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Ddl Lavoro: il comma 4 dell’art. 69-bis - Gaetano Fede, Consigliere CNI e Delegato CND di INARCASSA

In premessa è opportuno precisare che il D.D.L. in oggetto, e quindi anche l’articolo 9, è incardinato nei lavori parlamentari per il suo naturale iter legislativo, ed è oggetto di non poche “attenzioni”, per usare un dolce eufemismo, sia da parte della politica, che da parte dei sindacati, delle associazioni ed in genere dei soggetti portatori di interessi diffusi. Pertanto è una problematica in evoluzione, complessa, che potrà determinare, prima della stesura definitiva del testo di legge, anche radicali cambiamenti dello stesso. Preliminarmente vorrei osservare che chi ha partita IVA, non potrebbe effettuare, a mio parere, Co.Co.Co. o Co.Co.Pro. che dir si voglia, in quanto contratti di lavoro destinati a lavoratori saltuari e quindi per definizione non in possesso di partita IVA (su questo aspetto esistono pareri da parte dei Ministeri competenti). Ciò detto, pur nella difficoltà di lettura del comma 4, qualora trattasi di soggetti iscritti ad albi professionali che svolgono la loro attività nell’ambito delle specifiche competenze (la dicitura della fattura emessa dovrebbe chiarire ogni dubbio in merito), questi dovrebbero essere certamente esclusi dall’ambito delle “finte partite IVA”. In questo caso i soggetti professionali interessati, ingegneri per quanto ci riguarda, dovranno regolarmente essere iscritti ad Inarcassa e versare esclusivamente le loro contribuzioni previdenziali a tale ente, con l’esclusione ovviamente, tassativa, di versamento alla G.S. INPS. Di contro qualora si trattasse di prestazioni professionali che non necessitano dell’iscrizione all’albo (ad esempio una fattura che riporti una dicitura di collaborazione come disegnatore, operatore al CAD, o similare) ci troveremmo, secondo l’attuale testo del DDL, in una situazione di “finta partita IVA”, seppur il soggetto in questione sia un iscritto ad un albo professionale. Pertanto una chiara indicazione in fattura del tipo di prestazione resa toglierebbe ogni dubbio in merito all’essere o non essere una cosiddetta “finta partita IVA” e, di conseguenza, escluderebbe ogni contenzioso tra G.S. INPS e Inarcassa, in materia di possibile doppia contribuzione. Il tema però merita in questo particolare momento un’attenzione specifica, per evitare interpretazioni fuorvianti da parte delle normativa che verrà emanata, in maniera tale da evitare una diminuzione del gettito nelle casse di previdenza private, già in difficoltà per la riduzione dei fatturati.
In conclusione si può sostenere che la lettura dell’articolo 9, nella sua stesura attuale, prevede certamente una stretta sulle “finte partite IVA”. In particolare viene stabilito che le prestazioni rese da un soggetto con partita IVA sono considerate rapporti di collaborazioni coordinata e continuativa (salvo prova contraria del committente), qualora ricorrano almeno due delle tre condizioni (collaborazione per oltre sei mesi durante l’arco dell’anno, corrispettivi maggiori al 75% rispetto al reddito annuo, postazione di lavoro presso il committente) riportate al comma 1 dell’articolo 9 che diventerebbe il 69bis del D.Lgs. 276/2003. Dalle superiori considerazioni risulterebbero esclusi gli iscritti agli albi professionali che svolgono la loro collaborazione con le prerogative sopra esposte.
Un’ultima considerazione vorrei avanzare sulla possibilità, certamente attraverso norma di legge specifica, di aiutare i giovani ingegneri (architetti, o professionisti di area tecnica in genere) con un futuro da liberi professionisti a muovere i primi passi senza aggravi di costi previdenziali, ma nel contempo con le opportune contribuzioni ad Inarcassa, o alla cassa di previdenza di riferimento.
Infatti la questione dei collaboratori di studio a partita IVA che svolgono attività prettamente professionale, ha anche un aspetto sociale legato alla precarietà di soggetti che da un lato aspirano ad assumere il ruolo di liberi professionisti autonomi, e dall'altro corrono il rischio di essere precari a vita. Si potrebbe studiare un particolare contratto di lavoro di dipendenza in cui il titolare di studio assume il giovane (almeno fino ai 35 anni di età), pagandone i relativi contributi ad Inarcassa al quale il giovane risulterebbe regolarmente iscritto, con una flessibilità in uscita per cui, quando non ci sono più le condizioni della dipendenza, il giovane non ha davanti onerosi percorsi di ricongiunzione e può fare il libero professionista autonomo avendo consolidato già anni di iscrizione e contributi all’istituto di previdenza privato di riferimento. Ma questa è solo una proposta che dovrebbe essere affinata, e soprattutto condivisa dagli organismi di riferimento della categoria, e cioè Inarcassa, ed i Ministeri competenti fra cui, in primo luogo, quello del Welfare.