Data Pubblicazione:

La responsabilità del professionista e la conseguente richiesta del danno

La normativa sostanziale di riferimento prevede che, nell’ambito dei rapporti di consulenza, l’oggetto dell’obbligazione di mezzi è una prestazione conforme al criterio della diligenza sancito dall’articolo 1176 codice civile, a prescindere dal raggiungimento di un determinato risultato.

I rapporti tra il professionista e il proprio cliente sono disciplinati da specifiche disposizioni contenute nel codice civile.

In tale ambito, le prestazioni di servizio svolte dal consulente fiscale e legale riguardano lo svolgimento di una serie di attività quali, a titolo esemplificativo, la tenuta e la conservazione della contabilità, il versamento delle imposte, la predisposizione del bilancio d’esercizio e dei relativi allegati, il rilascio di pareri e studi di fattibilità.

La normativa sostanziale di riferimento prevede che, nell’ambito dei rapporti di consulenza, l’oggetto dell’obbligazione di mezzi è una prestazione conforme al criterio della diligenza sancito dall’articolo 1176 codice civile, a prescindere dal raggiungimento di un determinato risultato.

Quindi, il professionista deve adempiere la propria obbligazione semplicemente utilizzando la diligenza del buon padre di famiglia ispirandosi, nello svolgimento della propria attività, ai migliori standard etici e professionali.

Di contro nelle obbligazioni di risultato, disciplinate dall’articolo 1218 del codice civile, il professionista esegue una determinata prestazione di servizio con il dichiarato obiettivo di raggiungere il preciso risultato preventivamente concordato con il cliente.

In merito, il consulente potrà invocare la limitazione della responsabilità (ex articolo 2236 del codice civile), nei casi in cui la prestazione richiesta comporti la soluzione di problemi tecnici di particolare complessità, ipotesi in cui il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.

La distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato prima illustrata, assume particolare evidenza sotto il profilo dell’onere posto a carico delle controparti, con particolare riferimento alla prova del corretto adempimento dell’obbligazione.

Nello specifico:

  • nelle obbligazioni di mezzi la prova dell’inadempimento grava sul cliente, che ha l’onere di dimostrare che la prestazione eseguita dal professionista non è stata svolta con i canoni della diligenza prevista dall’articolo 1176 del codice civile;
  • nelle obbligazioni di risultato, il professionista dovrà dimostrare che il risultato non è stato raggiunto per causa a lui non imputabile (ex articolo 1218 codice civile).

In merito alla responsabilità del professionista nei rapporti con il proprio cliente, è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione, sezione civile, con la sentenza n. 25112 pubblicata in data 24 ottobre 2017.

Il supremo giudice di legittimità ha espresso il principio in base al quale può essere individuata una responsabilità civile, con conseguente risarcimento del danno, a carico degli avvocati e commercialisti nelle ipotesi di omessa impugnazione, anche senza che il cliente debba fornire necessariamente la prova del danno da lui subito.

In particolare, la fattispecie esaminata dagli ermellini ha riguardato l’omessa proposizione (da parte di un legale) del giudizio di rinvio disposto dalla Cassazione, a seguito della quale era intervenuta la prescrizione in danno al lavoratore dipendente illegittimamente licenziato.

Il giudice di primo grado, a seguito del ricorso presentato da parte del cliente, aveva individuato una responsabilità del professionista senza tuttavia prevedere forme di risarcimento, tenuto conto che non era stato idoneamente dimostrato il danno subito.

La Corte di Cassazione, confermando la decisione del giudice di appello, ha confermando la responsabilità dei legali, concedendo anche il risarcimento del danno subito.

Nello specifico, i giudici di piazza Cavour hanno affermato che nell’accertamento del nesso causale in materia di “responsabilità civile”, vige la regola della preponderanza dell’evidenza” o del “più probabile che non”, a differenza che nel processo penale, ove vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”.

Tale criterio va tenuto fermo anche nei casi di responsabilità professionale per condotta omissiva: in tali circostanze il giudice, accertata l’omissione di un’attività invece dovuta in base alle regole della professione praticata, nonché l’esistenza di un danno che probabilmente ne é la conseguenza, può ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno.

Sul punto, rileva la Corte, occorre distinguere fra:

  • omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso;
  • omissione di condotte che avrebbero prodotto un vantaggio.

In entrambi casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile.

Tuttavia, nella prima ipotesi l’evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione, mentre nella seconda ipotesi il danno (che se di natura patrimoniale, sarebbe qualificabile da “lucro cessante”) deve costituire “oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato”.

Nel caso di responsabilità professionale degli avvocati (e dei commercialisti) nei casi di omessa impugnazione, a parere della Corte, ricorre la seconda delle ipotesi sopra illustrate, “poiché l’esito del giudizio che si sarebbe dovuto intraprendere e rispetto al quale, invece, il professionista ha lasciato decorrere i termini, non può essere accertato in via diretta, ma solo in via presuntiva e prognostica. Pertanto, in tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale, quando si tratta di attività del difensore, l’affermazione della responsabilità per colpa implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita”.

In definitiva, nel caso esaminato, l’accertamento del nesso causale si estende – con medesimi criteri probabilistici – anche alle conseguenze dannose risarcibili sul piano della causalità giuridica (i.e. della relazione etiologica evento/conseguenze), ossia al mancato vantaggio che, ove l’attività professionale fosse stata svolta con la dovuta diligenza, il cliente avrebbe conseguito.

Quindi, in tali circostanze, non può richiedersi una prova rigorosa e certa del danno subito, incompatibile con la natura di un accertamento necessariamente ipotetico, in quanto riferito a un evento non verificatosi proprio per effetto dell’omissione a carico del professionista.