Sostenibilità (ciò che conta è ciò che è buono per l’uomo in quanto uomo)
(ciò che conta è ciò che è buono per l’uomo in quanto uomo)
“Quanto pesa una lacrima?
Dipende: la lacrima di un bambino capriccioso, pesa meno del vento
Quella di un bambino affamato più di tutta la terra” - Gianni Rodari
«Si apre un decennio che deve mostrare “un colpo d’ala” nelle politiche per proteggere il Pianeta e l’Umanità»
È il monito dell’ONU che ricorda a «tutti», in primis ai governanti del mondo, l’impegno da «tutti» assunto per l’attuazione della Agenda 2030. Impegno ribadito con la dichiarazione solenne della Assemblea Generale delle Nazioni Unite solo pochi mesi fa.
Quello che si apre è un decennio fondamentale per lo «sviluppo sostenibile» in tutte le sue declamazioni, ambientale – economico – sociale e che, nella elencazione degli obiettivi della Agenda 2030, dagli iniziali «sconfiggere la povertà e la fame nel mondo», si sviluppa, si articola e si conclude con «pace, giustizia, istituzioni solide e partnership per obiettivi”.
Obiettivi possibili se tutti rendono le proprie azioni coerenti con le dichiarazioni. In primo luogo le Istituzioni, gli Stati che, dopo averla sottoscritta e solennemente dichiarata, l’Agenda 2030 dovrebbero praticarla con un coerente e partecipato senso della «partnership per obiettivi».
Purtroppo così non sembra essere.
Se è vero infatti che in Europa fanno ben sperare il programma della Commissione Von der Leyen per un sistema economico più giusto e sostenibile, così come i propositi della Presidenza Europea Finlandese impegnata per il benessere e la felicità delle persone, ma anche l’attenzione dichiarata verso il green deal anche del Governo Italiano1, le tensioni geopolitiche, le minacce e le azioni di guerra con cui si è aperto l’anno, e gli interessi che vi sottostanno, sembrano confermare che altre sono le finalità che si intendono perseguire.
1«Il benessere di una società non deve essere giudicata solo dal livello del reddito, ma anche dalla capacità dei membri di una comunità di condurre la vita che vogliono in piena libertà» Giuseppe Conte Presidente del Consiglio alla apertura della Cabina di Regia «Benessere Italia»
Una constatazione che persiste da sempre nella vita dell’uomo e che ha indotto Seneca, già all’origine della storia del cristianesimo, ad affermare: “Una gran parte della vita sfugge nel fare il male, la maggior parte nel non fare nulla, tutta quanta nel fare altro da quello che dovremmo”
Un aspetto che ci induce a riflettere su che cosa è quello che dovremmo fare, quello a cui dedicare il tempo fuggente della nostra vita.
Una riflessione da collocare in una fase storica in cui la «sostenibilità» è diventata la parola magica di cui nessuno può più fare a meno e di cui però non esiste una definizione, una tassonomia condivisa, avendo l’aspetto ambientale assunto la prevalenza su un «resto» che spesso neppure viene identificato.
Ad iniziare dai giovani e dalla loro pressante attenzione alla crisi ambientale che è diventata la loro nuova religione, la loro nuova fraternità, come dice Luigino Bruni, “una nuova religio, un nuovo senso del sacro"2.
2«La sfida per il 2010. Il grido della terra e dei poveri chiede segni e nuova profezia» Luigino Bruni – Avvenire 30 dicembre 2019 -.
Ma la sostenibilità ambientale, gli stessi giovani lo vivono sulla loro pelle con le difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro ed a trovare un posto confacente nella società, è efficace se implica in sé una attenzione alla inclusione sociale, alla parità delle opportunità, al terribile CO2 – come dice sempre Luigino Bruni – della «diseguaglianza» di una terra “popolata da totem e tabù post moderni gestiti da sciamani e aruspici for profit”.
Una dimensione economica e sociale della sostenibilità che può essere superata solo con un nuovo paradigma, una nuova concezione della economia, che come insegnano i teorici della «economia civile»3 (l’economia di Francesco come qualcuno la chiama4), da «estrattiva» per pochi, deve divenire «generativa» di risorse e opportunità per tutti.
3Economia Civile: economia, generativa, economia della collaborazione in cui «l’uno con uno fa tre»
4“E’ la persona, non il potere o il profitto che va nesso al centro delle politiche pubbliche. Siamo tutti membri di una stessa famiglia umana (…) e da questo deriva il dovere morale di prenderci cura gli uni degli altri” Papa Francesco –messaggio al Forum di Davos 21 gennaio 2020
Non bastano per questo gli annunci, le dichiarazioni sempre più frequenti – sia nel mondo della finanza che dell’industria - sulla necessità di congiungere economia e società, sulla nuova attenzione delle grandi multinazionali verso il contesto sociale, verso le persone per un nuovo «capitalismo morale»5.
5“Uno dei trend dei prossimi anni è il
, possiamo creare valore per gli azionisti ed essere nello stesso tempo una impresa responsabile” Brian T. Moynihan –Ceo Bank of America Merril Lynch – Davos 2020 “Il mondo è ad un bivio, davanti alla scelta tra tecnologia buona e tecnologia cattiva, abbiamo deciso di costruire la fiducia, rispettare l’ambiente e avere cura della persona” Ginni Rissetti IBM – Davos 2020
Per questo anche i grandi programmi di investimento su cui si sta impegnando l’Europa, i proclami per un «capitalismo pulito» e per un cambiamento epocale di paradigma - sia manifatturiero, sia finanziario - per una consegna agli archivi della esclusiva attenzione agli azionisti e la creazione di valore per tutte le parti interessate, non deve, e non può, dimenticare ciò che negli ultimi 40 anni ha portato al fallimento del mercato. La concentrazione della ricchezza e di potere, le diseguaglianze che hanno riportato i bisogni delle persone al centro delle attenzioni della società e, dovrebbe riportarli, al centro della politica e della economia che, è auspicio di tutti, deve essere messa nella condizione di recuperare l’originaria funzione di Oikos Nomos «custode e gestore delle risorse scarse per il benessere collettivo»
Ciò che non si può dimenticare, da cui non si può prescindere per la costruzione di un vero sviluppo sostenibile, è che esiste oggi una dimensione della diseguaglianza e forme di povertà che gridano giustizia. Una diseguaglianza6 che, al di là delle enunciazioni, si misura con “una cultura, uno stile manageriale che vuole dalle persone tempo, energia e vita, dove – grazie alle nuove tecnologie – è saltato ogni confine tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro, dove le imprese cercano e spesso ottengono il monopolio dell’anima della loro gente”7.
6Il rapporto Oxfam sulle disparità economiche del pianeta rileva che le 2.153 persone più facoltose detengono più ricchezza di 4.6 miliardi di persone povere (il 60% della popolazione mondiale), il 58% della ricchezza prodotta in un anno è andata al 1% più ricco. In Italia la ricchezza posseduta dal 1% più facoltoso supera quella del 70% più povero ed il 10% più facoltoso possiede 6 volte quella posseduta del 50% del più povero.
7Luigino Bruni articolo citato
Non si salva la Terra se non si salvano le persone, se non si dà senso alla loro dignità, ai diritti universali indisponibili ed inviolabili, alla loro opportunità di essere parte attiva della società.
Anche di questo devono essere consapevoli le Istituzioni, gli Stati, sempre alla ricerca di risorse per coprire le esigenze di bilancio. Istituzioni che non solo non giustificano il modo con cui le risorse pubbliche vengono poi spese -“una gran parte della vita sfugge nel fare il male”- ma persistono nella concezione di un modello di sviluppo solo quantitativo, alimentando così, come unica ed imprescindibile, la cultura del profitto che “cerca ed ottiene il monopolio dell’anima della gente”8.
8“Senza una motivazione alta che guarda anche a impatto sociale ed ambientale, nessuna azienda può prosperare perché rischia di entrare in conflitto con i principali portatori di interesse (lavoratori, clienti, comunità locali)” Larry Fink Ceo di Blackrock (maggior fondo investimento mondiale)
Affidarsi alla forza del mercato non basta: “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che lo ha generato” ci ha insegnato A. Einstein. Per questo servono politiche per superare le «trappole della consuetudine», l’assuefazione, la credenza che ci fa ritenere non modificabili determinate condizioni che sono la ragione stessa dei problemi che si vorrebbero risolvere
Su queste premesse penso sia un compito, una responsabilità di tutti noi, stimolare un confronto sul rapporto tra «principi ed interessi», nella consapevolezza che, senza risorse i principi rimangono sospesi nella loro spiritualità, una sacralità che però non può essere pregiudicata dalla indifferenza sulla provenienza delle risorse, sulla loro estrazione dalla collettività e, soprattutto, dalla consapevolezza che chi ha le risorse, in modo particolare chi le ha estratte «dall’anima della loro gente», non le cede certo per consentire di cavalcare i principi se sono contrari ai loro interessi, anzi fa di tutto per impossessarsi dei principi, farli propri e proseguire nella gestione del potere.
Per questo se «sviluppo sostenibile è garantire alle generazioni future di realizzare i propri bisogni»9 , serve essere consapevoli - come ha scritto Esther Duflo, Nobel 2019 per l’economia – di dover superare «l’incoerenza temporale per cui i benefici maturano in un momento futuro, mentre i costi devono essere sostenuti nell’immediato. Dal punto di vista dell’oggi, dunque, ha senso aspettare domani, ma sfortunatamente quando il domani diventa oggi, il ragionamento torna a ripetersi»10.
9«Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa le necessità delle attuali generazioni senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare le proprie» Rapporto Brundtland ONU 1987
10«L’economia dei poveri» Esther Duflo –Abhijit v. Banerjee – Feltrinelli, pag 81/94
Un approccio che, consapevoli della «posizione di potere dei genitori rispetto ai figli», ci riporta alla sacralità del dono, alla immaterialità della ricompensa del piacere e dell’orgoglio di essere stati utili a chi verrà dopo di noi, approccio che fa prevalere i principi sugli interessi ed unisce le generazioni.
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Non esiste modo migliore di affrontare la realtà di quello di affondare le mani, di affossare gli occhi nella osservazione di ciò che ci succede intorno.
Ho cercato di farlo prendendo spunto dalla normale quotidianità in cui spesso le buone intenzioni sono catturate dalle
La prima riflessione è stata stimolata da un articolo apparso lunedì 13 gennaio sul Corriere della Sera - pagine Milano - che riferiva della decisione del Comune di Milano di aderire al protocollo internazionale contro la tratta dei lavoratori. Una attenzione che porta in evidenza la “percezione” – non risolta dalle pur ingerenti e dispositive Leggi vigenti - di un comportamento delle imprese fornitrici del Comune poco attento a non utilizzare sub fornitori che violino i diritti umani delle persone, con la conseguente richiesta da parte del Comune ad impegnarsi ad approvvigionarsi da soggetti in possesso di certificazioni di qualità o di documentazione equivalente (es: visite ispettive presso i luoghi di produzione).
Un tema, quello della subfornitura, che la normazione – spesso nella indifferenza delle Istituzioni (la PA dovrebbe ricordare quanto incide sulla negazione dei diritti delle persone l’aspettativa di scegliere il fornitore sulla base del massimo ribasso) ha affrontato da tempo con la UNI ISO 20121 (gestione sostenibile degli eventi) e che la struttura HLS dei sistemi di gestione, sviluppa unendo la qualità, con la sicurezza del lavoro e la responsabilità sociale delle organizzazioni e che, con l’adozione a livello europeo della UNI ISO 26000 sulla responsabilità sociale delle organizzazioni, potrà avere una evoluzione verso l’indirizzo auspicato.
La seconda segue ad un articolo di Antonio Polito apparso nello stesso giorno sul Corriere della Sera che, alla luce di recenti vicende di cronaca e dell'ultimo film di ken Loach «Sorry we missed you» (storia di una badante e di un rider), ha trattato il tema dei «diritti dei lavoratori nelle «working poor» che “promettono libertà, ma «rubano» il tempo e divorano le famiglie” (una cultura che vuole dalle persone tempo, energia e vita).
Attività che trovano nella Normazione sviluppata ai sensi della Legge 4/2013 (come la recentissima UNI 11766 sulla professione della badante-babysitter), la definizione delle qualifiche e dei comportamenti di una professione, mentre nulla la Normazione dice rispetto ai diritti del fornitore del servizio che sono lasciati - come è giusto che sia per una attività libera ed autonoma - alla libera contrattazione delle parti.
Il problema è però sino a che punto queste professioni sono attività libere ed autonome?
Come sempre tutto dipende dal potere contrattuale che - considerata la scarsità di offerta qualificata – se ancora si può riscontrare nel rapporto tra le
11«Il benessere di una società non deve essere giudicata solo dal livello del reddito, ma anche dalla capacità dei membri di una comunità di condurre la vita che vogliono in piena libertà» Giuseppe Conte Presidente del Consiglio alla apertura della Cabina di Regia «Benessere Italia»
Un aspetto su cui anche la Normazione non può essere indifferente.
Se infatti, ai sensi della Legge 4/13, UNI ha mandato a definire la qualifica delle professioni non regolamentate, quale compito, ai sensi del D.Lgs 223/17, UNI deve svolgere nella sua attività «in particolare per la sicurezza dei servizi»? E quale è l'ambito della sicurezza di sua competenza: la sicurezza d'uso del servizio o la sicurezza nello sviluppo del processo del servizio e quindi anche la sicurezza sul lavoro, la tutela della salute e il diritto ad un lavoro dignitoso sancito dalla Costituzione (art.1-2-3-4-35-36-37-38-) anche per il fornitore del servizio?12
12Il decreto 101/19 (salva imprese) che definisce l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro dei rider è un primo passo verso la definizione di obblighi e diritti.
Temi tutti imprescindibili dalla Responsabilità Sociale e che costituiscono l'ossatura del nuovo Statuto UNI: «I principi a cui si ispira sono di affermare la dignità della persona e tutelare i Diritti Umani Fondamentali».
Il terzo episodio è il racconto di una riflessione mattutina, scritta d’impulso, sollecitata dalla osservazione della problematica realtà quotidiana.
«Mattina, Stazione Centrale ore 5,45. Avevo 24 anni e prestavo servizio militare come aviere semplice, siccome laureato, mi competeva una occupazione di concetto, cassiere al bar della aeronautica nei sotterranei della Stazione, non molto lontano dal binario 21. Incontravo allora la
Stessa ora oggi, non molto diversa l’umanità solo che, diversamente da allora, grazie alla tecnologia, in stazione, oltre alla «invisibile umanità» che fa toilette alle fontanelle di piazza Duca d’Aosta, si incontrano anche persone che con il treno alta velocità saranno a Roma alle 9 del mattino, ancor prima che gli uffici pubblici aprano ai cittadini.
Oggi come allora è però la «strana umanità» che attrae la mia attenzione, alcuni dei quali hanno sulle loro spalle lo zaino termico colorato con cui, consegneranno le vivande per la nostra comoda quotidianità.
Come faranno mai a sopravvivere, quali sono i loro sogni, come vivrebbero se avessero una casa dove rifugiare pensieri, affetti, problemi, quali effetti ha sulla loro salute questa vita disagiata?
Riflessioni di prima mattina non diverse da quelle che mi sovvengono tutti i giorni nella passeggiata al parco, solo che lì incontro oche, scoiattoli ed altri animali da cortile nati e cresciuti per vivere all’addiaccio.
Partito il treno leggo sulla prima pagina del Corriere della Sera: «INAIL condannata a riconoscere la malattia professionale per uso intensivo dei cellulari». Così ha sentenziato la Corte di Appello di Torino per un dipendente Telecom colpito da tumore al nervo acustico, con la motivazione del nesso causale “più probabile che non”.
Come non congiungere l’osservazione della realtà con la notizia. Come giustificare la differenza, la diseguaglianza tra la «strana umanità» della notte e chi frequenta la Stazione Centrale per un treno ad alta velocità: che società, che giustizia è quella che ignora i primi e per i secondi sentenzia e riconosce diritti ed indennizzi anche sulla base del nesso causale “più probabile che non”.
Forse servirebbe più equilibrio.
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Di certo la sentenza che porta attenzione al nesso causale “più probabile che non”, in materia di sicurezza e salute delle persone, sia come lavoratori, sia come utilizzatori di prodotti e servizi, nesso da cui possono derivare danni alla salute, pone una serie di problemi che non possono essere ignorati, anche da chi ha «una cultura ed uno stile manageriale che vuole dalle persone, tempo, energia e vita».
La sentenza infatti apre il campo della responsabilità oggettiva di chi mette in circolazione prodotti potenzialmente nocivi per la salute con, o senza, adeguata informazione. Infatti se il quadro delle regole - cogente o volontario- non definisce ed informa in modo corretto sui rischi, prima o poi qualche Giudice chiamerà, non solo INAIL per i danni alla salute sul lavoro- già questo è un problema - ma il produttore ed il distributore a rispondere nel merito dei danni causati “più probabile che non” da un prodotto od un servizio inadeguato.
Un aspetto che coinvolge sia chi fa le norme, sia chi accredita e certifica la conformità di un prodotto, un processo, un servizio e che ci deve far riflettere sulle frequenti sollecitazioni di chi, tra principi e interessi, anche nella Infrastruttura Qualità, ritiene che debba sempre vincere il mercato - cioè gli interessi - e sollecita una più esplicita propensione ad essere servi del mercato, a fare solo ciò che il mercato vuole perché il mercato paga e genera profitto.
Ma affidarsi alla forza del mercato non basta.
Se non vince il principio della attenzione verso l’altro, la sua sacralità, anche il solo freddo, cinico, interesse ci insegna che prima o poi, “c’è un giudice a Berlino”.
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“I vostri figli e vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni” profeta Gioele IV secolo a.C.
«I figli e le figlie saranno profeti significa che essi devono essere critici. La generazione più giovane verrebbe meno al suo dovere se, con la sua spigliatezza e con il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i responsabili, gli insegnati. Il profeta dice poi che la generazione di mezzo, coloro che sono responsabili, avrà delle visioni. Un vescovo, un parroco, una madre, un imprenditore: essi dovrebbero avere degli obiettivi per una comunità, una famiglia, una azienda (…). Il profeta rammenta agli anziani che devono trasmettere i sogni e non le delusioni della loro vita» Cardinale Carlo Maria Martini (Gesù –il Mulino)