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PROFESSIONISTI e IRAP: farsi aiutare dai colleghi non è un presupposto per il pagamento

PROFESSIONISTI e IRAP:

Non basta che il professionista che si avvalga dell’aiuto di colleghi di altri studi professionali per fare scattare l'obbligo del versamento dell'IRAP.

È quanto emerge dalla sentenza n. 15020/2014 della Suprema Corte di Cassazione in tema di assoggettamento ad IRAP dell’attività di lavoro autonomo. Un tassello in più per andare a chiarire, se fosse possibile, la complessa regolamentazione del rapporto tra lavoro autonomo e versamento dell’IRAP, che si basa sul fatto che il libero professionisti  abbia  un'attività autonomamente organizzata.

Il requisito della autonoma organizzazione dovrebbe ricorrere quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili a responsabilità ed interesse di altri, e pure nel caso in cui impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Il problema principale è che spetta  al contribuente fornire le prove che non sussistano tali condizioni. Per questo motivo molti commercialisti suggeriscono di versare l'IRAP e poi chiedere il rimborso.

 

La sentenza n. 15020/2014 della Suprema Corte di Cassazione

Un commercialista ha chiesto il rimborso dell’IRAP versata negli anni dal 1998 al 2003, assumendo l’assenza di autonoma organizzazione (presupposto impositivo). L’Amministrazione finanziaria ha pero? opposto un silenzio-rifiuto di cui e? stata prontamente interessata la CTP di Milano, che ha accolto l’impugnazione del professionista. Di poi la sentenza della CTR Lombardia che, in accoglimento del ricorso dell’Ufficio, ha negato il diritto al rimborso. A questo punto la parola e? passata ai supremi giudici, i quali hanno sancito definitivamente ila diritto del ricorrente alla restituzione dell’imposta indebitamente versata. Sbaglia il giudice dell’appello nel ritenere sussistente l’autonoma organizzazione per il caso di un dottore commercialista che opera da solo, senza dipendenti o collaboratori, servendosi soltanto di alcuni beni - come un pc, i mobili per l’ufficio e un’utilitaria a uso promiscuo – “e ricorrendo saltuariamente, per le competenze estranee al proprio lavoro, ad altri professionisti con proprio studio separato e diverso dal proprio”. La CTR ha ritenuto sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione, “non essendo l’attivita? professionale in questione vincolata a coordinamento e controllo altrui; di talche?, trattandosi di prestazioni prettamente intellettuali che richiedono comunque l’utilizzo di immobilizzazioni tecniche, esse vanno razionalmente organizzate, di guisa che non puo? disconoscersi l’assoggettamento ad Irap”. A far pesare l’ago della bilancia a favore dell’Erario e? stata anche la considerazione “che di certo il contribuente si avvaleva di una sia pur minima organizzazione, che costituisce il presupposto indispensabile per procedere all’applicazione dell’imposta”; circostanza desumibile, secondo la CTR, “dall’entita? di voci come gli importi dei compensi dichiarati, il valore complessivo dei beni strumentali utilizzati e l’elevato importo dei compensi corrisposti a terzi”.

Ebbene, il ragionamento della CTR non ha per nulla convinto i giudici tributari del Palazzaccio, che ritengono la ratio decidendi della sentenza gravata non conforme al consolidato principio secondo cui, a norma del combinato disposto degli articoli 2, comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 446/97, l’esercizio delle attivita? di lavoro autonomo e? escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attivita? non autonomamente organizzata.

Il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilita? e interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il
minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivita? in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

In definitiva la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso del professionista e, decidendo la causa nel merito, ha condannato il Fisco al pagamento delle spese processuali.