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Vecchi abusi edilizi: come si prova la datazione delle opere?

In presenza di un ordine di demolizione, l'onere di dimostrare che le opere sono legittime essendo state realizzate legittimamente senza titolo ante 1967, sicché rientrano fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, incombe sul privato a ciò interessato.

In caso di 'vecchi' abusi edilizi, risalenti a prima del 1967 se non del 1942, chi deve provare la risalenza delle opere? In poche parole: è sempre il proprietario/esecutore dell'intervento a doversi prodigare, con la documentazione più attinente possibile, oppure è l'amministrazione locale che deve provvedere su 'richiesta' dell'interessato?

Un altro, interessante caso che possiamo esaminare è quello relativo alla sentenza 314/2025 del Tar Campania, relativo al ricorso contro un'ordinanza di demolizione per alcune opere peraltro situate in zona vincolata.

 

Il ricorso: è la PA che deve dimostrare la datazione delle opere

Il ricorrente ha posto in discussione l'esistenza di una gran parte delle difformità rilevate dal Comune, sostenendo che l'attuale struttura dell’immobile fosse risalente al 1934 e cioè al momento dell'acquisto da parte del dante causa (padre del ricorrente) e che tale circostanza si sarebbe potuta desumere sia dalla descrizione del manufatto contenuta nello stralcio dell'atto notarile depositato in giudizio che dalla visura d'impianto catastale del 1939, anch'essa affoliata al fascicolo.

L'Amministrazione non sarebbe stata in grado di fornire la datazione delle opere, alquanto risalenti, cosicchè neppure aveva potuto individuare con esattezza la disciplina normativa violata.

La motivazione, proprio in ragione dell'asserita risalenza delle opere, avrebbe dovuto essere alquanto doviziosa tenuto conto dell'ampio lasso di tempo trascorso sia dalla data di presumibile realizzazione delle opere contestate che tra il verbale di accertamento ed il provvedimento demolitorio impugnato.

Insomma: poiché l'attuale struttura del compendio immobiliare sarebbe risalente almeno al 1939 (tenuto conto della planimetria d’impianto) se non al 1934, l'Amministrazione avrebbe dovuto dimostrare la datazione delle opere e motivare in ordine alla disciplina normativa asseritamente violata.

 

Interventi senza permesso prima del 1° settembre 1967: recap

Facciamo un passo indietro e vediamo cosa succede in caso di opere edilizie 'datate' prive del titolo abilitativo.

Infatti, la legge Ponte (765 del 6 agosto 1967), con l'articolo 10 ha modificato l'articolo 31 della legge 1150/1942, estendendo l'obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano.

Prima del 1° settembre 1967, quindi, ovviamente con svariate eccezioni figlie di appositi regolamenti comunali che potevano disporre già la necessità del previo ottenimento del permesso di costruire anche in zone fuori dal centro urbano, l'obbligo di licenza edilizia era limitato a zone urbanizzate e centri abitati (nelle aree non regolamentate).

Ciò significa che, teoricamente, un'opera edilizia realizzata negli anni '30, fuori dal centro urbano, senza titolo abilitativo si potrebbe 'salvare' dalla demolizione, perché all'epoca non serviva la licenza edilizia (sempre che il comune non prevedesse già, con apposito regolamento, la necessità di conseguire un permesso ad hoc).

 

Le violazioni edilizie non vanno in prescrizione

Prima di tutto, il TAR evidenzia che, stante la natura d'illecito amministrativo permanente che connota le violazioni edilizie, il loro rilievo risulta sostanzialmente imprescrittibile, a meno di non dimostrare la preesistenza delle opere contestate all'introduzione degli strumenti regolatori previsti a livello di disciplina normativa o di atti amministrativi (e torniamo alle indicazioni precedenti).

 

Abusi 'datati': non serve una motivazione particolare per demolire

Di conseguenza, l'eventuale risalenza delle opere oggetto di un ordine demolitorio non incide né sulla sua legittimità, né sulla tipologia di motivazione a suo supporto.

Ed infatti: “Ai fini della validità dell'ordine di demolizione non può avere rilievo il tempo trascorso tra la realizzazione dell'opera abusiva e la conclusione del procedimento sanzionatorio, giacché la mera inerzia dell'Amministrazione nell'esercizio del potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall'origine illegittimo” (Consiglio di Stato, sez. VI n. 6613/2021).

 

Abusi edilizi ante 1942 senza permesso: chi prova cosa?

I giudici amministrativi evidenziano che il ricorrente, a proposito della datazione delle opere, si è limitato ad affermare la loro risalenza al 1934, richiamando in proposito stralci del contratto di acquisto dell'immobile a suo tempo concluso da suo padre e dal quale, secondo la stessa ricostruzione contenuta nel ricorso, sarebbe stato possibile evincere la presenza delle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione.

Ed invero, se così fosse stato, se cioè il ricorrente avesse fornito detta dimostrazione, il motivo sarebbe stato fondato.

 

Le prove sono a carico del privato. Ma come devono essere?

Insomma: grava sul ricorrente la prova della datazione delle opere nei casi in cui ne venga posta in contestazione la risalenza.

Segnatamente ove venga affermata la realizzazione, quantomeno, prima del 1967 (ove non del 1942) e comunque prima della esistenza di provvedimenti di natura amministrativa e normativa atti a limitare l'edificazione e le modifiche dei beni, deve essere lo stesso ricorrente a fornire indicazioni specifiche sulla datazione corretta.

Sul punto è ormai consolidato l’orientamento del Consiglio di Stato in base al quale : “In presenza di un ordine di demolizione, l'onere di dimostrare che le opere sono legittime essendo state realizzate legittimamente senza titolo ante 1967, sicché rientrano fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto a essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto” (Consiglio di Stato sez. VI, n.570/2022).

Le prove, insomma, devono essere certe e rigorose.

Ma nel caso di specie, soltanto per quanto attiene la realizzazione del solaio e della struttura del piano terraneo il ricorrente ha fornito una prova adeguata; ed anzi, con riguardo al solaio ha depositato un titolo autorizzatorio risalente al 1990.

Per il resto le considerazioni attoree appaiono sostanzialmente generiche e non dimostrano l'esatta corrispondenza tra le opere contestate e quelle descritte nel solo stralcio di contratto depositato e nella - di per sé peraltro non decisiva - planimetria d'impianto.

Per questo motivo, l'ordine di demolizione è legittimo e le opere edilizie non si possono 'salvare' dalla messa in pristino.


LA SENTENZA E' SCARICABILE IN ALLEGATO

Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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