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Superbonus 110%: Guida alla scelta delle tecnologie per l’efficientamento energetico per fare il salto di classe

Chiarimenti tecnici relativi alle principali soluzioni per l’efficientamento energetico degli edifici, alla luce della recente pubblicazione del cosiddetto decreto Rilancio

Quest’articolo si propone di fornire alcuni chiarimenti tecnici relativi alle principali soluzioni per l’efficientamento energetico degli edifici, alla luce della recente pubblicazione del cosiddetto “Decreto Rilancio” e del successivo Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, quest’ultimo contenente i requisiti tecnici per l’accesso alle detrazioni fiscali del 110%.

In particolare, si analizzeranno le tecnologie e le soluzioni più promettenti al fine del miglioramento della classe energetica di un edificio (isolamento termico dell’involucro, caldaie a condensazione, pompe di calore, impianti fotovoltaici), evidenziandone gli aspetti che ne rendono interessante l’utilizzo ed i requisiti da soddisfare per l’accesso alle detrazioni.

Contestualmente, però, si farà luce su alcuni punti delicati che, se non verificati attentamente in fase di progettazione, potrebbero inficiare la performance energetica ed economica delle soluzioni analizzate.

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L’isolamento termico dell'involucro

I requisiti di ammissibilità

Ai sensi del Decreto Rilancio (DECRETO-LEGGE 19 MAGGIO 2020, N. 34), per accedere alle detrazioni fiscali nella misura del 110% delle spese documentate è necessario che si realizzi almeno uno dei tre interventi “trainanti” indicati nell’art. 119. 

Il primo dei possibili interventi trainanti consiste nell’isolamento termico delle superfici opache verticali, orizzontali e inclinate che interessano l’involucro dell’edificio, con incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda (verso l’esterno, verso vani non riscaldati e/o verso il terreno).
Affinché questo tipo di intervento trainante risulti ammissibile, è però necessario che i valori della trasmittanza termica degli elementi di involucro, valutata dopo l’intervento, risultino inferiori o uguali ai valori limite riportati in Tabella 1.

Tali valori limite sono differenziati in funzione del tipo di struttura e della zona climatica. Si ricorda in tal senso che il territorio nazionale è suddiviso in sei zone climatiche (dalla A alla F): l’attribuzione della zona climatica dipende dal numero di Gradi Giorno che caratterizzano la località (ad esempio, Catania con 833 Gradi Giorno è in zona B).

Tabella 1 – Valori massimi di trasmittanza per l’accesso alle detrazioni del Decreto Rilancio

Valori massimi di trasmittanza per l’accesso alle detrazioni del Decreto Rilancio

E’ allora utile richiamare la definizione di trasmittanza termica di un elemento di involucro. Essa si indica con la lettera U, e rappresenta l’inverso della resistenza termica totale associata agli strati che costituiscono la parete o il solaio in esame:

formula-trasmittanza-termica.JPG (1)

Nell’equazione (1) è possibile individuare i coefficienti di scambio termico superficiale hoi (lato interno) ed hoe (lato esterno), nonché la sommatoria delle resistenze termiche dei singoli strati (n in totale), ciascuna pari al rapporto tra lo spessore s dello strato e la conducibilità termica λ del materiale.

Per conseguire la trasmittanza desiderata, un intervento di isolamento termico deve in definitiva prevedere l’introduzione, nella struttura esistente, di un ulteriore strato di materiale isolante, caratterizzato da una bassa conducibilità termica. I più comuni materiali isolanti utilizzati in edilizia sono, in ordine crescente di conducibilità:

• Poliuretano (PUR): λ ≈ 0.03 W/(m∙K)

• Polistirene espanso (EPS) o estruso (XPS): λ ≈ 0.038 W/(m∙K)

• Lana minerale (di vetro o di roccia): λ ≈ 0.042 W/(m∙K)

• Fibra di legno: λ ≈ 0.045 W/(m∙K)

• Sughero: λ ≈ 0.045 W/(m∙K)

• Fibra di cellulosa: λ ≈ 0.05 W/(m∙K)

Il valore esatto della conducibilità termica di un materiale deve essere comunque determinato facendo riferimento alla documentazione tecnica fornita dal fabbricante, e maggiorando almeno del 10% il valore dichiarato, per tenere conto del degrado del materiale quando posto in opera.

Lo spessore dello strato di isolante da apporre dipende dalle caratteristiche di partenza dell’elemento di involucro e dal valore di U da conseguire. Si faccia ad esempio riferimento a una classica parete “a cassetta”, con doppio strato di laterizi forati (da 8 cm e 12 cm) ed interposta camera d’aria da 5 cm. Il diagramma di Figura 1 consente di valutare la riduzione della trasmittanza ottenuta aggiungendo uno strato di materiale isolante (polistirene, poliuretano o lana minerale) di spessore variabile, partendo dalla trasmittanza della parete originale, pari a U = 1.2 W/(m2∙K). Analogamente, la Figura 2 si riferisce a un classico solaio in latero-cemento inizialmente privo di isolamento termico, e valuta la riduzione di trasmittanza conseguita al variare dello spesso-re (e del tipo) di isolante introdotto. 

Trasmittanza di una parete “a cassetta” in funzione dello spessore di isolante introdotto

Figura 1 – Trasmittanza di una parete “a cassetta” in funzione dello spessore di isolante introdotto

 Trasmittanza di un solaio in latero-cemento in funzione dello spessore di isolante introdotto

Figura 2 – Trasmittanza di un solaio in latero-cemento in funzione dello spessore di isolante introdotto

Per raggiungere i valori limite richiesti dal Decreto Rilancio sarà quindi necessario introdurre in una parete a cassetta almeno 6-7 cm di isolante a Catania (zona B), o addirittura 11-14 cm a Bolzano (zona F). L’isolamento termico del solaio richiede spessori anche maggiori, pari a 9-11 cm già in zona B.

Si osserva inoltre che i valori limite di trasmittanza di Tabella 1 per le chiusure apribili possono essere facilmente conseguiti con i comuni serramenti in commercio, dotati di doppio vetro, trattamento basso-emissivo e telaio in PVC o alluminio a taglio termico. La sostituzione dei serramenti non è però un intervento trainante, e può usufruire della detrazione del 110% solo se abbinato a un intervento trainante.

Isolamento esterno o isolamento interno?

Una volta definito lo spessore di materiale isolante necessario, il progettista dovrà stabilirne la posizione ottimale, scegliendo fra tre possibili soluzioni: isolamento dall’esterno (cappotto termico), isolamento dall’interno o isolamento in intercapedine.

Per quanto riguarda il cappotto termico, esso rappresenta senza dubbio la soluzione più diffusa ed efficace. Il cappotto termico presenta molteplici vantaggi: garantisce la continuità dell’isolamento termico, con eliminazione di buona parte dei ponti termici, riduce il rischio di formazione di condensa interstiziale in inverno, migliora l’inerzia termica delle strutture, protegge la muratura dagli agenti atmosferici e dagli sbalzi termici. Inoltre, il cappotto termico migliora notevolmente il potere fonoisolante delle pareti esterne, ma solo nel caso in cui venga realizzato con materiali fibrosi (lana minerale, sughero, cellulosa). Meno efficaci in tal senso risultano il polistirene ed il poliuretano, quest’ultimo peraltro sconsigliato per il cappotto termico perché soggetto a notevole degrado se esposto agli agenti atmosferici.

Il cappotto termico non può però essere applicato agli edifici vincolati, cioè sottoposti ad almeno uno dei vincoli previsti dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Decreto Legislativo 42/2004). In questi casi è necessario ricorrere all’isolamento dal lato interno. L’apposizione di isolante dal lato interno presenta notevoli contropartite, in quanto sottrae agli ambienti una non trascurabile superficie calpestabile, aumenta il rischio di formazione di condensa interstiziale in inverno, riduce l’inerzia termica delle strutture e corregge in modo ina-deguato i ponti termici. Alcuni di questi problemi (formazione di condensa, ridotta inerzia termica) possono essere risolti adottando materiali isolanti massivi e traspiranti, come ad esempio i pannelli a base di idrati di silicati di calcio o di calcestruzzo cellulare, con λ = 0.045 W/(m∙K). 

Resta comunque sconsigliata la pratica dell’isolamento dall’interno: per questo motivo, il Decreto Rilancio esenta gli edifici vincolati, nonché gli edifici per cui il cappotto termico sia vietato da regolamenti edilizi, urbanistici e ambientali, dalla realizzazione di interventi trainanti, ed ammette la detrazione del 110% anche in caso di mera sostituzione dei serramenti.

Infine, l’isolamento in intercapedine è un intervento riservato ai soli edifici con pareti dotate di intercapedine. L’introduzione dell’isolante in intercapedine viene effettuata tramite insufflaggio di lana minerale sfusa, fiocchi di cellulosa, granuli di perlite o vermiculite, schiuma di poliuretano. Tale soluzione risulta comunque poco efficace nei confronti dei ponti termici, ed ammette spessori di isolante al massimo pari allo spessore dell’intercapedine.

Criteri ambientali per i materiali isolanti

Ai sensi del Decreto Rilancio (art. 119, comma 1), i materiali isolanti utilizzati devono rispettare i Criteri Ambientali Minimi (C.A.M.) di cui al DM 11 ottobre 2017, pubblicato nella G.U. n. 259 del 6 novembre 2017. In particolare, gli isolanti devono rispettare i seguenti criteri generali:

• non devono contenere ritardanti di fiamma che siano oggetto di restrizioni o proibizioni secondo le normative nazionali o comunitarie;

• non devono avere agenti espandenti con un potenziale di riduzione dell’ozono maggiore di zero;

• non devono contenere catalizzatori al piombo;

• se prodotti da una resina di polistirene espandibile, gli agenti espandenti devono essere inferiori al 6% del peso del prodotto finito;

• se costituiti da lane minerali, queste devono essere conformi alla nota Q o alla nota R di cui al rego-lamento (CE) n. 1272/2008 (CLP)

Infine, se il prodotto finito contiene uno o più dei componenti elencati in Tabella 2, questi devono essere costituiti da materiale riciclato e/o recuperato secondo le quantità minime indicate, misurate sul peso del prodotto finito. E’ quindi cura del progettista accertare la presenza di opportune certificazioni da parte del fab-bricante, che attestino il rispetto dei criteri elencati.

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Tabella 2 – Percentuali minime di materiale riciclato e/o recuperato richieste dai C.A.M.

Percentuali minime di materiale riciclato e/o recuperato richieste dai C.A.M.

Le caldaie a condensazione

Un secondo intervento trainante richiamato nel Decreto Rilancio consiste nella sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti dotati di caldaia a condensazione. Tale intervento è ammissibile sia nel caso di impianti centralizzati che nel caso di impianti a servizio di edifici unifamiliari o di unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari, che siano però funzionalmente indipendenti e dispongano di accesso autonomo dall’esterno. La caldaia a condensazione dovrà essere certificata di Classe A, e la sua installazione dovrà essere accompagnata – laddove tecnicamente compatibile – dall’installazione di valvole termostatiche sui corpi scaldanti.

Come noto, una caldaia a condensazione presenta un rendimento più elevato rispetto alle tradizionali caldaie a gas, anche nel caso in cui queste ultime dispongano di un moderno bruciatore premiscelato. Le caldaie a condensazione sono dotate di uno scambiatore di calore addizionale in grado di recuperare il calore latente dai vapori presenti nei fumi di combustione: la condensazione di tali vapori rilascia una quantità di energia termica pari a circa il 15% del calore di combustione, aumentando così il rendimento della caldaia dal 91-92% – valore tipico di una caldaia tradizionale con bruciatore premiscelato – al 106-107% (con riferimento al potere calorifico inferiore). 

Attenzione alla temperatura dell'acqua di ritorno!

Esiste però un limite di cui spesso non si tiene debito conto: il processo di condensazione può avere luogo solo se i vapori vengono raffreddati sotto la soglia dei 57 °C (temperatura di rugiada), e per questo motivo è opportuno che la temperatura dell’acqua di ritorno in caldaia non superi i 50 °C. Il diagramma di Figura 3 mostra l’andamento del rendimento di una caldaia a condensazione al variare della temperatura dell’acqua di ritorno, e suggerisce che la caldaia a condensazione sfrutta pienamente le sue potenzialità solo per temperature di ritorno inferiori ai 40 °C; diversamente, la resa della caldaia a condensazione si avvicinerà a quella di una normale caldaia a gas, non giustificandone l’elevato costo. 

In definitiva, una caldaia a condensazione può essere utilizzata in modo pienamente efficace solo in impianti termici operanti a medio-bassa temperatura, quali ad esempio gli impianti a pavimento radiante, a ventilconvettori o per la produzione di acqua calda sanitaria. In un impianto termico dotato di radiatori, invece, questi dovranno essere alimentati a temperature non superiori ai 60 °C (cioè con acqua di ritorno a 50 °C): ciò ne limiterà però l’emissione termica rispetto al caso in cui essi lavorino alle normali temperature operative (dell’ordine dei 75 °C) e renderà necessaria l’installazione di un numero maggiore di elementi radianti a parità di potenza emessa. 

Una buona strategia, nel caso di efficientamento di un edificio esistente già dotato di impianto di riscaldamento a radiatori, consiste nell’abbinare l’installazione della caldaia a condensazione a un intervento di coibentazione dell’involucro. Quest’ultimo consentirà di ridurre significativamente il carico termico dei locali, ed i radiatori esistenti – pur alimentati a più bassa temperatura come richiesto dalla caldaia a condensazione – potranno comunque risultare sufficienti al mantenimento delle condizioni di comfort. 

 Rendimento di una caldaia a condensazione in funzione della temperatura di ritorno.

Figura 3 – Rendimento di una caldaia a condensazione in funzione della temperatura di ritorno.

Le pompe di calore

I requisiti di ammissibilità

Altro intervento trainante previsto nel Decreto Rilancio è la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti dotati di pompa di calore, ivi compresi gli impianti ibridi o geotermici.

E’ qui opportuno richiamare in breve il principio di funzionamento di una pompa di calore, con particolare riferimento alla più diffusa versione a compressione di vapori, alimentata da energia elettrica e dotata di valvola di inversione di ciclo che ne permette anche il funzionamento estivo da macchina frigorifera. Sfruttando un opportuno ciclo termodinamico inverso, una pompa di calore è in grado di prelevare una certa quantità di energia termica (indicata con Q1 in Figura 4) da un ambiente a temperatura T1, e di trasferirla verso un ambiente a temperatura T2 > T1. A tal fine è però necessario fornire energia meccanica tramite un compressore, accoppiato a un motore elettrico: l’equivalente termico del lavoro di compressione va a sommarsi all’energia termica Q1, determinando l’entità dell’energia termica riversata nell’ambiente a temperatura superiore (Q2 in Figura 4).

Nel funzionamento invernale, l’ambiente a temperatura T2 coincide con l’utenza da riscaldare, mentre l’ambiente a temperatura T1 può essere l’aria esterna, un serbatoio naturale o artificiale di acqua, o addirittura il terreno nel caso delle pompe di calore geotermiche. Al contrario, nel funzionamento estivo l’utenza da raffreddare si trova alla temperatura T1 e il cascame termico Q2 viene riversato in ambiente (Figura 4).

Principio di funzionamento di una pompa di calore elettrica reversibile.

Figura 4 – Principio di funzionamento di una pompa di calore elettrica reversibile.

L’efficienza istantanea di una pompa di calore si misura tramite il rapporto tra l’effetto utile, cioè la potenza termica sottratta o fornita all’utenza rispettivamente in funzionamento estivo o invernale, e la potenza elettrica necessaria per azionare il compressore. Si parlerà nei due casi di Energy Efficiency Ratio (EER) o Coefficient of Performance (COP).

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La Tabella 3 riporta le prestazioni minime richieste a una pompa di calore elettrica per accedere alla detrazione del 110% prevista dal Decreto Rilancio. Ciascun modello di pompa di calore è individuato da una coppia di termini, corrispondenti nell’ordine al pozzo termico a temperatura inferiore e a temperatura superiore; i valori minimi del COP e dell’EER si riferiscono a specifiche condizioni esterne e interne, come indicato in tabella, e sono ridotti del 5% nel caso in cui la pompa di calore sia dotata di inverter per la variazione di velocità dei compressori. Sarà cura dei fabbricanti fornire opportuna certificazione circa il rispetto dei valori limite da parte delle pompe di calore in commercio.  

Tabella 3 – Prestazioni minime delle pompe di calore per l’accesso alle detrazioni del Decreto Rilancio

Prestazioni minime delle pompe di calore per l’accesso alle detrazioni del Decreto Rilancio

E’ opportuno qui rilevare che la performance di una pompa di calore è fortemente influenzata dalle condizioni operative, e in particolar modo dalle temperature: in funzionamento invernale il COP decresce fortemente all’aumentare della temperatura dell’utenza (T2 in Figura 4). Per questo motivo non è conveniente utilizzare una pompa di calore nel caso di utenze che richiedano aria o acqua a temperature superiori ai 45 °C. Ciò rende questa tecnologia inutilizzabile nel caso di impianti termici dotati di tradizionali radiatori.

Pompe di calore ed energia da fonti rinnovabili

Le pompe di calore presentano oggi valori di COP invernale particolarmente interessanti, soprattutto se utilizzate in località dal clima mite, e ciò le rende spesso preferibili alle caldaie a condensazione. Un altro vantaggio delle pompe di calore rispetto alle caldaie a condensazione consiste nella loro capacità di sfruttare in larga misura energia proveniente da fonti rinnovabili.

Si consideri in tal senso l’esempio di Figura 5, in cui si fa riferimento al funzionamento di un comune climatizzatore di tipo “split”, riconducibile alla categoria delle pompe di calore aria/aria. Immaginando che il climatizzatore operi, in regime invernale, con COP = 4, e che esso trasferisca all’utenza 100 kWh di energia termica, si misura un consumo di energia elettrica pari a 25 kWh. I restanti 75 kWh di energia saranno prelevati dall’aria esterna e trasferiti all’ambiente interno, a temperatura superiore: questa energia termica, liberamente dispo-nibile in natura, è assimilabile ad una fonte di energia rinnovabile. 

E’ quindi possibile affermare che la pompa di calore abbia provveduto al soddisfacimento dell’utenza prele-vando da un fonte di energia rinnovabile il 75% dell’energia richiesta. Ciò presenta notevoli ricadute sul calco-lo del fabbisogno di energia primaria e sulla determinazione della classe energetica per l’edificio, come sarà meglio dettagliato nel capitolo 6.

ontributo di una pompa di calore alla percentuale di copertura da rinnovabili: esempio

Figura 5 – Contributo di una pompa di calore alla percentuale di copertura da rinnovabili: esempio

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L'articolo continua con la trattazione degli:

  • IMPIANTI FOTOVOLTAICI
  • ESEMPI DI SOLUZIONI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA CLASSE ENERGETICA

Si ringrazia l'Ordine degli Ingegneri di Catania per la gentile collaborazione

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