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D.P.R. 380/2001. Testo Unico Edilizia. Art. 46 (L) - Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985

1. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.
2. Nel caso in cui sia prevista, ai sensi dell’articolo 38, l'irrogazione di una sanzione soltanto pecuniaria, ma non il rilascio del permesso in sanatoria, agli atti di cui al comma 1 deve essere allegata la prova dell'integrale pagamento della sanzione medesima.
3. La sentenza che accerta la nullità degli atti di cui al comma 1 non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti.
4. Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa.
5. Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria.
5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi realizzati mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell'articolo 23, comma 1, qualora nell'atto non siano indicati gli estremi della stessa.

Commento
La violazione della normativa urbanistico – edilizia, oltre a prevedere sanzioni amministrative e penali, produce anche ulteriori conseguenze sugli atti aventi ad oggetto il trasferimento dei diritti reali tra privati.
La norma in questione difatti, sancisce la nullità degli atti giuridici che non riportano gli estremi del permesso di costruire, ordinario o in sanatoria.
L’art. 46 del d.p.r 380/2001 recepisce non solo i principi introdotti dalla L. 47/1985 che ha introdotto in Italia il primo condono edilizio, ma riprende senza alcuna modifica, quanto già disciplinato l’art. 17, L. n. 47/1985, riguardante l’efficacia temporale, eccezion fatta per i necessari adeguamenti terminologici e per l’aggiunta del comma 5 bis relativo alla SCIA sostitutiva del permesso di costruire.
Tuttavia, la norma non cita, tra gli atti abilitativi i cui estremi devono essere riportati nell’atto di trasferimento, il rilascio o la richiesta di condono edilizio (da ultimo previsto dalla L. n. 326/2003 per le opere eseguite entro il 31 marzo 2003).
Secondo la giurisprudenza, i manufatti oggetto dell’ultimo condono, dovranno far riferimento al già menzionato art. 17 della L. n.47/1985.
Gli edifici o parti di edifici, anche se oggetto di condono, realizzati tra il 1º settembre 1967 ed il 17 marzo 1985, dovranno far riferimento al primo periodo dell’art. 40, comma 2, l. n. 47/1985 (ancora in vigore), che richiede la dichiarazione degli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria, ovvero la produzione di copia della relativa domanda e l'indicazione degli estremi di pagamento delle prime due rate dell’oblazione.
Infine, il secondo periodo dell’art.40, comma 2 della l. n.47/1987 troverà applicazione per le opere iniziate anteriormente al 1º settembre 1967, data di entrata in vigore della cosiddetta legge ponte (L. n. 765/1967), consentendo la produzione, in luogo degli estremi della licenza edilizia di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante che l’opera risulti iniziata prima di tale data.
L’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 dichiara invalidi quegli atti aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici (o loro parti) la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985 ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria ovvero gli estremi della segnalazione certificata di inizio attività (comma 5bis), con la precisazione che tali elementi devono risultare per dichiarazione dell’alienante.
Occorre ricordare che l’art.28 della legge professionale vieta al notaio di procedere alla stipula di atti nulli; di conseguenza il professionista diventa responsabile in proprio ove proceda alla vendita di un immobile abusivo in quanto l’atto di trasferimento sarebbe affetto da nullità.
Tuttavia, nei casi in cui non sia previsto il rilascio del titolo concessorio in sanatoria, ma solo il pagamento della sanzione pecuniaria, sarà necessario secondo il 2° comma dell’art.46 del d.p.r. 380/2001, indicare gli estremi dell’avvenuto pagamento.
Secondo il comma 3° l’eventuale nullità degli atti non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù; in caso contrario il debitore potrebbe utilizzare la norma a proprio beneficio per sottrarsi agli obblighi assunti.
Ovviamente la nullità non colpisce il mancato adempimento degli obblighi formali, per cui la nullità dell’atto di trasferimento non viene comminata a causa della mancata indicazione nell’atto di vendita degli estremi del titolo edilizio, ma colpisce la mancanza dello stesso.
Nel caso in cui tale indicazione sia stata omessa per mera dimenticanza, sarà possibile un atto integrativo, anche unilaterale, che sani il vizio di forma. (comma 4)
Quanto alla natura di tale nullità, si segnala la presenza di un contrasto giurisprudenziale, che è stato di recente composto dalla Cassazione civile, sez. unite, 22 marzo 2019, n. 8230.
Secondo i giudici delle Sezioni Unite, chiamati a risolvere la questione interpretativa sorta sul punto, si è in presenza di una nullità che va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c. con la precisazione essa ne costituisce una specifica declinazione, e va definita “testuale”.
La norma specificata pone uno specifico precetto: che nell’atto si dia conto della dichiarazione dell’alienante contenente gli elementi identificativi dei menzionati titoli, mentre la sanzione di nullità e l’impossibilità della stipula sono direttamente connesse all’assenza di siffatta dichiarazione e null’altro (teoria cd. “formale”).
Secondo altro orientamento giurisprudenziale cd. “sostanzialista” dovrebbe invece valere il principio generale di nullità riferita agli immobili non in regola urbanisticamente.
Detto orientamento evidenzia l’intenzione del legislatore di rendere gli immobili abusivi tout court incommerciabili ma, secondo le Sezioni Unite, lo stesso costituisce un’opzione esegetica che trascende il significato letterale della norma e che non è, dunque, ossequioso del fondamentale canone di cui all’art. 12, co 1, delle Preleggi, che impone all’interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione.
Inoltre, sempre dal dato normativo testuale, emerge che, a fronte del primo comma dell’art. 46 del DPR 380/2001 che sanziona con la nullità specifici atti carenti della dovuta dichiarazione, il quarto comma ne prevede la possibilità di “conferma”, cioè di convalida, nella sola ipotesi in cui la mancata indicazione dei prescritti elementi non sia dipesa dalla insussistenza del titolo abilitativo.
Il dettato normativo indica, quindi, che il titolo deve realmente esistere e, quale corollario a valle, che l’informazione che lo riguarda, oggetto della dichiarazione, deve esser veritiera: ipotizzare, infatti, la validità del contratto in presenza di una dichiarazione dell’alienante mendace, e cioè attestante la presenza di un titolo abilitativo invece inesistente, svuoterebbe di significato i termini in cui è ammessa la previsione di conferma.
Ne consegue che la dichiarazione mendace va assimilata alla mancata dichiarazione e che l’indicazione degli estremi dei titoli abilitativi in segno agli atti dispositivi previsti dalla norma non ne costituisce un requisito meramente formale.
In costanza di una dichiarazione reale e riferibile all’immobile, il contratto sarà in conclusione valido, a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità, in quanto non è previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale secondo cui le norme che, ponendo limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicché esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.
In definitiva la Suprema Corte ha quindi affermato il seguente principio di diritto:
«La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile».
Pur tuttavia non può ritenersi estensibile il regime della nullità in maniera così ampia come vorrebbe la teoria cosiddetta sostanzialista. E pertanto è stato altresì affermato che: «In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato».
Il quinto comma prevede un’eccezione in tema di nullità. La nullità degli atti di trasferimento di opere abusive prive di qualunque titolo edilizio non esplica i propri effetti nei confronti degli aggiudicatari di procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali.
La ratio della norma ovviamente è rivolta alla tutela del terzo da eventuali vizi formali dell’atto di assegnazione dell’immobile privo dei titoli di cui al primo comma.
Il secondo periodo del 5° comma, dispone come l’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, debba presentare la domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni, termine avente natura meramente ordinatoria, dalla notifica del decreto emesso dall’autorità giudiziaria.
Pertanto, il trasferimento dell’immobile è da considerarsi valido sia se l’aggiudicatario ne faccia richiesta del permesso in sanatoria nei termini sopra indicati sia che non ne faccia richiesta.
A conclusione il comma 5 bis prevede che le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi realizzati mediante segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell'articolo 23, comma 1, qualora nell'atto non siano indicati gli estremi della stessa.

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