Dissesto Idrogeologico | Cambiamenti climatici | Incentivi | Sicurezza | Sismica
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Una proposta di riordino del Superbonus

In Italia è necessario sempre più un piano di prevenzione alle calamità naturali attraverso l'uso di incentivi chiari e norme semplificate. Dai dati già rilevati si può partire per attuare una proposta di politiche condivise e interventi concreti.

Terremoti, maremoti, dissesti idrogeologici, cambiamenti climatici, crisi energetica.

Sono emergenze di cui si parla ad ogni tragedia, che generano nuove leggi ad ogni evento, ma che la politica dimentica in fretta. La cultura della prevenzione richiede invece normative semplici, durature e incentivi chiari che consentano piani pluriennali sviluppando una sensibilità diffusa, know how fra i tecnici e investimenti fra le imprese. Da dove partire? Tanti dati sono già in nostro possesso e questa proposta vuole stimolare una soluzione condivisa.

Salvaguardia del costruito: la chiave è la manutenzione

Il corto circuito degli incentivi fiscali è l’ultimo episodio, e forse il più eclatante, di una lunga serie di eventi che hanno visto i principali attori tecnici dell’edilizia emarginati e costretti a subire decisioni e scelte dettate da emotività e urgenza.

Questi aspetti, certamente rilevanti nella definizione della socialità, non possono essere elemento derimente nella scelta di quali tipologie di interventi ammettere a beneficio fiscale e con quale rilevanza. Ancora più sconcertante l’insufficiente utilizzo di un enorme quantità di dati che diversi enti statali e parastatali accolgono sui propri server, spesso utilizzati dopo tragedie o durante conferenze stampa per giustificare scelte in una lettura non olistica dei problemi. E così per parlare di edilizia sui giornali e nei talk show chiamano impresari, politici, climatologi, categorie varie che sono estremamente preparati nel loro settore e spiegano il loro spicchio ma non si accoglie la voce dei tecnici, abituati a gestire un processo complesso, ipernormato, mai banale e intuitivo. Certamente più difficile da riassumere in poche parole in dibatti sempre più “schierati” e conflittuali.

Credo però non possiamo esimerci dal rilevare tutte le anomalie e le mancanze di analisi che hanno portato a scelte estemporanee, dettate da urgenza e mai in grado di comprendere come tali norme non governino un processo temporalmente limitato nel tempo, ma processi e manufatti che possono durare oltre la vita di un individuo.

La salvaguardia del costruito richiede azioni coraggiose e talvolta non comprensibili e condivisibili nell’immediato ma nel lungo periodo. Sempre più spesso si assiste a scelta intraprese per consenso e non per reale consapevolezza del problema. Il rimandare un intervento non è la soluzione ma è ciò che si sta verificando, lasciando al prossimo la risoluzione sempre più onerosa e complicata, perché di questo si tratta.

La specificità tecnica di intervento deve essere supportata dalla politica, ma quest’ultima non può più permettersi di interrompere il flusso dell’intervento del costruito continuamente, con letture non tecniche degli interventi e con modifiche talmente frequenti da non consentire lo sviluppo sereno di un progetto. Si è consci che la realizzazione di nuove infrastrutture costituisce un fiore all’occhiello, ma occorre cambiare la rotta comprendendo che non è la costruzione dell’opera, ma il suo reale mantenimento che costituisce la chiave del cambiamento. Da queste premesse nasce la presente proposta.

La finanza e l’edilizia

Se vi fossero due mondi lontani per finalità, questi sono la finanza e l’edilizia. La finanza attuale vuole fare utili in microsecondi, basando i propri riferimenti sull’innovazione e dove imperi economici nascono, crescono e muoiono in pochi lustri. L’edilizia, deputata a dare riscontri alle esigenze dell’umanità, è e rimane il luogo dell’eterno, dell’immutabile, della costruzione di beni che creano società, bellezza, qualità della vita. Un intreccio fra aspetti tecnici, politici, economici, sociali, elementi che la finanza non può gestire con i suoi parametri tradizionali in quanto difficilmente quantificabili.

Certo ha un ruolo nel processo edilizio, ma con tempi sul ritorno dell’investimento non compatibili con altre operazioni finanziarie.

Trovo quindi fuori luogo, per non dire ingenuo, utilizzare il giustificativo della finanza per analizzare la bontà o meno di alcune misure economiche tese a risolvere criticità emergenti dalla conoscenza tecnica: è un parametro da considerare, ma che rimane ai margini del processo edilizio.

Quali sono quindi i parametri del processo edilizio? Quelli controllati dal D.P.R. 380/01 e s.m.i.:

  • sicurezza d’uso;
  • sicurezza strutturale;
  • sicurezza energetica;
  • rispetto della socialità determinata dagli strumenti urbanistici.

Mi chiedo: dove sono questi parametri nelle scelte degli ultimi due anni in tema di benefici fiscali?

Non se ne parla perché il motore centrale della società, il focus di chi gestisce la finanza pubblica è ormai solo ed esclusivamente uno: i soldi. E così i soldi sono divenuti il perno su cui basare le scelte, in contrasto evidente con il D.P.R 380, con il buon senso, con le conoscenze tecniche che si vanno affinando.

Anche a valle degli ultimi accadimenti in Umbria ci dobbiamo chiedere: quanti edifici sono sicuri? Quante tragedie devono ancora accadere per comprendere che serve un piano di messa in sicurezza del costruito? Quanti risparmi dovranno confluire sui conti correnti di grandi gruppi internazionali per pagare le bollette e impoverire molte famiglie? Quanti morti sono ancora accettabili per malattie cardiorespiratorie?

In definitiva: esiste un costo accettabile per la vita di ognuno di noi? E se esiste, siamo certi che le scelte dei governi siano state tese a garantire l’eguaglianza dei cittadini negli ambiti previsti dalle sue leggi?

La costituzione prevede nei suoi principi all’art. 3 “…..È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

La cultura dell’emergenza deve finire

In Italia manca una vera cultura della prevenzione: nessuno inaugura una strada ben mantenuta, nessuno parla dei costi di questo mantenimento, non fa audience raccontare le buone esperienze di amministrazione. Piuttosto si inaugurano le novità, i nuovismi, l’innovazione che sono ormai il centro unico del pensiero contemporaneo. E quindi non è importante eseguire analisi e scelte tali da garantire una NORMA ORDINARIA in grado di prevenire e gestire le emergenze. Piuttosto si invocano “Commissari ad acta”, “norme speciali”, “decreti legge”. Una deformazione dettata dall’incapacità di analizzare l’esistente, di dibattere e concordare un piano pluriennale per uscire dall’emergenza.

Emergenza che porta poi a episodi tragici i cui costi superano abbondantemente i 5 miliardi annui da decenni, ben oltre i costi che oggi si ritengono “incompatibili”.

I database

L’introduzione della digitalizzazione ha permesso la raccolta di una quantità enorme di dati in tantissimi ambiti: dalle scienze ai servizi, dalla cultura alla finanza. Eppure questi dati continuano ad essere analizzati a compartimenti stagni. Si pensi ai dati Istat o ai portali dell’INGV o di Ispra; o ancora ai portali delle Regioni che hanno redatto analisi di vulnerabilità sismica sugli edifici strategici, o alle mappe regionali di indagini geologiche. Un enorme quantitativo di dati attualmente “inutile”.

La prevenzione invece si basa sull’analisi del rischio, sull’esplicitazione di questi rischi, qualunque essi siano: e l’edilizia interagisce con una moltitudine di rischi che non possono essere relegati, trascurati o dimenticati. A meno di voler continuare con questo modus operandi basato sulla speranza che quanto già accaduto non accada più per mera fortuna.

Per tale ragione l’enorme quantità di dati deve essere condivisa, elaborato e sviluppata per fornire un supporto condiviso e chiaro al legislatore ed uno strumento intuitivo e comprensibile per i concittadini in modo che siano loro a spingere la società verso una nuova direzione.

Lo scenario

Lo scenario attuale presenta indiscutibilmente criticità in tutti e tre i parametri prima indicati:

  • le norme più recenti in ambito sismico sono successive al 2003;
  • i costi energetici sono in costante crescita e cresceranno ancora in futuro, risentendo anche di crisi politiche lontane dai nostri territori;
  • l’età degli edifici in cui vive la gran parte degli italiani è anteriore agli anni ’70 e quindi ad ogni norma strutturale, energetica e di accessibilità.

Lo Stato quindi NON PUÒ sottrarsi dall’individuare norme e modalità per garantire il rispetto dei principi costituzionali.

Il primo passo è stato compiuto con la mappa dei rischi naturali dei comuni italiani ottenuta tramite la condivisione dei dati presenti su diversi portali dello Stato.

CLICCA QUI PER CONSULTARLA

Il portale consente in semplici passaggi di visionare la distribuzione dei rischi in base ai principali parametri, per esempio di seguito in base all’accelerazione sismica massima al suolo.

Similarmente si possono visualizzare anche i rischi frana

Ed ancora i rischi idrogeologici


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Nel pdf si fa un esempio dove vengono presi i dati rilevati da ISTAT generando una mappa riepilogativa, per poi passare all’analisi numerica degli interventi urgenti per determinare le necessità di spesa.

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