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Come scegliere l'intervento manutentivo più appropriato per i rivestimenti intonacati

Analisi multi-criteria per la manutenzione di rivestimenti intonacati

Analisi multi-criteria per la manutenzione di rivestimenti intonacati

Il problema della più appropriata scelta di strategia manutentiva è di complessa risoluzione, in quanto coinvolge diversi aspetti, concomitanti ma tuttavia spesso contrastanti:

  • quello economico “assoluto”, secondo il quale si tenderebbe ad eseguire quanto meno interventi possibile;
  • quello economico “relativo”, secondo il quale attuare interventi di piccola entità ma più spesso, evita di dovere poi eseguire opere di maggiore impegno, che finiscono per coinvolgere anche altri componenti per i cosiddetti “guasti a catena”;
  • quello della sostenibilità, secondo il quale alla scelta di materiali dal punto di vista di eco-compatibilità, non si deve evitare di abbinare considerazioni in termini di durabilità;
  • quello della sicurezza, che porterebbe ad evitare che nel ciclo di vita si raggiungano valori di prestazione troppo vicini al valore minimo ammissibile;
  • quello della disponibilità, secondo il quale una rarefazione dell’attività manutentiva è meglio sopportata dai committenti/utenti, e dunque deve esistere un giusto rapporto fra ciclo di vita e durata dell’intervento manutentivo.

Tante e così diverse variabili in gioco determinano una complessità che può essere adeguatamente affrontata e risolta solo con analisi multicriteriali.

Nell’articolo si mettono a confronto 4 diverse strategie per la manutenzione di rivestimenti intonacati, mediante diversi metodi di analisi multi-criteria (TOPSIS, WSM, WPM, VIKOR), pervenendo a risultati di indubbio interesse per orientare le scelte di tecnici e proprietari di immobili.

INTRODUZIONE

Oltre 20 anni dopo la nascita del piano di manutenzione, all’interno della legge-quadro italiana sui lavori pubblici, il nuovo codice del 2016 sottolinea con forza il riferimento al ciclo di vita, sia dal punto di vista della programmazione degli interventi (un aspetto di tipo tecnologico) che – grande novità – dal punto di vista del costo (un aspetto di tipo economico).

L’art. 96, in particolare, si sofferma su questa rilevante questione, ed entra anche nel merito delle valutazioni che le stazioni appaltanti dovranno utilizzare per valutare il costo del ciclo di vita in base a quanto i partecipanti alla gara indicheranno nelle loro offerte.

“1. I costi del ciclo di vita comprendono, in quanto pertinenti, tutti i seguenti costi, o parti di essi, legati al ciclo di vita di un prodotto, di un servizio o di un lavoro:

a) costi sostenuti dall'amministrazione aggiudicatrice o da altri utenti, quali:

  1. costi relativi all'acquisizione;
  2. costi connessi all'utilizzo, quali consumo di energia e altre risorse;
  3. costi di manutenzione;
  4. costi relativi al fine vita, come i costi di raccolta, di smaltimento e di riciclaggio;

b) costi imputati a esternalità ambientali legate ai prodotti, servizi o lavori nel corso del ciclo di vita, purché il loro valore monetario possa essere determinato e verificato.

Tali costi possono includere i costi delle emissioni di gas a effetto serra e di altre sostanze inquinanti, nonché altri costi legati all'attenuazione dei cambiamenti climatici”.

Come si vede dallo stralcio riportato, in effetti si sta evidenziando quello che i propugnatori della manutenzione programmata vanno predicando da tempo, ovvero che i costi di un’opera, tradizionalmente intesi come quelli di costruzione, hanno nella fase di gestione l’aliquota di gran lunga più rilevante, e che comunque ogni ragionamento in termini economici va fatto considerando il cosiddetto “costo globale”.

Va, poi, adeguatamente sottolineato come persino il “costo globale” abbia subito significative evoluzioni, considerando ormai come aliquota decisamente non trascurabile i costi che in qualche modo sono ricollegabili al concetto di sostenibilità, a cui – evidentemente – allude il su citato articolo 96, non solo allorquando si riferisce a fine vita, raccolta, smaltimento e riciclaggio di edificio e componenti, ma anche quando tira in ballo “esternalità ambientali” e più oltre riporta l’espressione “consumo di risorse”.

Non di minore portata è, poi, la definizione di ciclo di vita che si legge all’art. 3, in quanto essa estende l’ampiezza del concetto rispetto a quello puramente durabilistico a cui ci si è ormai abituati: “tutte le fasi consecutive o interconnesse, compresi la ricerca e lo sviluppo da realizzare, la produzione, gli scambi e le relative condizioni, il trasporto, l'utilizzazione e la manutenzione,della vita del prodotto o del lavoro o della prestazione del servizio, dall'acquisizione della materia prima o dalla generazione delle risorse fino allo smaltimento, allo  smantellamento e alla fine del servizio o all'utilizzazione”.

Approfondendo la portata di questa definizione, si può ritenere che le valutazioni strategiche sulla gestione della vita di un componente edilizio non siano più da condurre banalmente rapportando il costo di manutenzione (visto come il costo per ripristinare una prestazione ad un valore vicino a quella iniziale) al cosiddetto Mean Time Between Failures, ma bensì prevedendo, anche in termini di sostenibilità, quelle che saranno le scelte più appropriate: il che non vuol dire, come pure ritengono in molti, semplicemente utilizzare materiali naturali in luogo di quelli che lo sono meno o per niente, ma bensì tenere conto di quanti interventi si faranno nel ciclo di vita del componente, del consumo di energia non rinnovabile, della regionalità, e di ogni altra questione che riguarda il rapporto opera-ambiente.

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Figure 1-2 – esempi di degrado delle superfici intonacate

L’articolo propone l’utilizzo di diverse metodologie di analisi multicriteria al fine di fornire a progettisti, tecnici in generale e gestori di patrimoni immobiliari, la possibilità di prendere in considerazione scelte più razionali e consapevoli in termini economici, valutando le più appropriate sulla scorta – per l’appunto – di metodologie che consentono di prendere in considerazione simultaneamente i più diversi aspetti.

Di particolare interesse è stata ritenuta un’applicazione sui rivestimenti intonacati, in quanto le modalità di gestione del degrado possono portare ad interventi significativamente differenti dal punto di vista del costo.

IL DEGRADO DEGLI INTONACI

Il decadimento prestazionale degli intonaci rappresenta un classico esempio di complessità di valutazione, in quanto questo componente è tipicamente caratterizzato da un funzionamento non del tipo on-off.

E se, ad esempio, l’indagine termografica può rappresentare quanto meno un aiuto alla esecuzione di rilievi dalle risultanze non soggettive, analoga complessità caratterizza l’individuazione dello stato di guasto. Gli intonaci, per quanto non siano elementi strutturali, possono determinare, ad un certo punto del loro decadimento prestazionale, uno stato di pericolo, e dunque è importante fissare uno stato di conservazione (corrispondente ad un determinato livello prestazionale) al quale associare la fine del ciclo di vita.

Molti ricercatori hanno cercato di stimare la durata degli intonaci con diversi approcci metodologici, anche se – rispetto al numero complessivo degli studi sulla durabilità dei componenti edilizi – con una percentuale non particolarmente elevata.

Alcuni hanno focalizzato la loro attenzione su specifiche malte (quelle a base di calce, [1] e [2]) in quanto tipiche di costruzioni antiche, con studi sulla loro durabilità, derivanti fondamentalmente da sperimentazioni di laboratorio, come anche chi ha focalizzato la sua attenzione su altri ingredienti, come ad esempio il tipo di sabbia [3].

Oltre la sperimentazione di laboratorio è andato chi ha cercato di ripercorrere l’approccio suggerito dalla norma ISO 15686-7, con una sperimentazione sul campo preceduta da una significativa campionatura di edifici in uno specifico contesto geografico, valutando lo stato di degrado attraverso ispezioni visive, stabilendo un indice numerico di gravità del degrado dei rivestimenti lapidei, allo scopo di stimare una vita utile di riferimento per questo tipo di rivestimento [4]. O, sempre partendo da una campionatura ed una prolungata osservazione sul campo, mediante:

  • approfondita osservazione delle condizioni di partenza all’inizio della sperimentazione, in qualche caso mediante ispezione visiva, in altri mediante termocamera ad infrarossi;
  • documentazione delle attività manutentive eseguite durante gli ultimi anni;
  • osservazione della evoluzione delle condizioni di conservazione nei periodi seguenti, con ispezioni principalmente eseguite a mezzo di termocamera (v. fig. 3-4).

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Figure 3-4 – esempio di monitoraggio eseguito con termocamera ad infrarossi in due anni successivi

L’obiettivo della sperimentazione era quello di stimare il valore della vita utile di rivestimenti intonacati, e la messa a punto del “Metodo Nick” per la stima della vita utile di componenti (in particolare rivestimenti intonacati), inserito nella norma UNI 11156:2006, che rappresenta il suo risultato finale, pubblicato e presentato in altre pubblicazioni [5] [6] [7] [8]. Questa ricerca continuò, finalizzata alla valutazione del ciclo di vita di rivestimenti intonacati mediante la costruzione di curve prestazioni/tempo, con una estensione fino a 30 anni per 53 dei 100 edifici campione iniziali, portando alla fine al raggiungimento dell’obiettivo mediante una curva inviluppo delle singole curve prestazioni/tempo. [9]

In altri casi è stato applicato il metodo fattoriale per la previsione della vita mediante dati desunti ex-post, allo scopo di superare alcuni dei suoi ben noti difetti, proponendo un'analisi di regressione lineare multipla per identificare i subfattori più rilevanti che spiegano il degrado dei rivestimenti in pietra [10].

Alcuni autori hanno, infine, provato ad esplorare la possibilità di utilizzare analisi multicriteria per lo specifico problema di avere uno strumento di supporto alle decisioni per la manutenzione degli involucri esterni [11] [12], o anche con un approccio probabilistico, proponendo una metodologia per modellare e predire le prestazioni lungo il ciclo di vita delle facciate degli edifici, basandosi sulle reti stocastiche Petri.

In realtà, la stima della durata degli intonaci può essere considerato un topic di grande interesse soprattutto se, alla conoscenza della legge di decadimento prestazionale, si è in grado di associare un criterio per individuare:

  • gli interventi più appropriati, in funzione del momento in cui saranno attuati;
  • i tempi giusti per metterli in atto.

Il problema si sposta, quasi inevitabilmente, sulla possibilità di tracciare una curva prestazioni/tempo per lo specifico componente più vicina possibile al vero, in quanto essa consente concretamente di attuare politiche di manutenzione predittiva, che – laddove possibile – costituiscono una chance decisamente soddisfacente, quantunque sostituibile, quando necessario, dalla manutenzione secondo condizione.

Un modello di previsione interessante sarebbe proprio quello che coniuga la possibilità di esprimere ipotesi sul comportamento nel tempo del componente (ovvero valutare gli stati prestazionali a diversi step temporali), con una pianificazione di controlli che, sulla base della validazione della curva prestazioni/tempo preliminarmente individuata, consente di stimare la vita utile residua (v. figura 5).

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Figura 5 – la manutenzione predittiva può essere vista anche come combinazione di manutenzione ciclica e manutenzione secondo condizione, fino a pervenire alla previsione della vita utile residua.

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