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Silvano Zorzi, un ingegnere italiano

In un recente convegno l'amico Giovanni Cardinale evidenziava come nella nostra recente storia dell'ingegneria delle costruzioni vi siano state delle figure con la capacità di coniugare innovazione tecnologica e di processo a forte visione culturale, al punto tale da lasciare un ricordo indelebile della loro attività non solo per gli addetti ai lavori ma a un livello più ampio, e tra questi Silvano Zorzi.

Sono passati 19 anni dal 13 marzo 1994 quando si spegneva a Milano Silvano Zorzi.
Si laureò nel 1945 in ingegneria Idraulica a Padova e in Ingegneria della Costruzioni a l'Ecole Polytecnique di Losanna.
L’anno seguente collaborò a Torino con il Centro Ctudi del Cnr sugli stati di coazione elastici e, tra il 1947 e il 1950, lavorò come progettista prima presso la Società Mantelli di Venezia e poi nello studio dell’ingegner Pietro Vecellio di Milano.
A 29 anni era già titolare di uno studio professionale specializzato in costruzioni in cemento armato e cemento armato precompresso e a 40 Zorzi era presidente della società IN.CO. (Ingegneri Consulenti spa) con uffici a Milano, Venezia e Roma. L'anno successivo divenne consigliere della Giunta esecutiva dell’Anis (Associazione nazionale italiana strutturisti), e nello stesso anno membro della Commissione per il cemento armato precompresso della Fip (Fédération Internationale de la Précontrainte, Parigi) e della Commissione tecnica di studio in seno alla presidenza della Metropolitana Milanese.
In seguito (1964) fu membro del consiglio direttivo dell’Aicap (Associazione italiana cemento armato e precompresso, già Anicap) e dell’Oice (Associazione delle organizzazioni di ingegneria e consulenza tecnico-economica). Tra il 1966 e il 1971 Zorzi fu consigliere segretario dell’Aica (Associazione italiana cemento armato), e nel 1978 ricevette la medaglia della Fip, in occasione dell’ottavo congresso mondiale svoltosi a Londra, quale riconoscimento della sua attività di progettista.
Dal 1979 al 1987 fu vicepresidente dell’Aicap, e nel quinquennio 1980-85 membro del Consiglio direttivo dell’Oice. Nel 1982 venne nominato membro dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Udine, mentre l’anno seguente fece parte del comitato scientifico dell’Oikos e venne premiato dalla commissione internazionale del premio "Pionieri del lavoro italiano nel mondo”.
Nel corso del 1995, a un anno dalla sua scomparsa, gli è fu conferita la medaglia d’oro alla memoria dell’Aicap come "sentito riconoscimento per la sua figura straordinaria di studioso e di progettista che tanti contributi ha fornito allo sviluppo dell’Ingegneria delle costruzioni”.

Un curriculum splendido, che rispecchia una personalità di primo piano dell'Ingegneria italiana che ha collaborato con architetti del calibro di Luigi Figini, Gino Pollini e Vittorio Gregotti..
Tutta la sua produzione muove dalla consapevolezza che i manufatti dell'ingegneria siano architetture permanenti del paesaggio e quindi ne ricerca la leggerezza strutturale, costruttiva e figurativa.
"Una ricerca ricca di innovazione tecnica ed emotiva, che caratterizzò il dopoguerra contribuendo in modo determinante a costruire il paesaggio italiano attraverso una vastissima produzione professionale concentrata principalmente negli incarichi pubblici legati alle grandi strutture, ponti e viadotti che costituiscono l’ossatura del sistema viario autostradale del paese. La continuità del pensiero e dell’opera di Silvano Zorzi risulta evidente se si ripercorrono le tappe delle sue realizzazioni, strettamente collegate all’evoluzione delle tecniche costruttive, dalla fase artigianale dei getti in opera alla prefabbricazione gigante degli impalcati estrusi, in una instancabile ricerca della soluzione migliore in grado di rispondere alla molteplicità di fattori, che rientrano nelle massime opere di ingegneria: razionalità di calcolo, esigenze economiche, tensione innovativa, invenzione statica, rapporto con il paesaggio" (Luca Guoli). Su di lui scrive Angelo Villa, curatore del libro "Silvano Zorzi ingegnere.1950-1990" in Documenti di Architettura Electa 1995, “La posizione moderna di Zorzi dispone la prassi e il sapere dell’ingegneria non tanto ad investigare le potenzialità assolute delle archetipiche figure della statica quanto ad affrontare particolari condizioni progettuali all’incrocio di fattori diversi, tecnici, produttivi, economici oltre che civili…negando di conseguenza, l’autonomia di soluzioni strutturali paradigmatiche o avventurose acrobazie statico-costruttive e …delegando l’invenzione progettuale alla migliore applicazione dei sistemi (o meglio alla loro profonda innovazione), Zorzi dispone l’intuizione statica a misurarsi con il particolare del caso in progetto, tra schema strutturale e procedimento costruttivo”.

Zorzi era quindi un innovatore, un innovatore a partire già dal pensiero. Nella sua relazione "Habitat Duemila" parlando delle costruzioni residenziali del futuro evidenziava come lo sforzo del progettista moderno dovesse essere quello di attribuire "alla struttura portante un ruolo limpido essenziale, al posto di un frammentario artificio statico; il suo inserimento nell'ambiente può soddisfare a criteri di pura funzionalità con esclusione di ogni intento di magniloquenza monumentale, sotto la specie di opera permanente non soggetta a momentanei stili architettonici o mode capricciose ed eseguita con le tecnologie più avanzate del momento; ma può parere fuori dal tempo, testimonio di un durevole rapporto tra correttezza tecnica ed espressività formale".
Ma è nel settore delle infrastrutture che l’opera di Zorzi consegna alla storia dell'architettura e dell'ingegneria il contributo più importante. Sempre Silvano Zorzi affermava che “L’argomento ponti e viadotti, è per ogni progettista responsabile, uno dei temi più affascinanti perché trattasi di opere che a differenza di quelle monumentali, testimoniano la civile volontà dell’uomo di programmare architetture strutturali utili allo sviluppo delle comunicazioni tra i paesi e le genti; ... testimoni solo di un intrinseco rapporto tra correttezza tecnica ed espressività estetica. L’opera da realizzare deve infatti certamente essere la più funzionale, ma nel contempo essa deve configurarsi come un armonico e durevole inserimento nell’ambiente e costituire una visione di per sé appagante. In gergo tecnico, ponti e viadotti sono chiamati opere d’arte maggiori e in effetti il progettista nell’impostarne lo studio, dovrebbe ripercorrere le tappe della creazione artistica. Egli perciò non deve passivamente adeguarsi alla metodologia (costruttiva) del momento deve piuttosto anticiparne gli sviluppi, essere il protagonista delle innovazioni (è terminata l’epoca dello strutturista che disegna sulla scorta della conoscenza delle leggi fisiche e delle elaborazioni matematiche). Di conseguenza, in virtù del progresso tecnologico, oltre che conoscere a fondo i problemi statici e le loro implicazioni matematiche, egli deve anche disporre di mentalità imprenditoriale, determinare i procedimenti costruttivi, conoscere le macchine coinvolte, sapere come sfruttarle nelle diversificate esigenze, essere in grado di preventivare costi e tempi dell’opera”.


Referenze:
Luca Guoli - Silvano Zorzi: Etica della leggerezza (http://www.newitalianblood.com/)
Angelo Villa - Silvano Zorzi ingegnere. 1950-1990 - ELECTA