Frenata al Green Deal: stop della Direttiva «Green Claims»
Uno stop inatteso ha colpito la Direttiva «Green Claims», cardine anti-greenwashing del Green Deal europeo: il 20 giugno 2025 la Commissione ha annunciato il ritiro del testo, spiazzando Parlamento e Consiglio e sollevando interrogativi su trasparenza, competitività delle PMI e potere istituzionale. Questo articolo analizza cause, conseguenze e possibili sviluppi, offrendo indicazioni operative per imprese e investitori responsabili del settore.
Un fulmine su Bruxelles: stop al Green Claims
Il 20 giugno 2025 il portavoce della Commissione, Maciej Berestecki, ha ammesso: «la Commissione intende ritirare la proposta Green Claims»—una dichiarazione che ha gettato i negoziatori in pieno trilogo nello sconcerto più assoluto.
Cinque giorni più tardi, vediamo che il Collegio non ha ancora formalizzato la decisione, ma gli uffici preparano le carte per una marcia indietro in autunno.
Ma cosa è il Green Claims?
La Commissione europea, con la proposta di Direttiva «Green Claims», intendeva piantare un faro di trasparenza nel vasto oceano dei messaggi ambientali.
L’idea era semplice ma ambiziosa: obbligare chi vende un prodotto o un servizio a dimostrare, numeri alla mano, ogni promessa verde.
Sotto il nuovo schema, etichette come «carbon neutral», «plastic free» o «a impatto zero» avrebbero dovuto poggiare su studi di ciclo di vita comparabili, convalidati da organismi terzi, e resi accessibili via QR-code in lingua comune ai Ventisette.
Il progetto puntava anche a potare la giungla di ottanta eco-marchi privati, creando un lessico armonizzato che riducesse i costi di due-diligence per investitori ESG e autorità di controllo. Per essere legittimo, il claim deve poggiare su dati scientifici verificabili, metodologie trasparenti (ad esempio LCA) e, idealmente, certificazioni di terze parti indipendenti.
Nel diritto europeo è considerato ingannevole qualunque claim privo di fondamento o formulato in modo vago, iperbolico o non comparabile.
In sostanza, è la promessa verde che un marchio porta sul mercato ai consumatori e regolatori. Così la direttiva avrebbe innescato un circolo virtuoso: premiare chi investe davvero nella transizione ecologica e smascherare il marketing cosmetico, restituendo credibilità al Green Deal e orientando gli acquisti realmente sostenibili.
Stop al Green Claims: cronologia essenziale
Dal pressing del Partito Popolare Europeo all’annuncio-shock della Commissione, la parabola della Direttiva «Green Claims» si è sviluppata in pochi, frenetici giorni: scambi di lettere riservate, conferenze stampa lampo e rinvii di negoziati hanno trasformato un dossier considerato “in dirittura d’arrivo” in un caso politico. La cronologia che segue ricostruisce, tappa dopo tappa, come la norma simbolo della lotta al greenwashing sia passata dal via libera quasi certo allo stop inatteso.
Data |
Passaggio istituzionale |
Dettaglio chiave |
18 giu 2025 |
Lettera del PPE alla commissaria Jessika Roswall |
“Procedure troppo complesse e costose” per le micro-imprese. |
20 giu 2025 |
Annuncio di ritiro “in nome della semplificazione” |
Conferenza stampa della Commissione. |
23 giu 2025 |
Il Consiglio (presidenza polacca) blocca l’ultima sessione di trilogo |
Restiamo «pronti a negoziare» finché non arriverà l’atto formale. |
25 giu 2025 |
Pubblicazione Global Cement |
Dubbi sulla legittimità del ritiro alla luce di una sentenza CGUE 2015. |
Green Claims: i tre motori della retromarcia
Quali sono state le cause che hanno portato a questo passo indietro della commissione ? dalle notizie uscite da diverse fonti internazionali queste le tre principali:
- Agenda-Draghi sulla competitività – L’Esecutivo ha giurato di tagliare del 25 % gli oneri amministrativi; l’obbligo di ex-ante verification per ogni claim ambientale rischiava di colpire 30 milioni di micro-aziende (96 % del tessuto UE).
- Pressioni politiche – Il PPE, spalleggiato da destre conservatrici e sovraniste, ha minacciato di votare contro qualsiasi accordo che mantenesse la verifica preventiva.
- Calcolo politico – La Presidente von der Leyen teme che un ulteriore carico burocratico alimenti la narrativa anti-Green Deal.
Impatto economico settoriale del Green Claims
Il Green Claims avrebbe agito come filtro di verità nel mercato: per le micro-imprese un nuovo costo di verifica, ma anche un sigillo reputazionale; per i settori energy-intensive la fine dei “slogan verdi” non dimostrati; per gli investitori ESG basi comparabili che riducono i rischi di greenwashing; per le autorità nazionali uno strumento armonizzato capace di intervenire prima che i claim ingannevoli raggiungano lo scaffale. In quest’ottica si leggono gli impatti specifici illustrati nella tabella seguente.
Stakeholder |
Effetto immediato |
Rischio prospettico |
Micro-imprese |
Sospeso il costo di certificazioni terze parti |
Rischio di cause reputazionali in assenza di standard comuni. |
Industrie hard-to-abate |
Allentamento di vincoli nel breve |
Mercati finanziari ESG più guardinghi su disclosure volontarie. |
Autorità nazionali |
Restano UCPD + Direttiva Empowering Consumers (in vigore dal 27 settembre 2026) |
Maggiore severità ex-post su claim ingannevoli. |
Il nodo giuridico
Il potere della Commissione di ritirare una proposta non è scritto a chiare lettere nei Trattati; discende invece dal diritto d’iniziativa sancito dall’art. 17 TUE e dall’art. 293 TFUE, secondo cui l’Esecutivo può modificare la propria bozza «finché il Consiglio non abbia deliberato». Nel 2015 la Corte di giustizia, con la causa C-409/13, Council v Commission (14 aprile 2015) ha chiarito che tale prerogativa comprende anche il ritiro, ma soltanto in circostanze eccezionali e motivate—per esempio un blocco istituzionale insanabile o l’obsolescenza del testo .
Proprio questi paletti rendono la vicenda «Green Claims» giuridicamente scivolosa. Il dossier ha già superato la prima lettura di Parlamento e Consiglio, e non vi è stato alcun impasse formale: le parti erano pronte al trilogo finale. Perciò l’argomento dell’“obsolescenza” o del “deadlock” appare debole, come riconoscono più analisi di stampa e giuristi .
Se il Collegio dei commissari formalizzasse comunque il ritiro, i co-legislatori potrebbero impugnarlo davanti alla Corte (art. 263 TFUE), sostenendo la violazione dell’equilibrio istituzionale. In caso di annullamento, la Commissione sarebbe tenuta a riesumare la proposta, ma il calendario politico—elezioni europee e nuovo Collegio nel 2026—potrebbe svuotare di fatto la sentenza.
In attesa della mossa definitiva, gli avvocati interni del Parlamento e del Consiglio stanno già setacciando precedenti e perimetri procedurali: il diritto di iniziativa, come una lama a doppio taglio, tutela l’impulso propositivo della Commissione ma non le concede un potere di veto arbitrario sul legislatore. La partita, ora, si gioca tanto nelle aule politiche quanto in quelle giudiziarie.
Dove restano in piedi le regole anti-greenwashing
Sebbene la Direttiva «Green Claims» si sia arenata, l’architettura anti-greenwashing dell’Unione rimane in piedi e continua a irrobustirsi su più fronti.
Il pilastro storico è la Direttiva sulle pratiche commerciali sleali (UCPD 2005/29/CE): vieta qualsiasi comunicazione ambientale fuorviante, consente alle autorità di sanzionare claim privi di prove ed è stata recentemente aggiornata per includere nel “black list” nuove fattispecie di greenwashing .
A rafforzarla arriva la Direttiva 2024/825 “Empowering Consumers for the Green Transition”: dal 27 settembre 2026 saranno bandite etichette prive di verifica indipendente e diciture generiche come “eco-friendly” se non supportate da dati misurabili, creando un linguaggio unico per 450 milioni di consumatori .
Sul versante dei prodotti, il nuovo Regolamento Ecodesign per Prodotti Sostenibili (ESPR) — in vigore dal 18 luglio 2024 — impone requisiti di durabilità, riparabilità e tracciabilità digitale, rendendo trasparente l’impronta ambientale lungo l’intero ciclo di vita . Complementare è la Direttiva “Right to Repair”, adottata il 13 giugno 2024, che obbliga i produttori a facilitare la riparazione post-vendita, allungando la vita utile dei beni e riducendo il greenwashing legato all’obsolescenza programmata .
Infine, il Regolamento Batterie 2023/1542 introduce etichette digitali, requisiti di contenuto riciclato e obblighi di due diligence nella catena di fornitura, assicurando che ogni vantaggio climatico rivendicato da accumulatori industriali o per veicoli sia comprovato e verificabile .
Insieme, queste norme formano una rete che, pur senza la Direttiva «Green Claims», mantiene alta la guardia contro proclami ambientali inconsistenti e orienta il mercato verso una trasparenza sempre più rigorosa.
Scenari futuri
Dall’equinozio d’autunno 2025 potrebbe giungere la svolta formale: il Collegio dei Commissari ha due strade dinanzi a sé. La prima è depositare l’atto di ritiro, sancendo la fine ufficiale della Direttiva «Green Claims»; la seconda è riplasmare il testo in una versione “light”, fondata su linee guida comuni e controlli ex-post graduati per rischio. In entrambi i casi, i silenzi dei corridoi di Bruxelles saranno popolati da negoziati febbrili fra gruppi politici e stakeholder industriali.
Se il ritiro venisse sigillato senza intesa inter-istituzionale, Parlamento o Consiglio potrebbero impugnare la decisione dinanzi alla Corte di giustizia, invocando la giurisprudenza che limita il potere di revoca della Commissione. Un simile contenzioso, verosimilmente nel 2026, terrebbe sospeso il quadro regolatorio e alimenterebbe l’incertezza degli operatori.
Con l’insediamento del nuovo Collegio nel 2026, il dossier potrà rinascere in abiti diversi: un regolamento snello inserito nella revisione della Direttiva sulle pratiche sleali o un pacchetto di standard tecnici armonizzati. Qualunque sia la veste, la pressione di consumatori, finanza ESG e mercati internazionali renderà inevitabile il ritorno di norme anti-greenwashing più chiare.
Nel frattempo, le imprese lungimiranti investiranno in dati verificabili, certificazioni indipendenti e trasparenza digitale, trasformando l’incertezza normativa in vantaggio competitivo quando—come la marea che sempre ritorna—la disciplina europea tornerà a crescere.
Fonti
- Global Cement, “European Commission moves to withdraw ‘greenwashing’ proposal”, 25 giu 2025
- Politico EU, “Commission to kill EU anti-greenwashing rules”, 20 giu 2025
- Associated Press, “EU hits pause on anti-greenwashing bill as far-right influence grows”, 25 giu 2025
- Latham & Watkins LLP Insight, “European Commission Announces Intention to Withdraw EU Green Claims Directive Proposal”, 24 giu 2025
- EUR-Lex, Direttiva (UE) 2024/825, art. 4
- White & Case, Eight key aspects of the ESPR, 25 feb 2025
- NautaDutilh, Directive 2024/1799 – Right to Repair, 19 set 2024
- Flash Battery, EU Battery Regulation 2023/1542, 14 mag 2025
- CJEU case law note on C-409/13, quoted in GC judgment T-791/19, §76 – 78
- The Guardian, EU launches simplification agenda…, 29 gen 2025
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