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Smart and Ethic Cities - parte seconda

la pianificazione dei territori e delle città secondo principi di sostenibilità e eticità

Accelerare la formazione di comunità etiche e di nuovi modelli di pianificazione

PARTE 2

Nei primi mesi del 2014 la programmazione cinematografica ci ha permesso di conoscere la storia di Alan Turing (The Imitation Game), il matematico che ha concepito la “macchina di Turing”, un congegno ideale in grado di manipolare i dati contenuti su un nastro di lunghezza potenzialmente infinita, secondo un insieme prefissato di regole ben definite.

Ideata per dare risposta al “problema di decisione”. Approccio ragionevole: tutto ciò non è realizzabile, neppure a livello concettuale, per le nostre città anche per le più smart, nell’accezione propria delle visioni maggiormente futuristiche. La capacità di costruire la qualità del nostro futuro non è direttamente proporzionale alla quantità di tecnologia che siamo in grado di far “assimilare” ai sistemi locali.

Possiamo per contro impegnarci nel mettere a sistema tutto ciò che sta trasformando sia il ruolo della pubblica amministrazione che la natura stessa del sistema produttivo con le molteplici opportunità offerte dalla “terza rivoluzione industriale”. In questo contesto di trasformazione, e reale superamento, del mondo novecentesco uno degli aspetti che maggiormente sta influenzando la nostra società, come la stessa disciplina urbanistica, è la progressiva smaterializzazione del concetto stesso di limite, di confine. Paragonabile al passaggio dal progetto al processo.

La ridefinizione, ad esempio, del rapporto “luogo-orario-funzione”, determinato dal cambiamento repentino di inizio secolo - ICT e flessibilità lavorativa - mette in discussione il concetto stesso del ruolo del pubblico per come lo abbiamo inteso fino ad oggi.

Abbiamo bisogno di un nuovo modello che sia in grado di generare e rafforzare occasioni nuove di occupazione, da spazio a nuove abilità e creatività, aprendo a nuovi fronti di ridistribuzione delle risorse (accesso e uso di open data, ecc.). Un modello che apra nuovi canali partecipativi, aggregativi e di scelta pubblica per chi oggi, soprattutto i giovani, è escluso dai tradizionali sistemi di rappresentanza e decisione.

Servono quindi nuovi paradigmi in termini ambientali, di cost management, di risorse per il pubblico, di accesso ai servizi. Così come nuovi processi di creazione e ridistribuzione di ricchezza. I membri di una comunità sono allo stesso modo: singoli individui che esercitano diritti e doveri di cittadinanza, utilizzatori di servizi pubblici, soggetti etici che scelgono, produttori di valore e consumatori.

Certo le enunciazioni di principio sono importanti ma la realtà ci chiama a risolvere problemi pratici, come ad esempio un nuovo modus operandi che possa essere contemporaneamente di business e sociale, per il settore delle costruzioni, cosa estremamente complessa nell’attuale fase del mercato immobiliare.

Come sappiamo il massimo efficientamento (energetico, sismico, ecc.) così come la qualità architettonica del progetto oggi non son sufficienti per essere considerati reali acceleratori di processo. Ed è chiaro che non tutti i luoghi, o tutti i sistemi locali, possono essere ugualmente “capaci” di accogliere ed alimentare l’innovazione. Esiste sia un patrimonio genetico (genius loci) del sistema locale sia una diversa capacità di interazione con l’ambiente, ad esempio gli ecosistemi smart.

Quindi prefigurare un differente tipo di processo, e non unicamente un progetto (per quanto bello possa essere), per la ricerca dell’economicità dell’operazione. Costruzione delle provvista economica necessaria, non già nella vendita dell’immobile ex ante e tout court, ma all’interno del flusso di cassa determinato da un processo di servizi correlati.

Per far ciò le nuove tecnologie digitali sono un abilitatore straordinario, tanto che questo tipo di impostazione, solo qualche anno fa, poteva tranquillamente essere catalogata nella categoria “utopie” tanto erano gravosi i costi organizzativi e di gestione.

Oggi però la tecnologia permette di mettere in rete, condividere, produrre e distribuire informazioni e big data in modo assolutamente economico e “personale”, creando un contesto di reale interazione, di “profilazione” delle esigenze, di accelerazione delle opportunità, semplicemente attraverso il terminale che ognuno trasporta con se.

Quindi la singola impresa, o iniziativa immobiliare, può essere intesa come un nodo di un grande network che assume il ruolo di “social hub” sul territorio nazionale per accompagnare alla costruzione ed all’applicazione di nuovi servizi. Un esempio straordinario da questo punto di vista e l’applicativo Nexdoor americano che oggi mette in rete più di 40.000 quartieri nei diversi stati.

È chiaro che se il sistema capace di generare un nuovo modello di offerta (business e social) è costituito da tutti quei soggetti in grado di apportare valore (nuovi servizi) ed innovazione, è l’intero sistema medesimo da coinvolgere già in fase di progettazione e di programmazione. Sviluppare smart and ethic community significa accelerare la formazione di comunità, anche etiche, ed immaginare lo sviluppo di quartieri come una naturale estensione di contesti urbani per accogliere questi nuovi ecosistemi contemporanei.

A questo modello dovrà corrispondere la capacità di definire un quadro coerente dei cluster di opportunità al quale sovrapporre livelli per specifici obiettivi (nuovi modelli di residenza, rigenerazione urbana, riqualificazione patrimonio privato e pubblico, città pubblica, opere di resilienza, paesaggio urbano, centri commerciali naturali, fino anche a processi collettivi come l’albergo diffuso).

Scriveva Bernardo Secchi di come riconoscere il: “Progetto della città contemporanea: “dispersione, frammentazione, eterogeneità, frammistione, accostamento paratattico e anacronistico di oggetti, di soggetti, di loro attività e temporalità, fanno sì che territori e città contemporanei non possono essere affrontati con progetti che si spingano in ogni punto ad un identico livello di definizione , ma ciò non significa che la città contemporanea non possa e non debba essere investita da un progetto concettualmente unitario. Città contemporanea che già esiste, ma resta in attesa di un progetto “.

Una “smart and ethic city” può essere quindi la risposta contemporanea alla complessità, dove le nuove tecnologie, così come l’approccio social, possono svolgere il ruolo contemporaneamente di collante e di creazione di valore, un kintsugi del territorio e della comunità.

Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell'oro. Credono infatti che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventi più bello. Questa tecnica è chiamata appunto Kintsugi. Una figura retorica per comprendere che è possibile creare valori nelle città contemporanee caratterizzate appunto da dispersione, frammentazione, eterogeneità, frammistione.

La tecnologia può essere quindi uno straordinario abilitatore di questo nuovo modo di intendere il territorio, la città ed i quartieri come potenziali cluster di opportunità, perché connette e riconnette con grande facilità e velocità. Creando valore.