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ASSEMBLEA ANCE 2016, De Albertis: Dobbiamo tornare a essere capaci di guardare lontano

SINTESI RELAZIONE DEL PRESIDENTE CLAUDIO DE ALBERTIS ALLA'ASSEMBLEA ANCE 2016

SINTESI DELLA RELAZIONE DEL PRESIDENTE CLAUDIO DE ALBERTIS ALL'ASSEMBLEA ANCE 2016
 
Una nuova Europa per lo sviluppo
 Servono coraggio e responsabilità per restituire la prospettiva di un futuro di crescita e di prosperità al nostro Paese e all’Europa intera.
Lo shock collettivo provocato dalla Brexit ha portato alla ribalta l’insostenibilità del dogma dell’austerità, che per troppi anni ha guidato la politica europea. In particolare, la rinuncia a investire per lo sviluppo, per il benessere e per la crescita dell’occupazione, insieme alla mancanza di una politica coerente e unitaria sull’immigrazione, hanno portato all’esplosione dell’insoddisfazione e della rabbia di quelli che si sono sentiti tagliati fuori da ogni prospettiva di crescita e di miglioramento.
Bisogna fare dell’Europa il luogo della qualità della vita, dell’innovazione, della crescita economica, del lavoro e delle politiche sociali. A questo proposito voglio ricordare le battaglie condotte in questi anni dall’Ance, che è stata tra i primi a lanciare l'allarme sull’errore nel quale i tecnocrati europei stavano cadendo, imponendo vincoli economici che di fatto hanno soffocato qualsiasi tentativo di ripresa, in Italia come in molti altri Paesi dell’Unione. E qualcosa su questo fronte è stato ottenuto.
 
L’azione dell’Italia: clausola di flessibilità per investimenti e cancellazione Patto di stabilità
Grazie all’azione del Governo, che ha agito con decisione in ambito europeo per l’allentamento dei vincoli imposti dalla Ue, è stata varata la clausola di flessibilità per gli investimenti che potrà consentire un aumento importante nel 2016 della spesa per investimenti.
Accanto a questo, il Governo ha finalmente previsto, nella legge di Stabilità per il 2016, la cancellazione di quel Patto di stabilità interno che per otto anni ha di fatto bloccato gli investimenti degli enti territoriali, impedendo la realizzazione di interventi fondamentali per il Paese e soprattutto per il benessere e la qualità della vita dei cittadini. Oggi questi interventi sono tornati ad essere possibili, e lo dimostra, nel primo trimestre del 2016, il rilevante aumento delle spese sostenute dai Comuni per la riqualificazione del territorio (+3% la spesa per infrastrutture), la lotta al dissesto idrogeologico, la manutenzione e l’ammodernamento delle scuole.
 
Un necessario cambio di rotta nella politica europea
Per sopravvivere è necessaria più libertà d’azione agli Stati nelle politiche di investimento, consentendo che si faccia ciò che veramente serve per far ripartire la crescita nei singoli Paesi: gli investimenti nell’innovazione, nella cultura, nell’ammodernamento del territorio, nella scuole e nell’università, nella rigenerazione delle città e delle periferie.
Sul fronte degli investimenti, l'Unione deve continuare sulla strada tracciata dal piano Juncker, che però va non solo ampliato e potenziato, ma anche adeguatamente comunicato ai cittadini dei Paesi europei, che devono essere messi in condizione di comprenderne l'importanza e il ruolo propulsivo per l'economia del continente.
Fondamentale, in questo scenario, è il ruolo del Governo italiano, che deve proseguire nell'importante azione di stimolo. Cruciale, in particolare, è la proposta avanzata dall’Esecutivo alle cancellerie europee di ampliare la flessibilità concessa agli Stati membri, in termini di budget sia europeo che nazionale, sui capitoli di investimento più strettamente connessi al recupero di competitività, facendo di questa libertà d'azione una scelta strutturale e non più una tantum.
Cinque priorità per un grande Piano industriale e infrastrutturale
Quello che oggi serve è un grande Piano di sviluppo industriale e infrastrutturale capace di rinnovare in profondità il Paese, consentendogli di superare una volta per tutte il ritardo decennale accumulato nella dotazione di infrastrutture materiali e immateriali e rilanciando nello stesso tempo la produttività delle imprese e la ripresa dell'occupazione.
E’ quindi necessario mettere in campo al più presto tutti i fondi possibili per questo obiettivo.
Secondo le nostre valutazioni sarebbe possibile mettere in campo 30 miliardi di euro nei prossimi 3 anni, attraverso l’utilizzo delle risorse esistenti e una rinnovata flessibilità per gli investimenti a livello europeo.
Cinque le linee d’azione prioritarie:
1.    La manutenzione e il miglioramento delle infrastrutture esistenti per garantire il mantenimento di adeguati livelli di servizio e di sicurezza.
2.    L’accelerazione e l’ampliamento del piano di riqualificazione degli edifici scolastici.
3.    L’assegnazione delle risorse necessarie alla realizzazione del piano pluriennale di riduzione del rischio idrogeologico annunciato a novembre 2014.
4.    L’investimento sui beni culturali e sul turismo, come risorse da utilizzare al meglio per avviare, soprattutto nel Mezzogiorno, nuovi progetti di crescita economica.
5.    Il recupero e il risanamento infrastrutturale e sociale delle periferie. Troppo spesso luoghi dell’esclusione, del degrado e della povertà ai quali va restituita piena dignità.
 
Un Piano nazionale per le periferie
Per questo è necessario un Piano nazionale per le periferie da almeno 5 miliardi di euro gestito da una cabina di regia governativa che individui non solo le aree a maggior rischio, ma anche le modalità di intervento da mettere in atto. E' evidente che, in questa prospettiva, il settore delle costruzioni è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale.
Le imprese di costruzione sono pronte a fare la propria parte, mettendo a disposizione del Paese, come già hanno fatto 70 anni fa nella grande opera di ricostruzione seguita alla seconda guerra mondiale, la propria sapienza costruttiva, il know how tecnico, insieme alla profonda conoscenza del territorio e delle sue esigenze.
Un grande sistema imprenditoriale che vuole ripartire
Tutto ciò costituisce una grande sfida per un settore imprenditoriale che oggi, dopo le gravi lacerazioni prodotte da otto anni di crisi ininterrotta che hanno portato alla uscita dal mercato di oltre 100 mila imprese e di circa 600 mila lavoratori, chiede solo di essere messo in condizioni di riprendere la propria attività nell'interesse del Paese e dei propri lavoratori e di poter operare in un quadro di certezza di risorse e di chiarezza e efficacia delle regole.
Gli effetti sarebbero notevoli per l’intera economia. Basti pensare che in Italia, il settore effettua acquisti di beni e servizi dall’88% dei settori economici (31 settori su 36 sono fornitori delle costruzioni) rivolgendosi quasi esclusivamente alla produzione interna. Rilevanti anche gli effetti moltiplicativi innescati dalle costruzioni: una domanda aggiuntiva di un miliardo di euro nel settore genera una ricaduta complessiva nell’intero sistema economico di oltre 3 miliardi e mezzo di euro e quasi 16mila nuovi posti di lavoro.
 
Codice degli appalti: rivoluzione da condividere, ma servono periodo transitorio e alcuni aggiustamenti
Il nuovo Codice degli appalti, entrato in vigore il 19 aprile scorso, ha introdotto una serie di importanti cambiamenti. Una vera e propria rivoluzione di cui, come Ance, abbiamo condiviso e condividiamo l'impostazione generale e gli obiettivi, mirati non solo a rendere più efficiente e trasparente il mercato dei lavori pubblici, ma soprattutto a combattere in modo forte l’illegalità e la corruzione.
Ma, come succede in ogni rivoluzione, il miglioramento diventa effettivo e apprezzabile solo dopo un periodo di assestamento che consenta al nuovo ordine di venire assimilato. Lo dimostra la forte contrazione dei bandi di gara registrata all'indomani dell'entrata in vigore delle nuove regole. Un rallentamento che tuttavia, come ha sottolineato anche il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, potrà essere rapidamente corretto e recuperato grazie all'impegno delle pubbliche amministrazioni a fare uno sforzo straordinario per adeguarsi rapidamente al nuovo sistema, tornando così a mettere al più presto in gara le opere.
 
Una moratoria per l’appalto integrato per non bloccare i cantieri
La norma del nuovo Codice che prevede l'obbligo per le stazioni appaltanti di mettere in gara esclusivamente appalti basati su un progetto esecutivo, per quanto giusta nei principi e condivisibile negli obiettivi, rischia infatti di rappresentare un ostacolo non superabile nel giro di qualche mese.
Questa nuova regola impedirà di fatto, per un tempo che a oggi non è possibile quantificare ma che non potrà certo essere breve, la messa in gara di tutti quei lavori concepiti secondo la logica dell'appalto integrato prevista dal vecchio ordinamento. Si tratta di un significativo volume di interventi, già pronti e sul punto di essere mandati in gara sulla base di progetti definitivi e non esecutivi, destinati, se non verrà prevista una temporanea sospensione della nuova norma, a rimanere nei cassetti della pubblica amministrazione. Per questo chiediamo al Governo di varare una moratoria che fino al 31 dicembre 2016 consenta alle pubbliche amministrazioni di bandire le gare già pronte basate su progetti definitivi.
 
Le criticità da correggere
Partendo da una logica trasparente di collaborazione e confronto con il legislatore di cui condividiamo totalmente l'obiettivo dell'efficace e corretto funzionamento del sistema italiano degli appalti, ci preme sottolineare alcune criticità del nuovo impianto normativo.
In primo luogo chiediamo che venga previsto il subappalto nel limite del 30% riferito alla categoria prevalente, e non all’importo complessivo dell’appalto, e del 100% nel caso delle categorie scorporabili, al netto delle superspecialistiche, e chiediamo inoltre che venga superata la norma che prevede l’obbligo di nominare in gara la terna dei subappaltatori.
Sul fronte delle opere di urbanizzazione a scomputo secondarie, di importo inferiore alla soglia comunitaria, chiediamo che venga recuperata la possibilità di svolgere la procedura negoziata senza bando invece della procedura ordinaria con pubblicazione del bando che viene prevista dal nuovo Codice. Il rischio, altrimenti, è che non vengano realizzati in tempi utili i servizi essenziali di supporto al vivere ed all’abitare come strade, scuole ed asili nido.
Per quanto riguarda la qualificazione delle imprese, chiediamo invece due modifiche che nascono dall’esigenza di tenere conto della pesante situazione delle imprese dopo 9 anni di profonda crisi che ne ha ridotto drasticamente i fatturati. Per questo riteniamo essenziale, per la qualificazione Soa, utilizzare l’ultimo decennio e non il quinquennio per dimostrare il possesso dei requisiti necessari all’ottenimento della qualificazione. Analoga la richiesta relativa alla qualificazione per importi sopra i 20 milioni di euro, per la quale chiediamo che, ai fini della dimostrazione del requisito della cifra di affari, venga ripristinata la possibilità di utilizzare i migliori 5 anni degli ultimi 10 antecedenti la data di pubblicazione del bando.
Vi è infine il punto del sistema di affidamento degli appalti. Su questo tema ci sono stati molti fraintendimenti. Credo valga la pena di fare chiarezza.
Un milione è la soglia al di sopra della quale le stazioni appaltanti sono obbligate ad affidare i lavori con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa e sotto questa soglia possono affidare i lavori con l’esclusione automatica delle offerte anomale con il meccanismo anti turbativa. La scelta di privilegiare l’offerta più vantaggiosa è condivisa dall’Ance perché costringe le stazioni appaltanti e le imprese a ragionare sulle offerte e sulla scelta più qualificata. Ma dal nostro mondo viene espressa la preoccupazione che l’applicazione di questa normativa a stazioni appaltanti ben lontane dall’essere qualificate (si stanno ancora definendo le linee guida sul tema) e la mancanza sotto la soglia comunitaria dell’obbligo di sorteggiare nell’albo dell’Anac i commissari per la valutazione delle offerte, possa portare ad una fase di opacità o peggio a fenomeni di corruzione.
Chiediamo al Ministro se, per il tempo necessario alla qualificazione delle stazioni appaltanti e al consolidamento dei meccanismi di scelta di commissari di gara al di sopra di ogni sospetto, si possa permettere alle stazioni appaltanti la possibilità di utilizzare il sistema della esclusione automatica delle offerte anomale con il metodo antiturbativa fino all’importo di 2,5 milioni.
Lungi da noi l’idea di difendere alcuni per condannarci alla sparizione di tutti. Vogliamo che emergano le vere imprese che fanno offerte consapevoli e che sono in grado di adempiere agli impegni contrattuali senza barare al gioco.
Un nuovo modello di impresa per lo sviluppo e la competitività
 E’ necessario che il Governo vari finalmente un progetto di politica industriale che sostenga le imprese di costruzione in una fase della vita del Paese in cui sono chiamate a svolgere un ruolo più che mai strategico per lo sviluppo e la competitività.
Le costruzioni devono essere messe in condizione di affrontare un mercato profondamente cambiato nelle logiche interne e nei moventi che spingono la domanda dei cittadini. Una nuova domanda che oggi non può prescindere dalla sostenibilità ambientale ed economica del prodotto edile e da una funzionalità e vivibilità direttamente proporzionali alle esigenze di benessere e qualità della vita.
Deve finalmente affermarsi un nuovo modello d’impresa più competente, più professionale, più strutturato ma, soprattutto, inserito in una rete di imprese specializzate e coordinate in modo continuativo e stabile tra di loro, con una spiccata propensione alla ricerca e all’innovazione dei prodotti e dei servizi.
La prima grande sfida che ci chiama a rivedere i paradigmi organizzativi e produttivi è “Industria 4.0”, che mira a introdurre e a rendere strutturali i sistemi di digitalizzazione e informatizzazione in tutti i processi produttivi. Una vera rivoluzione che riguarderà anche le costruzioni.
E’ la grande frontiera del Bim, che per le costruzioni è sinonimo di un nuovo modo di gestire i sistemi organizzativi e produttivi.Digitalizzazione in edilizia significa governo dei processi aziendali e costruttivi, attraverso un sistema che riduce i rischi di errore e di conseguenza abbassa i costi e aumenta la qualità del prodotto. Ma significa anche, e soprattutto, creazione di un nuovo rapporto di integrazione e di fidelizzazione capace di mettere insieme le competenze di tutti coloro che interagiscono nella lunga filiera delle costruzioni.
 
La sfida dell’economia circolare: un ruolo di primo piano per l’edilizia
Il recente Piano d’Azione europeo sull’economia circolare considera il settore edile come prioritario. Ma l’obiettivo di recuperare il 70% dei rifiuti da costruzione e demolizione, fissato dalla Commissione Europea per il 2020, appare per l’Italia ancora lontano.
Nel nostro Paese la pratica del recupero di rifiuti da costruzione e demolizione è ancora trascurata. Va assolutamente incrementata, anche con opportuni interventi normativi ed amministrativi, non solo la diffusione degli impianti di recupero sul territorio, ma anche la possibilità di effettuare le operazioni di riutilizzo direttamente sul luogo di produzione.
 
La leva fiscale per promuovere la sostituzione edilizia e l’efficientamento energetico
Il patrimonio immobiliare italiano richiede una profonda e radicale opera di ammodernamento, in termini di sicurezza, efficienza e qualità. Lo stock abitativo è costituito da 12,2 milioni di edifici (31,2 milioni di abitazioni) di cui il 70% costruito prima del 1974, e cioè prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica. Un patrimonio che evidentemente richiede una massiccia azione di riqualificazione e sostituzione che consenta di dare risposte alla domanda di qualità dell’abitare che cresce e si rafforza nel Paese.Come dimostrano, peraltro, i dati sulla crescita dei livelli produttivi degli investimenti in riqualificazione del patrimonio abitativo, giunti ormai a rappresentare quasi il 40% del mercato.
E su questo fronte un ruolo essenziale lo ha giocato e deve continuare a farlo l’uso intelligente della leva fiscale. Le misure per la casa che sono state introdotte con l’ultima Legge di Stabilità sono andate in questa direzione. Sia con la conferma, in misura potenziata, delle detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica, ma anche e soprattutto con la riduzione dell’Iva per l’acquisto di case in classe energetica elevata.
Questo ha consentito di indirizzare la domanda verso prodotti di alta qualità, superando finalmente la disparità di trattamento fiscale tra l’acquisto di case di nuova generazione dalle imprese e l’acquisto di immobili obsoleti ed energivori dai privati. Ma se si vuole portare a compimento un progetto di vera e propria rigenerazione del tessuto urbano del Paese, è necessario rendere permanenti tutte le agevolazioni dirette a premiare sia l’acquisto ed il possesso di fabbricati nuovi a standard energetici elevati sia gli interventi sul già edificato rivolti alla riqualificazione energetica, con una rimodulazione delle attuali agevolazioni (la cosiddetta “detrazione del 65%”), in modo da premiare le riqualificazioni capaci di ottenere i migliori risultati in termini di risparmio energetico ed economico.
 
Un vero progetto di rigenerazione urbana
Il tema della rinascita e della rigenerazione urbana costituisce da anni una questione centrale per il futuro del Paese. Ci vuole un progetto vero e pensato, che deve partire con la messa in campo delle azioni più urgenti, mirate a restituire in tempi brevi vivibilità e qualità della vita con interventi mirati su mobilità, trasporti, ambiente, casa e spazi pubblici. Per innescare questo processo occorre semplificare a livello tecnico e amministrativo, rendendone nello stesso tempo conveniente la realizzazione, una serie di interventi intelligenti sul tessuto urbano, che consentano di far rinascere la città da se stessa senza nuovo consumo di suolo.
Bisogna, in altre parole, promuovere concretamente la sostituzione edilizia, consentendo la rottamazione degli edifici e dei quartieri obsoleti e di scarsa qualità costruttiva. Su questo l’Ance ha già individuato e presentato al Governo alcune proposte, nelle quali si chiede non solo un’organica ed efficace programmazione dei fondi pubblici disponibili, ma anche misure fiscali mirate e una regolamentazione urbanistica che consenta questo tipo di interventi garantendo semplificazione delle procedure e certezza dei tempi.
 
Una finanza per la crescita
In questi giorni stiamo assistendo al crollo del sistema bancario e finanziario europeo. Una situazione di debolezza pericolosa che dimostra come molte delle scelte compiute dal nostro sistema bancario fossero in realtà molto meno sicure di quanto credessimo. Nonostante ciò abbiamo visto, nel corso di questi anni, un totale irrigidimento del sistema bancario nei confronti delle nostre imprese a causa di una presunta pericolosità sistemica del nostro settore.
Una valutazione dovuta, in primo luogo, alla cronica sotto capitalizzazione delle nostre imprese, ma anche alla loro incapacità di presentare i propri progetti in modo chiaro e sostenibile
C’è bisogno, da parte delle nostre imprese, di un salto culturale importante e l’Associazione sta lavorando, insieme al Governo, per sviluppare strumenti utili per la patrimonializzazione e per migliorare l’accesso al credito delle imprese. I progetti a cui il Ministero dello Sviluppo economico sta lavorando in questo campo, come la rivisitazione dei criteri di accesso al Fondo di Garanzia per le pmi o il progetto pilota sulla capitalizzazione, hanno il nostro pieno appoggio e speriamo che vedano la luce al più presto. Ma serve anche un diverso atteggiamento da parte della finanza verso le imprese di costruzione.
Oggi non è più accettabile una chiusura indiscriminata verso tutto il settore. Vogliamo che il nostro interlocutore entri nel progetto, lo condivida, si persuada della bontà della proposta.
Ieri abbiamo firmato un accordo con un primario Istituto per compiere insieme un percorso condiviso che porti a criteri di finanziabilità equi, trasparenti, comprensibili.Naturalmente l’Associazione è disponibile ad aprire altri tavoli con tutti i soggetti, banche, fondi di private equity, fondi di private debt, fondi pensione, che volessero ritornare a finanziare l’economia reale.
Questo vuol dire finanza per la crescita.
 
Contratto di cantiere per la sicurezza dei lavoratori
I lavoratori dell’edilizia rappresentano il principale patrimonio delle nostre imprese e costituiscono ben il 25% degli occupati dell’industria nel Paese. La loro sicurezza è da sempre al centro dell’impegno dell’Associazione, che non ha mai abbassato la guardia su un tema su cui qualunque risultato, anche positivo, non potrà mai essere considerato sufficiente.
Forte da sempre è anche la nostra azione contro il lavoro irregolare, che costituisce una delle principali cause degli infortuni nei cantieri e che l’Ance combatte e ha combattuto a fianco dei sindacati. Proprio in questi giorni ho chiesto ai sindacati di varare, in vista dell’apertura delle trattative per il rinnovo contrattuale, un Avviso comune che contenga una serie di proposte condivise sulla normativa del lavoro in cantiere da presentare al Governo.
Sono infatti convinto che si debba mettere il cantiere al centro dell’attenzione, per meglio regolare e gestire le difficoltà che nascono dalla compresenza in esso di soggetti e lavorazioni numerosi e diversi, che rendono complessa l’articolazione delle responsabilità e l’applicazione delle disposizioni legislative sulla sicurezza. Ed è per questo che ho spesso parlato di contratto di cantiere, senza con questo voler travalicare i confini contrattuali di altre categorie di imprese e di lavoratori.
Un contratto che dovrebbe prevedere norme, controlli e buone prassi finalizzate a imporre il rispetto delle regole nell’ambito delle molteplici attività del cantiere, compresa la rigorosa applicazione dei contratti attinenti alle specifiche lavorazioni. Il mio obiettivo è mettere in atto una regia complessiva nella singola unità produttiva, a sostegno della quale siamo pronti a mettere a disposizione i nostri enti bilaterali.
Un'altra questione cruciale per il nostro settore è quella del costo del lavoro, che resta tra i più alti a livello europeo. Un gap che incide fortemente sulla competitività delle nostre imprese, non solo nel mercato interno ma anche su quello estero, e sul quale sono necessari interventi da parte del Governo, alcuni dei quali risultano oggi assolutamente urgenti. Siamo comunque convinti che, per cogliere davvero le specificità del settore dando ad esse risposte efficaci, sia oggi più che mai necessario definire un testo organico delle norme sul lavoro in edilizia di cui l’Ance chiede da tempo l’adozione.
 
Saper guardare lontano
Ci troviamo in un momento grave e difficile, che impone da parte di tutti un’azione responsabile e lungimirante, nella consapevolezza che solo l’impegno unito e coeso delle forze migliori del Paese potrà evitare una deriva di incertezza e di instabilità.
In questo scenario le nostre imprese sono pronte a fare la propria parte, capaci, come e più che nel passato, di partecipare alla rinascita del Paese con opere di qualità, in grado di rispondere al meglio non solo alle richieste di un sistema economico sempre più selettivo e competitivo ma anche alle crescenti esigenze e aspettative della società civile.
Dobbiamo tornare a essere capaci di guardare lontano e avere il coraggio di incamminarci su strade inesplorate, ridisegnando le nostre imprese, l’attività produttiva, le relazioni, i comportamenti.
Costruire è il mestiere più bello del mondo.
Sta a noi, alla nostra volontà e capacità, far sì che continui ad esserlo.