L’importanza di laboratori in sito e reti integrate di monitoraggio per la gestione sostenibile del rischio idrogeologico
Laboratori in sito e reti integrate di monitoraggio degli eventi di dissesto idrogeologico per la gestione sostenibile del rischio e per lo sviluppo di processi e tecnologie innovativi
Assumendo come obiettivi la gestione del rischio e lo sviluppo di processi e tecnologie innovativi, nella nota, riferendosi ad una serie di casi di studio, sono illustrate le sinergie e le opportunità che si possono determinare e potenziare nel breve e medio termine, attraverso la realizzazione di laboratori in sito che inglobano reti integrate di monitoraggio degli eventi di dissesto idrogeologico. In particolare, facendo riferimento a studi direttamente svolti relativamente ad eventi di frana, la nota evidenzia la possibilità di avviare concretamente e rapidamente una traiettoria che porti alla costituzione di una rete di laboratori in sito, recuperando in tale ottica le conoscenze e le installazioni già realizzate, aggiornandole e potenziandole allo stato dell’arte.
1. INTRODUZIONE
Sono noti gli effetti prodotti dagli eventi di dissesto idrogeologico (Fig. 1), così come sono note e inevitabili, in generale, le cause intrinseche che li determinano. Con questa condizione generale l’accelerazione dei cambiamenti climatici (COP 21, 2015) e la sempre maggiore e rapida percezione dell’impatto da questi prodotto, favorita dalla capillare disponibilità di potenti mezzi di comunicazione-informazione, hanno accentuato le spinte a favore della sostenibilità delle azioni antropiche da parte delle comunità.
Figura 1. Esempi di fenomeni ed eventi di dissesto idrogeologico e di loro effetti (da Gullà, in stampa).
Tuttavia, in assenza di opportune riflessioni e di dovute assunzioni di responsabilità, questa consapevolezza delle comunità rischia di accentuare le disparità fra le comunità dei paesi avanzati e di quelli in via di sviluppo. Sono dunque necessarie strategie che assicurino la dovuta salvaguardia degli equilibri ambientali e sociali del Pianeta, senza che si inneschino pericolosi rallentamenti nello sviluppo e riduzioni del benessere di tutte le comunità. Nel quadro delineato, la disponibilità di strategie per una gestione sempre più efficace del rischio determinato da eventi di disseto idrogeologico costituisce un obiettivo di rilievo, che richiede una forte sinergia fra le componenti che sono chiamate a concorrervi (Gullà, in stampa). Proprio la sinergia costituisce il punto di forza della filiera di lavoro, mostrata nella Fig. 2, per avviare, mantenere e migliorare un percorso metodologico cui concorrono competenze e strumenti, di varie discipline, per sviluppare, utilizzare e approfondire conoscenze, metodi, procedure e tecnologie per l’adattamento, la mitigazione e la riduzione del rischio prodotto da eventi di dissesto idrogeologico (Gullà, in stampa).
Figura 2. Schema della “Filiera per l’Adattamento, la Mitigazione e la Riduzione del Rischio” (Filiera_AMiRRi) (da Gullà, in stampa modificata).
In particolare, nel sub-processo per la progettazione, realizzazione e gestione degli interventi (PReGI) (Fig. 3), che rappresenta una fonte di approvvigionamento del sub-processo linee guida e codici di buona pratica (LG-CBP) (Fig. 4), il monitoraggio rappresenta un punto essenziale della fase conoscitiva, in condizioni ordinarie e in emergenza, propedeutica alla soluzione del problema di interesse.
Figura 3. Sub-processo “Progettazione, Realizzazione e Gestione degli Interventi” (PReGI) con possibile avvio in condizioni ordinarie o in emergenza, con migrazione per completamento ordinario (da Gullà, in stampa modificata).
Figura 4. Sub-processo “Linee Guida e Codici di Buona Pratica” (LG-CBP), finalizzato alla definizione di procedure per la scelta, il dimensionamento ed il monitoraggio degli interventi e per la valutazione della suscettibilità, pericolosità, vulnerabilità e rischio (da Gullà, in stampa modificata).
La complessità generale dei processi che governano gli eventi di dissesto idrogeologico, e quelli di frana in particolare, il loro impatto sempre più pesante sulle Comunità e la necessità di utilizzare efficacemente le risorse disponibili, suggeriscono l’opportunità di utilizzare strumenti innovativi per potenziare l’efficacia della filiera per l’adattamento, la mitigazione e la riduzione dei rischio. In tale ottica la realizzazione di Laboratori in Sito (LabSit) può costituire una chiave di svolta per acquisire, approfondire, trasferire e utilizzare per lo sviluppo di nuove tecnologie la sistematica raccolta di conoscenza sui processi che governano gli eventi di dissesto idrogeologico.
Nella nota, prendendo spunto dalla funzione essenziale del monitoraggio nella definizione degli interventi di adattamento, mitigazione e riduzione del rischio di frana, sono evidenziate le ricadute più generali che si possono ottenere per la gestione sostenibile del rischio e per lo sviluppo di processi e tecnologie innovativi, attraverso la realizzazione di laboratori in sito che inglobano reti integrate di monitoraggio. In particolare, sono illustrate alcune considerazioni metodologiche riguardo la progressiva realizzazione di una rete di laboratori in sito, sono richiamati alcuni casi di studio configurati o configurabili come laboratori in sito, sono discussi alcuni risultati conseguiti e conseguibili seguendo il percorso proposto.
2. ASPETTI METODOLOGICI
La principale criticità nella progettazione degli interventi di adattamento, mitigazione e riduzione del rischio prodotto da un movimento in massa è costituita dal tempo necessario per acquisire gli elementi conoscitivi che concorrono alla definizione del modello geotecnico dello stesso movimento in massa. In particolare, anche disponendo di una rete integrata di monitoraggio per lo studio di un definito movimento in massa, in generale, anche dopo prolungati periodi di misura si può non disporre di dati significativi.
La criticità evidenziata può essere efficacemente ridotta considerando i seguenti riferimenti:
- analisi dei risultati acquisiti su reti integrate di monitoraggio, realizzate per diversi movimenti in massa, rispetto al verificarsi di numerosi fenomeni innescati da piogge su vaste aree in periodi che possono variare da alcuni giorni ad alcuni mesi (Eventi di frane diffuse-Widespread Landslide Events - WLE) (Gullà et al., 2012);
- condizioni di emergenza prodotte da eventi di dissesto idrogeologico (in particolare da eventi di frane diffuse) come stato particolare della condizione ordinaria nel cui ambito pianificare, programmare, attuare, progettare, realizzare e gestire gli interventi di adattamento, mitigazione e riduzione del rischio (strategia di prevenzione) (Gullà, in stampa);
- tipizzazione dei movimenti in massa che risultano essere rappresentativi in contesti geo-ambientali significativi e che determinano rilevanti condizioni di rischio.
La realizzazione di un Laboratori in Sito (LabSit) può fornire uno strumento concettualmente semplice per integrare i riferimenti evidenziati al fine di acquisire, approfondire, trasferire e utilizzare sistematicamente la conoscenza sui processi che governano gli eventi di dissesto idrogeologico (eventi di frana in particolare) per la gestione del rischio (adattamento, mitigazione e riduzione) e per lo sviluppo di processi, procedure e tecnologie innovative.
Le condizioni e gli elementi base che concorrono alla realizzazione di un Laboratorio in Sito sono: un definito contesto geo-ambientale; una o più tipologie di fenomeni di dissesto idrogeologico rappresentativi e in grado di determinare rilevanti condizioni di rischio, anche potenziali; rilevamenti, studi e analisi geologico-strutturali e geomorfologiche; ricerche storiche riguardo i fenomeni e gli eventi di dissesto idrogeologico, nonché i relativi effetti su territorio, strutture e infrastrutture; analisi e caratterizzazione idrologica; indagini e sperimentazioni geotecniche in sito; sperimentazione geotecnica di laboratorio sui geomateriali coinvolti nei fenomeni di disseto; reti integrate di monitoraggio sui fenomeni di interesse.
Fra quelle elencate, anche se non necessariamente sin dalla fase di avvio, una condizione essenziale è costituita dalla disponibilità di una “Rete Integrata di Monitoraggio” (RIMon) per uno o più movimenti in massa nel contesto geo-ambientale di interesse.
Da un punto di vista metodologico, considerando quanto riferito da Gullà in Antronico et al. (2010), riveste dunque particolare importanza la progettazione e realizzazione, generalmente iterative, delle reti integrate di monitoraggio che possono considerare i riferimenti di seguito riportati:
- il comportamento litologico generale del volume di geomateriale coinvolto nell’instabilità (prevalentemente attritivo, prevalentemente coesivo, da terreno di alterazione, da roccia tenera fratturata, da roccia tenera con sistemi di discontinuità che condizionano i cinematismi, da roccia lapidea fratturata, da roccia lapidea con sistemi di discontinuità che condizionano i cinematismi);
- la profondità, stimata su base geologico-geomorfologica, della superficie di rottura del volume di geomateriale coinvolto nell’instabilità (superficiale, sino a circa 3 m; mediamente profonda, sino a circa 30 m; profonda, oltre circa 30 m);
- l’estensione planimetrica, stimata su base geomorfologica, dell’instabilità (piccola, circa un ettaro; media, sino a circa 5 ettari; grande, maggiore di circa 5 ettari);
- il tempo di innesco del singolo movimento in massa (assunto coincidente con la durata della fase pre-rottura), stimato sulla base del quadro conoscitivo desumibile in via preliminare (istantaneo, al massimo alcune ore; medio, da almeno uno ad alcuni giorni; lungo, da almeno una ad alcune settimane);
- il tempo di eventuale evoluzione del cinematismo dell’instabilità, con o senza trasformazione delle originarie caratteristiche del geomateriale coinvolto, stimato sulla base del quadro conoscitivo desumibile in via preliminare (rapido, da alcune ore ad alcuni giorni; medio, da alcuni giorni ad alcune settimane; lungo, a seguito di almeno due cicli di pre-rottura – rottura –post-rottura).
Sulla base di quanto evidenziato, le attività per la progettazione e realizzazione di una rete integrata di monitoraggio per un movimento in massa dovranno essere opportunamente declinate in funzione delle condizioni, ordinarie o di emergenza, nel cui ambito le stesse attività si dovranno svolgere. In particolare, le attività, di seguito sinteticamente illustrate nella loro sequenza, sono in alcuni casi da svolgere in parallelo, sono caratterizzate da un punto di vista disciplinare, richiedono coordinamento ed integrazione.
1. Definita la localizzazione del sito in cui ricade il movimento in massa per la quale si intende realizzare la rete integrata di monitoraggio deve essere raccolta ed esaminata tutta la documentazione scientifica e tecnica disponibile.
2. Contestualmente al punto precedente, sarà individuata la stazione pluviometrica rappresentativa per il sito di interesse, sarà acquisita la serie storica delle piogge giornaliere e di altre grandezze eventualmente disponibili, si procederà alla caratterizzazione idrologica.
3. Ancora in parallelo, saranno avviati gli studi e i rilievi geomorfologici e litologico-strutturali di dettaglio che devono fornire i primi risultati, basati sulla letteratura e su rilievi ed analisi di superficie, nel più breve tempo possibile; le analisi geomorfologiche (foto-interpretazione e controlli di campagna) devono fornire la delimitazione dell’area interessata da instabilità, lo spessore massimo del volume instabile, le caratteristiche cinematiche generali con riferimento ad una definita classifica, lo stato di attività ed ogni altro dettaglio che si ritenga di interesse (cartografia in scala di rappresentazione adeguata rispetto alle dimensioni dell’instabilità, relazione illustrativa); i rilevamenti litologico-strutturali devono fornire, considerando le peculiarità del contesto geologico in cui ricade l’instabilità di interesse e le sue caratteristiche dimensionali (esp. presenza di rocce interessate da processi di degradazione e/o alterazione, ecc.; frana superficiale, mediamente profonda, profonda, ecc.), l’indicazione delle litologie e delle strutture (discontinuità) significative per la problematica di instabilità trattata, la loro estensione e distribuzione in affioramento ed in profondità (stima), le loro relazioni con la circolazione delle acque sotterranee (rilevando e misurando sorgenti e/o misurando livelli piezometrici lungo verticali strumentate già disponibili) ed ogni altro dettaglio che si ritenga di interesse (cartografia con scala di rappresentazione adeguata rispetto alle dimensioni dell’instabilità di interesse, relazione illustrativa).
4. Le prime indicazioni geomorfologiche e geologico-strutturali devono essere utilizzate per progettare e realizzare, iterativamente, le reti di monitoraggio degli spostamenti superficiali (assoluti e relativi). La geometria della rete di monitoraggio degli spostamenti superficiali assoluti deve essere definita procedendo al posizionamento dei punti di misura (all’interno dell’area che si suppone sia instabile) e dei punti fissi (in zone non interessate da movimenti o nelle quali i movimenti si ritiene che siano molto contenuti rispetto a quelli attesi nell’area instabile). Nel posizionamento dei capisaldi si deve considerare, in particolare, l’identificazione preliminare di una o più sezioni rappresentative per la modellazione geotecnica del movimento in massa di interesse, utilizzando le indicazioni geomorfologiche. La visibilità ottica fra i punti di misura ed i punti fissi, o la visibilità da satellite dei capisaldi, determina in generale la scelta della strumentazione e della tecnica di misura più idonea al monitoraggio degli spostamenti assoluti (tecniche GPS, stazioni totali, ecc.). Per la definizione della rete di monitoraggio degli spostamenti superficiali relativi devono essere censite, caratterizzate e localizzate nell’area di interesse tutte le fratture, determinate direttamente sul terreno dalla stessa instabilità, e le lesioni, presenti su strutture o infrastrutture che insistono nell’area di interesse o nelle immediate vicinanze; l’esame unitario dell’ubicazione delle fratture e delle lesioni, e delle relative caratteristiche (lunghezza, apertura, rigetto, ecc.) deve essere considerato per individuare il posizionamento delle stazioni di misura, da realizzare sulla base di schemi consolidati, in funzione delle caratteristiche della frattura o lesione da monitorare. Successivamente alla realizzazione delle reti di monitoraggio degli spostamenti superficiali, a distanza di una settimana o due dalla realizzazione dei capisaldi e stazioni di misura, saranno eseguite le misure di zero e, quindi, le successive misure per il calcolo degli spostamenti assoluti e relativi. Nella fase di avvio le misure sono prevalentemente discontinue e manuali, nella prosecuzione del monitoraggio si valuterà l’opportunità di misure automatiche e trasmissione in remoto. Nella fase di avvio la frequenza delle misure, tenendo conto della complessità delle reti, sarà quanto più possibile alta, ma dovrà essere prontamente rimodulata sulla base di quanto si evidenzierà dalle stesse misure, analogo criterio dovrà essere assunto per le misure automatiche e trasmissione in remoto. La frequenza e le modalità di misura dovranno essere progressivamente modulate, ove disponibili, sulla base di soglie o scenari di innesco e, in via definitiva, riferendosi alle indicazioni desumibili dalla modellazione geotecnica del movimento in massa.
5. Contestualmente alla realizzazione delle reti di monitoraggio degli spostamenti superficiali, sempre con riferimento alle prime indicazioni fornite dall’analisi geomorfologica e dai rilievi litologico-strutturali, devono essere programmate, per poi affinarle nel corso della loro esecuzione, le indagini geotecniche necessarie per realizzare le installazioni finalizzate al monitoraggio degli spostamenti profondi. Nella fase di avvio del monitoraggio, in generale, devono essere utilizzate installazioni inclinometriche da misurare con sonde inclinometriche mobili. La profondità delle verticali inclinometriche deve essere definita considerando: la massima profondità della superficie di rottura stimata su base geomorfologica, la presenza di passaggi tra litologie con marcate differenze meccaniche o di discontinuità, l’esame dei carotaggi dei sondaggi geotecnici eseguiti per l’installazione dei tubi inclinometrici. Per un singolo movimento in massa il numero minimo di verticali inclinometriche da considerare è tre, ma l’avvio del monitoraggio, in presenza di vincoli di natura finanziaria, può essere effettuato anche con una sola verticale inclinometrica. In ogni caso, la posizione delle installazioni devono essere decise sulla base delle prime indicazioni geomorfologiche e litologico-strutturali e, nel caso siano disponibili, delle misure di spostamnti superficiali. Per la frequenza di misura valgono le indicazioni esposte per la misura degli spostamenti superficiali.
6. Le prime indicazioni che scaturiscono dai rilievi litologico-strutturali devono essere utilizzate per programmare, ed affinare nel corso della loro esecuzione, le indagini geotecniche necessarie per realizzare le installazioni finalizzate al monitoraggio del regime delle pressioni neutre. Nella fase di avvio, in generale, devono essere utilizzate installazioni realizzate con piezometri idraulici a circuito aperto, da misurare con freatimetri. Sulla base delle misure eseguite per un adeguato periodo (almeno un anno di misure) si potrà valutare l’opportunità o meno di strumentare i piezometri già installati con trasduttori o di installare trasduttori in altri sondaggi, procedendo alle misure con acquisizione automatica e trasmissione in remoto. La profondità ed il numero dei tratti di misura dei piezometri devono essere definiti, riferendosi alle indicazioni desumibili dai rilievi litologico-strutturali, considerando i carotaggi ottenuti dai sondaggi geotecnici eseguiti e le prove di permeabilità condotte negli stessi sondaggi. Il numero e la posizione delle verticali piezometriche devono essere definite sulla base delle prime indicazioni litologico-strutturali e geomorfologiche, considerando le risorse disponibili e le finalità specifiche. In generale si può assumere come tre il numero minimo di verticali piezometriche, potendosi avviare il monitoraggio con una sola verticale piezometrica. Anche per la frequenza di misura delle pressioni neutre si possono assumere le indicazioni esposte per gli spostamenti superficiali.
Le indicazioni metodologiche riportate, che non sono da ritenersi esaustive, forniscono un percorso per sviluppare efficacemente la progettazione e realizzazione di una rete integrata di monitoraggio. Ulteriori installazioni (per la misura dell’inclinazioni di strutture, delle pressioni neutre negative, ecc.) potranno concorrere, in funzione delle specificità del movimento in massa di interesse, alla realizzazione della rete integrata di monitoraggio.
Si rileva da quanto esposto che per la realizzazione delle reti integrate di monitoraggio è necessario svolgere studi, rilevamenti ed indagini che consentono di acquisire elementi utili alla definizione di un preliminare quadro conoscitivo riguardo i diversi aspetti concorrenti alla valutazione della pericolosità e del rischio e, quindi, alla definizione di interventi di adattamento, mitigazione e riduzione del rischio da movimenti in massa. In particolare, le indagini geotecniche, anche solo quelle strettamente necessarie alla realizzazione delle reti di monitoraggio degli spostamenti profondi e del regime delle pressioni neutre, devono essere utilizzate per effettuate prove in sito di permeabilità e, ove possibile, per prelevare campioni da utilizzare per una preliminare caratterizzazione meccanica.
In definitiva, disponendo di una rete integrata di monitoraggio si dispone, in generale, di un primo nucleo di condizioni e di elementi che rendono il sito di monitoraggio candidabile per la realizzazione di un Laboratorio in Sito: conoscenze geomorfologiche, conoscenze litologico-strutturali, conoscenze geotecniche, conoscenze idrologiche, strumento per l’acquisizione di conoscenze circa la caratteristiche geometriche, cinematiche e del regime delle pressioni neutre (rete integrata di monitoraggio).
In aggiunta alle condizioni ed elementi base introdotti, concorrono alla realizzazione di un Laboratorio in Sito altri semplici criteri e riferimenti.
In particolare, un ruolo di rilievo è giocato dai contesti geo-ambientali nel cui ambito si pianifica e programma la realizzazione di Laboratori in Sito, che devono essere significativi a scala regionale, come estensione, numerosità di fenomeni di dissesto idrogeologico, comune storia geologica. Per definiti contesti geo-ambientali sono inoltre da considerare per la definizione delle priorità la presenza di tipologie di fenomeni raggruppabili per elementi simili (esp. caratteristiche geometriche, geomateriali coinvolti, modalità di evoluzione cinematica, ecc.).
Condizioni aggiuntive di priorità per un sito candidato a laboratorio sono date: dal livello di rischio, anche potenziale e valutato in forma indicizzata; dalla presenza di segnalazioni di eventi di dissesto idrogeologico; dalla disponibilità dei dati relativi ad eventi di pioggia significativi.
Nel percorso metodologico proposto assumono un rilievo particolare tutti i siti e le aree di studio o di intervento nel cui ambito sono disponibili condizioni ed elementi che possono concorrere alla realizzazione di Laboratori in Sito. Per tali siti ed aree sarà opportuna un’analisi di quanto disponibile, in termini conoscitivi e di installazioni di monitoraggio, al fine di individuare tutte le situazioni che possono essere efficacemente candidate per la realizzazione di Laboratori in Sito.
All'interno dell'alrticolo alcuni CASI IN STUDIO e l'analisi dei risultati.