in grado di formarsi una volta decorsi i termini per l’espletamento delle attività di controllo da parte dell’amministrazione pubblica. In questo modo la segnalazione veniva considerata come un atto liberamente impugnabile con ricorso al TAR dal terzo ritenuto leso a causa del silenzio serbato dall’amministrazione una volta decorsi i termini per l’esercizio dell’attività di controllo (60 giorni o di 30 giorni per l’edilizia).
  2. Una seconda tesi sosteneva invece la natura di atto privato liberalizzato, escludendone la natura provvedimentale. Questa corrente, infatti, aveva inteso garantire una diversa tutela in capo al terzo, il quale poteva unicamente sollecitare l’attività di controllo da parte dell’amministrazione pubblica entro i termini prestabiliti da legge. In questo senso si era pronunciato, ad esempio, il Consiglio di Stato sez. VI, nella sentenza n.717/2009 che aveva sostenuto la SCIA come un atto di un soggetto privato - e non di una pubblica amministrazione (qualificabile invece come mera destinataria) - impugnabile unicamente con un’azione volta all’accertamento della carenza dei presupposti legittimanti l’esecuzione delle attività segnalate. 

Per dirimere il contrasto è intervenuta solo nel 2011 l’Adunanza del Consiglio di Stato che ha provveduto a qualificare la natura della SCIA, affermando a chiare lettere che la SCIA è un atto di natura privatistica e non un provvedimento amministrativo, neppure a formazione tacita. 

Investita della questione, in tale sede l’Adunanza ha avuto anche modo di soffermarsi anche sui rimedi impugnatori della SCIA riconosciuti dall’ordinamento da parte del terzo, precisando che i terzi controinteressati ritenuti lesi della SCIA possono unicamente impugnare il silenzio significativo negativo dell'amministrazione formatosi in seguito al decorso del termine per esercitare il potere inibitorio nei confronti del titolo presentato.

SCIA e tutela del terzo: l'evoluzione giurisprudenziale e gli approdi recenti

In semplici parole, viene così consentita l’impugnabilità della SCIA mediante l’esercizio dell’azione di annullamento avverso al silenzio (ex art. 29 c.p.a.). Nello specifico per utilizzare le parole del Consiglio di Stato “a differenza del silenzio rifiuto, che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo e privo di valore provvedimentale, il silenzio di che trattasi, producendo l'esito negativo della procedura finalizzata all'adozione del provvedimento restrittivo, integra l'esercizio del potere amministrativo con l'adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell'adozione del provvedimento inibitorio”. 

Il successivo passo, volto a recepire il contenuto della sentenza della Plenaria, è poi stato intrapreso dal legislatore il quale nel modificare l’assetto normativo si è tuttavia in parte discostato dalle conclusioni espresse dal massimo consesso amministrativo, andando a limitare parzialmente i rimedi impugnatori esperibili dal terzo rispetto alla SCIA.

Con l’introduzione del comma 6-ter all’art. 19 della l. 241/1990 il legislatore ha invero previsto che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104” (comma introdotto con l. 148/2011).

Il comma in questione ha infatti operato su due fronti:

  • da un lato, ha cristallizzato la natura non provvedimentale della SCIA mentre,
  • dall’altro, ha individuato, in difformità rispetto a quanto affermato dalla Plenaria, che l’unica azione riconosciuta al terzo per impugnare la SCIA è quella avverso al silenzio inadempimento ai sensi dell’art. 31 c.p.a., e non già quella di annullamento ai sensi dell’art. 29 c.p.a.


L’assetto odierno: la tutela del terzo a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 45/2019

Il quadro delineato dall’art. 19 comma 6 ter l. 241/1990 è stato però oggetto di ulteriori dibattiti giurisprudenziali e dottrinali per cercare di comprendere quali fossero i limiti dell’affidamento del privato segnalante rispetto ai poteri di controllo esercitabili dall’amministrazione e quali tutele spettassero al terzo per salvaguardare i propri interessi rispetto alle attività intraprese dal segnalante. 

Nello specifico il dibattito si era concentrato sulla formulazione, del comma 6 ter dell’art. 19, che era stata tacciata di essere lesiva dell’affidamento posto in capo al segnalante in quanto non previsto un termine ultimo per l’esercizio dei poteri sollecitatori da parte del terzo interessato all’esercizio dei poteri inibitori dell’amministrazione.

La svolta è poi giunta dal TAR Firenze che con l’ordinanza interlocutoria n. 667/2017 ha richiesto alla Corte costituzionale di riscontrare al seguente quesito: “Va rimessa alla Corte Costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6, par. 3, del Trattato UE, e 117, comma 2, lett. m), Cost., la questione di legittimità dell'art. 19, comma 6-ter, l. 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui omette di prevedere il termine entro il cui il terzo può avanzare l'istanza di sollecitazione delle verifiche sulla S.C.I.A.”.

Investito della questione il giudice delle leggi, pur evidenziando l’importanza di prevedere nell’ordinamento nazionale termini certi che garantiscano la tutela dell’affidamento del privato, ha affermato che, ai sensi dell’art. 19, comma 6 ter, l. 241/1990 l’amministrazione è pur sempre limitata all’esercizio dei soli poteri espressamente riconosciuti dalla legge (precisamente individuati dall’art. 19 l. 241/1990).

Si legge infatti nella sentenza che: “Le verifiche cui è chiamata l'amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall'art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (oggi pari a dodici mesi n.d.r.) (comma 4, che rinvia all'art. 21-novies)”.

Per il giudice delle leggi, infatti, una volta decorsi gli anzidetti termini (30 e 60 giorni per il controllo e 12 mesi per l’autotutela) la situazione soggettiva del presentatore della SCIA si viene a consolidare in via definitiva sia nei confronti dell’amministrazione che del terzo eventualmente pregiudicato dall’attività sottoposta a segnalazione.

In questo modo la Corte costituzionale giunge a ritenere che l’interesse del terzo all'esercizio del controllo amministrativo trova un limite invalicabile nei termini espressamente previsti dalla legge riconosciti in capo all’amministrazione, con conseguente estensione della tutela dell’affidamento del privato segnalante, il quale non potrà in alcun modo essere destinatario di provvedimenti amministrativi anche laddove sollecitati da eventuali terzi ritenuti lesi dall’attività liberalizzata.

A riprova della bontà del ragionamento la Corte costituzionale ha inoltre evidenziato che la stessa formulazione adottata dal legislatore (“Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione (…)”) fa espresso richiamo a quell’insieme di poteri di verifica, limitati temporalmente, che l’amministrazione detiene solo in forza dell’espressa previsione di legge.

In questo modo:

  1. viene definitivamente ridotto il piano temporale di azionabilità della pretesa del terzo, il quale dovrà accettare la situazione di fatto e di diritto formatasi decorsi i termini dell’amministrazione per lo svolgimento delle attività di controllo o per agire in autotutela;
  2. viene riconosciuto in capo all’amministrazione l’obbligo di attivazione dei poteri di autotutela anche nei casi in cui la sollecitazione del terzo venga effettuata in epoca successiva alla scadenza perentoria del termine di 30/60 giorni per la realizzazione dei controlli “ordinari” (art. 19, commi 3 e 6-bis, l. n. 241/90). Proprio con riferimento ai poteri di autotutela si è anche recentemente espresso il Consiglio di Stato (sez. IV, 11/03/2022, n.1737) che ha avuto modo di precisare che l’autotutela di cui all’art. 19, comma 4, l. 241/1990 differisce dall’autotutela generale (prevista dall’art. 21 nonies l. 241/1990) in quanto nell’ambito dell’edilizia incombe in capo alle amministrazioni (rectius i Comuni) il dovere di controllo effettivo sulle attività poste in essere dai privati anche a fronte di istanze di intervento e/o solleciti da parte di terzi eventualmente lesi.

L’assetto ad oggi vigente consente di trovare un delicato equilibrio tra la tutela del terzo denunciante e, altresì, l’affidamento del privato segnalante che non si trova a doversi scontrare con il possibile esercizio di un potere - temporalmente illimitato - da parte dell’amministrazione pubblica. 

In conclusione, in tale quadro normativo e giurisprudenziale, il terzo ad oggi si trova alternativamente a poter:

  • sollecitare i controlli dell’amministrazione entro 30 o 60 giorni ovvero l’esercizio in autotutela entro 12 mesi;
  • impugnare il silenzio serbato dall’amministrazione ex art. 31 c.p.a. a seguito del mancato espletamento dei controlli sollecitati dallo stesso terzo.

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