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Covid 19 e impianti di ventilazione: le tecnologie per migliorare la qualità dell'aria interna

La pandemia da Covid-19 ha sollevato un nuovo interesse per l’impatto che i sistemi di condizionamento e gli impianti di ventilazione hanno sulla salute dell'uomo. Filippo Busato, presidente di AICARR, spiega quali componenti dovrebbe prevedere un efficiente impianto di trattamento dell'aria.

La pandemia da Covid-19 ha sollevato un nuovo interesse per l’impatto che i sistemi di condizionamento e gli impianti di ventilazione hanno sulla salute dell'uomo.

Se fino a qualche tempo fa la ricerca e l'innovazione puntavano a sviluppare impianti HVAC (heating, ventilation and air conditioning) sempre più sostenibili, in grado di consumare meno energia e garantire maggiore comfort, oggi viene data grande attenzione al contributo che tali sistemi possono dare per tutelare la salute dell'uomo, a esempio riducendo i rischi di infezione da virus.

Tecnologie di sanificazione dell'aria come la ionizzazione, l’ozonizzazione e la microfiltrazione stanno dando ottimi risultati, ma come evidenziato da Filippo Busato, presidente di AICARRl'Associazione italiana condizionamento dell'aria, riscaldamento e refrigerazione, è sempre importante ricordare che sono due i pilastri su cui si basa la qualità dell’aria indoor: diluizione e filtrazione.

 

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I sistemi HVAC per la qualità dell'aria indoor

Ing. Busato, gli impianti per il riscaldamento, la ventilazione e il condizionamento dell'aria (HVAC), possono contribuire alla riduzione degli effetti pandemici? Come?

«Sicuramente sì, soprattutto se parliamo di sistemi di condizionamento che prevedono il ricambio dell’aria interna con quella esterna e la filtrazione dell’aria ricircolata o immessa. Diluizione e filtrazione: questi sono i due pilastri su cui si basa la qualità dell’aria indoor e che, abbinati, sono in grado di ridurre gli effetti pandemici e migliorare la salute degli occupanti. Tuttavia voglio fare una premessa».

Quale?

«È un peccato che questo nuovo interesse sia scaturito in seguito alla pandemia ma allo stesso tempo, ovviamente, era ora. Come ho evidenziato nell’editoriale del numero 66 di AICARR Journal, ci vorrebbe maggior attenzione nei confronti di coloro che progettano, installano, mantengono e gestiscono gli impianti di climatizzazione, così come per chi fa ricerca e cultura su questo tema. Negli anni ‘70 e ‘80 abbiamo vissuto la sindrome degli edifici malati, per la quale sembrava che alcune malattie respiratorie, non necessariamente patogeni virali, si diffondessero più facilmente e con maggiore frequenza all’interno degli ambienti confinati. Si tratta di una sindrome diffusa in edifici scarsamente ventilati, dove non si aprono con sufficiente frequenza le finestre e vi è l’emissione di sostanze organiche volatili dal mobilio o introdotte dall'esterno. Tra le fonti di inquinamento indoor vi sono le emissioni di solventi, il deposito di polveri e poi i bioeffluenti, ossia le sostanze emesse dal corpo umano così come l’anidride carbonica. Nei primi anni ‘20 del secolo scorso, l’Ing. Gramberg scriveva che il corpo umano emette venti litri l’ora di CO2 e il corrompimento massimo dell’aria non deve superare lo 0,1 per cento, corrispondente a circa mille parti per milione (BPM), mentre all’esterno la concentrazione di CO2 è di 400 parti per milione (PPM). Gramberg calcolò che per ogni persona sono necessari almeno 30/40 litri al secondo di aria fresca proveniente dall’esterno. Da quel momento in poi è cresciuta la consapevolezza che occorre ricambiare l’aria all’interno degli ambienti».

Comportamenti oggi più che mai fondamentali per ridurre il rischio di contagio SARS-CoV-2...

«Il virus si accumula esattamente come gli altri inquinanti prodotti dall’uomo. Ventilare e ricambiare l’aria interna con quella fresca esterna aiuta a diluire il contaminante e questo contibuisce a ridurre la probabilità di contagio negli ambienti interni. Negli spazi chiusi, infatti, benché venga mantenuta la distanza di un metro e mezzo o più, il virus viene aerotrasportato o aerosolizzato attraverso le particelle che, galleggiando nell’aria, raggiungono poi le vie respiratorie. Ovviamente più particelle virali si accumulano, più aumenta la probabilità di contagio. Il ricambio d’aria con l’esterno, quindi, è una soluzione molto efficace con la quale, oltre a migliorare la qualità dell’aria indoor, si può abbassare il rischio di contagio e un sistema HVAC che ricambia l’aria correttamente è di grande aiuto. Tuttavia non basta, un sistema davvero efficace deve prevedere anche dispositivi per la filtrazione dell’aria».

 

Il ricambio e la filtrazione dell'aria per ambienti salubri

Perché è importante anche la presenza di sistemi filtranti?

«Viviamo nel pregiudizio che l’aria esterna sia migliore di quella interna, senz’altro ha minori concentrazioni di inquinanti prodotti dall’uomo, ma non è detto che sia più pulita, pensiamo a esempio all’elevata concentrazione di smog di alcune zone particolarmente trafficate delle città o la vicinanza a impianti industriali. Un sistema che porta aria esterna dentro agli ambienti, da solo non può garantire una perfetta igiene. Ecco perché è importante la filtrazione. I due elementi chiave per garantire una buona qualità dell’aria interna sono l’impianto per il ricambio d’aria, per la diluizione degli inquinanti come a esempio i virus e poi l’impianto per la filtrazione, quindi la rimozione meccanica, elettrostatica o chimica degli inquinanti. Il sistema, che può prevedere anche dei dispositivi con filtri assoluti, purifica l’aria ricircolata interna e aiuta a trattenere le particelle che eventualmente potrebbero contenere cariche virali».

 

Ionizzazione, ozonizzazione e microfiltrazione per la sanificazione dell'aria

In una precedente intervista ci aveva parlato di soluzioni per la ventilazione «Covid-ready»di potenziali tecniche innovative come microfiltrazione, ionizzazione, ozonizzazione. Sono stati fatti passi in avanti su questo fronte?

«Certamente, sono tutte tecnologie valide per la filtrazione, soprattutto i cosiddetti filtri assoluti HEPA, che però sono più costosi e richiedono che l’impianto abbia una maggiore potenza dei ventilatori per garantire le stesse portate d’aria. Le tecniche della ionizzazione, così come l’ozonizzazione e la microfiltrazione stanno dando ottimi risultati, le sperimentazioni condotte nel corso dell’ultimo anno hanno portato a brevetti e prove sperimentali sul campo anche certificate da Istituti di medicina e sono già disponibili sul mercato. Altri tipi di soluzioni per la sanificazione continuativa degli ambienti potrebbero arrivare a breve ed essere molto efficienti. Tuttavia, come sostengo da sempre, la soluzione vincente non è una, ma è l’insieme dei dettagli di tutte le tecniche che vengono adottate. Un impianto di puro ricambio con aria esterna può difendere dal virus, ma magari può provocare allergie, forme di asma o generare malattie polmonari se si tratta di aria inquinata. È necessario quindi un sistema di ventilazione accoppiato a uno di filtrazione, ionizzazione, ozonizzazione o di trattamento con raggi UVA o altri trattamenti ugualmente efficaci».  

Cosa consiglia a chi sta progettando di cambiare l’impianto di trattamento dell’aria di un locale come un ristorante, un bar, una palestra o un altro luogo aperto al pubblico?

«L’esigenza primaria è quella di installare impianti per il ricambio e la distribuzione corretta dell’aria negli ambienti, è inutile immettere grandi portate se queste non vengono diffuse nel modo giusto. Lo scopo è garantire un’efficienza di ventilazione adeguata. Avere quattro litri al secondo a persona, distribuiti con efficienza “uno” equivale ad avere 8 litri al secondo a persona (portata doppia) diffusa con efficienza 0,5. L’efficienza di ventilazione può avere importanti conseguenze anche dal punto di vista energetico. Quindi non è la quantità d’aria immessa in assoluto che è importante, ma è l’insieme di quantità d’aria ed efficienza di ventilazione. Questo è l’obiettivo primario, poi occorre installare un sistema di rimozione dei contaminanti dell’aria interna, come è stato richiamato in precedenza». 

Come avviene la corretta diffusione dell'aria all'interno di un ambiente confinato? Il ricambio, quindi l'aspirazione dell'aria interna, non crea correnti e movimentazione, spostando eventuali cariche virali da una parte all'altra?

«Le cariche virali in aerosol si diffondono abbastanza uniformemente in un ambiente con aria in quiete e la loro concentrazione eventualmente cresce data la presenza di una sorgente che le diffonde (la presenza dell’infetto). L’introduzione di aria esterna e la rimozione di aria interna genera l’effetto di dilazione di cui si è parlato in precedenza e determina la riduzione della concentrazione “media” in ambiente. Una corretta distribuzione dell’aria non deve creare velocità eccessive, né correnti, la bravura e la competenza di un progettista, dei costruttori, e la consapevolezza della committenza devono creare realizzazioni corrette, confortevoli, efficienti e sicure».

Alla luce degli attuali incentivi e del ripensamento della funzione della casa ai giorni nostri, come evolveranno i sistemi HVAC in futuro? 

«Purtroppo al momento gli incentivi non riguardano ancora gli impianti di ventilazione, anche se mi auguro che l’attenzione verso questo tema cresca nel tempo. Spero che prima o poi si prevedano incentivi anche per questo tipo di impianti che, attenzione, aumentano di poco i consumi di energia, ampiamente compensati da quella risparmiata. Un impianto di ventilazione porta aria dall’esterno verso l’interno e viceversa, recuperando il calore dell’aria in uscita e cedendolo all'aria in ingresso, consentendo di risparmiare sui costi. Dunque l’impianto di ventilazione fa risparmiare. A riguardo, in uno dei prossimi numeri di AICARR Journal ci sarà un articolo che riporta un’analisi fatta su un edificio scolastico e che confronta il costo energetico dovuto all’apertura delle finestre con quello derivante da un impianto di ventilazione. Migliorare la qualità e la salubrità dell’aria, aumentare il comfort indoor e ridurre il costo energetico di gestione dell’edificio è possibile. Il mio augurio è che il Legislatore decida di incentivare queste soluzioni».

In generale su quali innovazioni tecnologiche si sta puntando?

«Sicuramente i bravi progettisti, i costruttori, gli installatori e i manutentori conoscono molto bene il tema e le soluzioni proposte che, vale la pena ricordarlo, non sono un “pensiero unico”, ma devono essere declinati secondo gli schemi più adatti per ciascuna differente tipologia di utenza: residenziale, terziario, sanità, industria, ospitalità. Non esiste LA soluzione, ma tante soluzioni diverse, è la cultura impiantistica a fare la differenza, ovviamente bisogna darle la giusta considerazione. La più grande sfida del futuro dell’impiantistica sarà quella di coniugare i due imperativi di una migliore qualità dell’aria e di una sempre più elevata efficienza energetica: il bene dell’ambiente interno, lo spazio confinato, e quello dell’ambiente esterno, quello naturale e delle risorse sempre più limitate nei confronti di una popolazione crescente».

 

La nuova normativa sui gas refrigeranti e gli impatti sul mercato

Il Regolamento europeo sui gas refrigeranti impone una serie di obblighi che entreranno in vigore nei prossimi anni. Di cosa si tratta esattamente e che impatto avrà tale adeguamento normativo sul mercato? 

«I gas refrigeranti sono i fluidi che si trovano anche all’interno dei cicli frigoriferi e delle pompe di calore e servono per produrre caldo o freddo. Oggi vi è la necessità di avere sostanze a basso impatto ambientale e più sostenibili, ma incentivare questo cambiamento nell’industria non è semplice. Uno dei fluidi oggi di maggior impiego nel condizionamento dell’aria e che verrà progressivamente sostituito è l’R410A, una miscela di due gas, che non contribuisce alla scomparsa dello strato di ozono ma ha un potenziale di riscaldamento globale elevato. Come soluzione a tutto questo, probabilmente si opterà per nuovi refrigeranti (perlomeno in ottica di transizione) che si differenziano da quelli attuali per una migliore sostenibilità ambientale ma che hanno alcuni aspetti di sicurezza da tenere in maggiore considerazione, poiché si tratta di fluidi blandamente infiammabili (come lo erano i refrigeranti della cosiddetta “prima generazione”, tra cui molti idrocarburi). Naturalmente questa transizione dovrà avvenire con la partecipazione della normativa, attenta e in continua evoluzione. È necessario utilizzare fluidi che abbiano un basso impatto ambientale anche se con qualche rischio in più come una moderata infiammabilità. Tuttavia credo che in futuro non troppo lontano torneremo a usare fluidi di tipo naturale per la climatizzazione. In ogni caso, i costruttori si stanno già organizzando per trasformare il loro parco macchine con nuovi refrigeranti, ma non sarà solo un adeguamento, sarà l’occasione per progettare impianti più efficienti, sicuri e che garantiranno un maggior comfort. Tale cambiamento può diventare un’occasione per l’industria, che se inizialmente si è sentita vincolata, ora deve vederlo come stimolo verso una transizione che punti alla sostenibilità, quindi penetrazione delle rinnovabili sul lato generazione e invece per quello che riguarda l’utilizzo, tecnologie sempre meno impattanti dal punto di vista della CO2 e dell’effetto serra».

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