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Terzo condono edilizio: l'esistenza del vincolo va valutata al momento dell'esame della domanda di sanatoria

Consiglio di Stato: se non sussistono le condizioni di rispetto della normativa vincolistica in quel preciso momento (cioè quando viene presentata la richiesta di condono), il titolo in sanatoria non può essere assentito, anche se in ipotesi l'edificazione rispettava tale normativa al momento della sua realizzazione senza autorizzazione.

I limiti del condono edilizio anche conosciuto come sanatoria straordinaria (cioè regolamentato da una precisa norma delle tre uscite in materia, Primo, Secondo e Terzo Condono, e differente dalla sanatoria ordinaria disciplinata dall'articolo 36 del Testo Unico Edilizia) sono spesso al centro di sentenze molto interessanti perché spiegano le regole di un gioco sempre complesso.

E' questo anche il caso della pronuncia n.9805/2022 dell'8 novembre scorso del Consiglio di Stato, relativa al rigetto di alcune istanze di condono edilizio da parte di un comune, dinieghi poi confermati dal TAR competente.

Il silenzio assenso sulle domande di condono

Il TAR ha ritenuto che due fossero i principali problemi in discussione:

  • a) l’avvenuta formazione o meno del silenzio assenso in relazione alle domande di condono inoltrate nel maggio 2004, in virtù della maturazione del termine di legge di 36 mesi di cui all’art. 6, comma 3, della legge regionale Lazio n. 12 del 2004;
  • b) le modalità con cui operano o, meglio, debbono essere intesi i limiti previsti dall’art. 2, comma 1, lett. a), della l.r. Lazio n. 12 del 2004, pari rispettivamente al “venti per cento della volumetria della costruzione originaria” e a “200 mc”, nel senso della definizione del carattere alternativo o meno degli stessi, con connessa facoltà o meno per l’interessato di “seguire la soluzione, fra le due, che riterrà legittimamente applicabile al suo caso” (la cui sussistenza era sostenuta dalla ricorrente).

Secondo il Tar, le condizioni per la sussistenza del silenzio assenso non c'erano in quanto:

  • il comma 27 dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326 (cd. Terzo Condono edilizio), prevede espressamente che, «fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge n. 28 febbraio 1985, n. 47», «non sono comunque suscettibili di sanatoria», tra le altre, le opere abusive «realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e della falde acquifere, dei beni ambientali e paesaggistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici»;
  • tenuto conto di quanto riportato nella indicata previsione, è stata, pertanto, riconosciuta la possibilità di sanare, in virtù delle prescrizioni che disciplinano il c.d. terzo condono edilizio, “opere edilizie” che risultino essere state realizzate – come nel caso in trattazione – in epoca antecedente all’introduzione del vincolo, sempre – però – nel rispetto della prescrizione del già citato art. 32 della legge n. 47 del 1985 (cd. Primo Condono edilizio), ai sensi del quale «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo» (con l’ulteriore precisazione che «il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la Soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria»);
  • sulla base della disciplina che regolamenta la materia la giurisprudenza ha, pertanto, avuto modo più volte di affermare l’impossibilità di configurare il silenzio assenso in caso di abusi edilizi commessi su aree soggette a vincolo o, meglio, di precisare che – essendo la formazione del silenzio assenso subordinata al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo – il termine all’uopo prescritto non può che iniziare a decorrere dalla data di acquisizione di detto parere, tenuto conto, tra l’altro, del carattere prevalente che rivestono le ragioni di tutela paesaggistica e ambientale;
  • in altri termini, la decorrenza del termine de quo non può prescindere dalla presentazione della documentazione “completa”, così come prescritta nelle previsioni di legge (nella specie, l’art. 6 della l.r. Lazio n. 12 del 2004, invocato dalla ricorrente), ma, nel contempo, è stato ordinariamente riconosciuto – nel rispetto del dictum del legislatore – che, ove l’opera interessata dalla trasformazione edilizia sia sottoposta a vincolo, la decorrenza di cui si discute è strettamente dipendente dal rilascio del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, posto che il rilascio della concessione in sanatoria per abusi eseguiti su immobili sottoposti a vincolo presuppone necessariamente il parere favorevole della predetta autorità e, dunque, il silenzio assenso – costituente null’altro che un provvedimento tacito – non può che soggiacere alle medesime regole.

Opera da condonare e salvaguardia del vincolo: le regole

Palazzo Spada da ragione al TAR partendo dalla tesi sostenuta dall’appellante, che può essere sintetizzata così: un vincolo di natura storico-artistico-monumentale imposto su un fabbricato successivamente alla realizzazione di opere abusive da sanare, comporta che il vincolo considera meritevoli di tutela anche i lavori abusivi sì da volerli conservare nella loro integrità fisica. In tale situazione non è necessario il rilascio di un espresso parere favorevole dell’ente tutorio ai sensi dell’art. 32 legge n. 47/1985, essendo esso implicito vista l’esigenza di tutela anche delle opere non assentite dal Comune e la necessità ai fini della loro conservazione di legittimarle anche sotto il profilo urbanistico.

La tesi, secondo il Consiglio di Stato, non può essere condivisa.

Nella sentenza della sez. VI, 06/09/2018, n. 5244 è stato infatti chiarito che la compatibilità dell'opera da condonare rispetto al regime di salvaguardia garantito dal vincolo, al fine di verificare l'effettiva tutela del bene protetto, deve essere valutata alla data dell'esame della domanda di sanatoria.

L'esistenza del vincolo va dunque valutata al momento dell'esame della domanda di condono, con il risultato che, se non sussistono le condizioni di rispetto della normativa vincolistica in quel momento, il titolo in sanatoria non può essere assentito, anche se in ipotesi l'edificazione rispettava tale normativa al momento della sua realizzazione senza autorizzazione.

Il parere dell'autorità preposta al vincolo

L'obbligo di acquisire il parere dell'autorità preposta al vincolo in sede di rilascio dell'autorizzazione in sanatoria, ai sensi dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985, sussiste in relazione all'esistenza dello stesso al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, a prescindere dall'epoca della sua introduzione, quindi anche per opere eseguite prima dell'apposizione del vincolo di cui trattasi.

Nella specie il vincolo è stato apposto successivamente alla realizzazione degli abusi, ma il condono non poteva comunque perfezionarsi, neanche nella forma del silenzio assenso, per la mancanza del parere dell’autorità preposta al vincolo.

Neanche può essere avvalorata la tesi dell’astratta possibilità che l’autorità preposta al vincolo adotti un parere tacito o implicito ai fini della procedura prevista dall’articolo 32 della l. 47/1985.

Questo perché - continua Palazzo Spada - un conto è l’imposizione di un vincolo, un altro uno specifico parere sulla condonabilità di uno specifico abuso.

E non si può ritenere che il secondo possa risultare implicitamente dal primo: diverse sono le premesse, i contenuti e le finalità delle due tipologie di provvedimenti che non possono essere in nessun modo assimilati.

Serve un parere esplicito

A rinforzo, si evidenzia che il Consiglio di Stato, con la sentenza 03/06/1995, n. 533 ha ribadito che il parere si risolve nella dichiarazione di un giudizio destinato ad illuminare e sorreggere l'Amministrazione attiva in ordine alle migliori scelte da adottare fra quelle possibili, sicché un giudizio implicito non potrebbe in alcun caso esplicare quella funzione di consiglio e di suggerimento che rappresenta la connotazione fondamentale del parere: un parere implicito è per definizione privo di motivazione.

Anche per questa fondamentale ragione non è possibile avvalorare la tesi dell’esistenza del parere implicito.

Insomma: il procedimento di condono si perfeziona solo in presenza di un parere esplicito rilasciato dall’autorità preposto al vincolo interpellata specificamente in relazione allo specifico abuso.

Tale parere non può essere sostituito né da determinazioni implicite né da documenti adottati per finalità diverse.

Le regole del Terzo Condono edilizio sui limiti volumetrici

La legge 269/2033 (Terzo Condono edilizio), all'art.25, ha stabilito che le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 47/1985 (Primo condono), e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 724/1994 (Secondo condono) e s.m.i. si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc.

Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi.

Per l'art.26, invece, sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1:

  • a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
  • b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio».

Tralasciando il fatto - non secondario - che la Corte Costituzionale è intervenuta sull'art.26, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'Allegato 1, Palazzo Spada evidenzia che in ogni caso, per il consolidato indirizzo giurisprudenziale, i limiti volumetrici fissati dal comma 25 dell’art. 32 cit. operano non già disgiuntamente, bensì congiuntamente, sicché gli incrementi consentiti non devono essere superiori al 30% della cubatura della costruzione originaria e non possono in ogni caso eccedere i 750 metri cubi (cfr. ad es. C.d.S., sez. VI, 17 dicembre 2013, n. 6042 e 12 settembre 2017, n. 4322). Si veda nei termini esposti anche Cons. Stato, Sez. VI, 18 febbraio 2019, n. 1107.

La sanatoria parziale non è contemplata

La legislazione urbanistica e la giurisprudenza formatasi in materia di condono edilizio escludono, peraltro, la possibilità di una sanatoria parziale, sul presupposto che il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in relazione a singole parti autonomamente considerate.

Pertanto, non è possibile scindere la costruzione tra i vari elementi che la compongono ai fini della sanatoria di singole porzioni di essa (cd. frazionamento dell'abuso edilizio).


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Allegati

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