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MORANDI: un genio nel mondo, sottovalutato in Italia

una riflessione del contesto in cui nacque il Ponte Morandi è imprescindibile per comprenderne le scelte

Ancora una volta il popolo italiano piange vittime causate da infrastrutture fatiscenti. Innanzitutto unirsi al cordoglio delle famiglie delle vittime e del Comune di Genova è quanto mai doveroso. Superato lo sconcerto, fare alcune riflessioni su quanto è successo e su quanto è stato detto a caldo, soprattutto da parte di improvvisati esperti, ci sembra altrettanto opportuno.

Il periodo storico in cui progetto l'ing. Morandi

Dal 14 agosto, ormai, siamo sommersi dal continuo martellamento dei media, con le opinioni più varie, spesso assurde, riguardanti, nella maggior parte dei casi, velate o dirette accuse alla progettazione delle opere, senza inquadrare il periodo storico in cui si è trovato l’Ing. Riccardo Morandi nel momento in cui ha assolto tale compito. Senza voler fare approfondimenti scientifici, non essendo in possesso delle documentazioni di progetto e verbali amministrativi che hanno interessato l’opera, credo che il progettista meriti maggiore rispetto, così come la magistratura, che dovrà essere messa nelle condizioni di lavorare senza condizionamenti, evitando di individuare colpevoli già il giorno successivo la tragedia.

morandi riccardoL’ing. Morandi era all’epoca considerato nel mondo uno dei massimi esponenti dell’ingegno Italiano per la progettazione di ponti, e tanti sono quelli da lui progettati con soluzioni originali sia in Italia che nel resto del mondo. Tra l’altro, date le poche prescrizioni legislative dell’epoca, egli doveva sopperire con le proprie conoscenze, avendo per ciò molta libertà di operare. Non risultano, fino a prova contraria, altri ponti che siano collassati.

Vi è da considerare, inoltre, che il collasso del ponte Morandi sul Polcevera è avvenuto in presenza di soli carichi gravitazionali in un momento in cui esso doveva essere monitorato di continuo e non ci risulta che ciò avvenisse, per via dei lavori di retrofitting in fase di realizzazione. 

Questa del tronco autostradale A10 è un’opera concepita nel 1957, quando era generalizzata la convinzione che la durata del cemento armato sarebbe stata eterna o quasi, ed il precompresso, che era agli albori, avrebbe consentito miracoli ulteriori, anche molto superiori a quelli del C.A. normale. Solo 5 anni prima della progettazione del ponte (ossia nel 1952), l’ing. Rinaldi aveva portato in Italia i concetti scaturiti dallo studio di un gruppo europeo, di cui lui faceva parte; con quelle indicazioni il ponte è stata una delle prime opere in c.a. precompresso eseguite in Italia e certamente la prima di quella entità.

L’opera, così impegnativa, oggi farebbe tremare i polsi anche ai più grandi progettisti, nonostante la disponibilità di tutti gli strumenti informatici attuali; eppure è stata affrontata solo con l’ingegno e la professionalità dello studio Morandi, con l’unico strumento di calcolo allora disponibile, il regolo calcolatore, in quanto l’informatica era ancora oggetto di esperimenti scientifici, paragonabile oggi agli esperimenti sull’applicazione della meccanica quantistica.

Le strutture del ponte, di così grande complessità, compresi i piloni, sono state esaminate a telai piani, e quindi gli apporti degli elementi ortogonali, a volte stabilizzanti ma molto spesso destabilizzanti sono stati (come nella regola dell’epoca) trascurati strutturalmente ma considerati certamente come carichi.

Questi concetti oggi sono diventati inconcepibili per via della disponibilità di strumenti di calcolo all’epoca nemmeno immaginabili così come non erano nemmeno immaginabili le quantità di documentazioni scientifiche, di report sperimentali, di apparecchiature e di laboratori di prove per opere edilizie disponibili oggi. Certamente per un’opera di quel tipo oggi il modello sarebbe sottoposto alla galleria del vento, per evitare possibilità di risonanza dell’impalcato e verrebbe studiata la sagoma ottimale; gli stralli certamente non verrebbero fatti in precompresso di forma quadrilatera e ramificata all’estremo inferiore, gradevoli esteticamente ma certamente delicati e necessari di maggiore manutenzione (si è studiato per vari altri ponti dall’epoca per decine di anni in laboratori e gallerie del vento, per trovare le forme migliori ed il miglior tipo di rivestimento per evitare la risonanza ed attutire le vibrazioni).

Dell’Ing. Morandi è pure il ponte simile al ponte di Genova e forse anche più complesso ossia il  “Puente General Rafael Urdanet ”  in Venezuela , strallato su tre campate, considerato uno dei cinque più bei ponti del mondo (nonostante l’impatto con una petroliera e parzialmente distrutto e ricostruito). Anch’esso in ambiente molto aggressivo per la salinità ma, al contrario di quello di Genova, reputo sia stato sottoposto ad una costante manutenzione e quindi meno invasiva al punto di evitare di sostituire gli stralli, considerati comunque la parte più delicata.

Sono decine i ponti dell’ing. Morandi in Italia e nel mondo, tanti quelli strallati, ma anche del tipo ad arco rovescio e anche a mensola, a dimostrazione della sua grande capacità di scegliere le soluzioni in funzione della situazione orografica, di accessibilità, di qualità del terreno di posa ed anche di impatto ambientale.

Il ponte di Genova sul Polcevera è stato studiato oltre che come opera avveniristica, anche in modo da minimizzare l’impatto ambientale immergendolo nel tessuto cittadino, ritengo, con un buon risultato. Il deterioramento dei materiali, in un ambiente aggressivo come quello del sito dove era ubicato è del tutto particolare, alla presenza della brezza quasi continua, ricca di salsedine e di fumi della vicina acciaieria, nonché di smog in genere, ad alla continua sollecitazione del flusso di mezzi pesanti e non, essendo tra le principali arterie cittadine.

Anche le opere di manutenzione per le quali era indispensabile la provvisoria chiusura erano sempre problematiche se non impossibili perché ogni annuncio di tali operazioni veniva contrastato da critiche e scioperi, tanto era indispensabile all’attività economica cittadina.

Ogni opera edilizia va seguita tramite un piano di manutenzione predefinito, da seguire rigorosamente se si vuole allungare la vita utile della stessa. Periodicamente bisognerebbe rivedere il piano di manutenzione stesso per comprendere errori di previsione e miglioramento di interventi forniti da disponibilità di nuovi materiali in continua evoluzione. 

È quanto mai illuminante l’esempio dell’automobile in cui la mancata regolare manutenzione indicata dalla casa produttrice, aumenta i costi di eventuali riparazioni, riduce notevolmente le aspettative di durata complessiva e può mettere a rischio la sicurezza per sé stessi e per gli altri (senza, in tal caso, alcuna responsabilità della casa produttrice o del progettista). Per le infrastrutture vale lo stesso principio e quello che oggi è una normale opera di prevenzione, se trascurata, diventa un enorme pericolo per la collettività ed arriva a sfociare in disastri con un inammissibile costo in vite umane, in disagi per la collettività, per l’economia e con la necessità di ricostruzione delle opere. Vale lo stesso principio, quindi, anche per i ponti progettati da Morandi, verso cui si sta creando in Italia una fobia del tutto ingiustificata (per fortuna nell’ambiente scientifico mondiale il prestigio di Morandi non viene messo in discussione in quanto i ponti sono costantemente monitorati , compresi quelli meno delicati ad arco rovescio).

In conclusione, non è il caso di allarmarsi per alcuni ponti solo perché progettati dall’ing. Morandi: è il caso di allarmarsi, invece, per tutti quei ponti, e sono purtroppo tanti, in cui è carente lo stato di manutenzione e, perciò, presentano gravi segni di degrado, con seri rischi sull’incolumità dei cittadini.

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