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Farsi dimenticare da Google: diritto assoluto?

Ecco alcune informazioni per la deindicizzazione, ovvero per farsi cancellare dal motore di ricerca

Il 2 dicembre 2019 il Comitato Europeo per la Protezione dei Dati Personali ha pubblicato le proprie linee guida su come gestire quella particolare manifestazione del diritto all’oblio che viene chiamata “deindicizzazione” avviando una consultazione pubblica. Con questo articolo vogliamo affrontare il tema della deindicizzazione e dare qualche utile indicazione.

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La deindicizzazione: si può fare ?

Per comprendere cosa sia la “deindicizzazione”, occorre prima chiarire brevemente cosa sia la “indicizzazione”.

La “indicizzazione” è l’attività ordinaria ed automatica con la quale un motore di ricerca (Google, Yahoo, Virgilio, ecc.), mediante un’opera di scandaglio robotizzato e continuo del web tramite appositi software (crawler), esamina il contenuto dei siti esistenti, collegandoli nei propri registri a determinate parole chiave, anch’esse estrapolate dall’analisi automatica del contenuto di ogni singola pagina web indagata, in modo tale da restituire anche quelle pagine, tra altre simili, quando gli utenti impostino la loro richiesta al motore di ricerca utilizzando una o più di quelle stesse parole chiave.

La “deindicizzazione” corrisponde, invece, all’azione contraria, con la quale una pagina web viene eliminata dall’elenco delle pagine che il motore di ricerca ricollega a determinate parole chiave, al fine di non farla più apparire tra i risultati delle ricerche che siano impostate con una o più di quelle parole.

Se, ad esempio, sulla pagina web di una testata giornalistica appare pubblicato un articolo che informa dell’arresto per corruzione nei confronti di un determinato funzionario, di cui viene fatto nome e cognome, il motore di ricerca (Google, Yahoo, Virgilio, ecc.), durante il suo scandaglio continuo ed automatico della "rete", collegherà prima o poi (i tempi vanno da pochi giorni a max 4 settimane) il nome e cognome di quel funzionario alla pagina web della testata giornalistica, insieme ad altre parole rilevanti, come, ad esempio, “arresto” e “corruzione”.

Leggendo le linee guida del Comitato Europeo, che dichiaratamente muovono le mosse dalle sentenze “Costeja” e “Google 2” della Corte di Giustizia Europea, si può concludere che l’eventuale richiesta di deindicizzazione avanzata dal funzionario dell’esempio (come da qualunque altro interessato) dovrebbe trovare quasi sempre accoglimento.


Linee guida 5/2019 sui criteri per l’esercizio del diritto all’oblio nel caso dei motori di ricerca, definite in base alle previsioni del Regolamento (UE) 2016/679 (parte I) adottate il 2 dicembre 2019 - (in consultazione pubblica)


Diritto all'Oblio: quali i principi

Il ragionamento del Comitato Europeo, infatti, è riassumibile in questi termini.

Se l’interesse legittimo perseguito dal motore di ricerca tramite l’attività di indicizzazione può individuarsi nel voler rendere disponibili ai propri utenti i contenuti presenti sul web nel modo più semplice e completo, i diritti fondamentali e le libertà delle persone rispetto a tale generico interesse prevarranno praticamente sempre.

Si potrebbe obiettare che il diritto alla privacy e alla reputazione dell’individuo dovrebbe essere sempre controbilanciato dall’interesse degli utenti web a che il diritto di cronaca e di informazione venga garantito, per cui, restando al nostro esempio, è vero che il funzionario arrestato vedrà sicuramente compromessa la propria reputazione dal collegamento che il motore di ricerca farà tra il suo nome e la pagina web contenente la notizia del suo arresto, ma è altrettanto vero che se un pubblico funzionario finisce in manette per il reato di corruzione è giusto che la notizia abbia il dovuto risalto e, quindi, possa essere pubblicata e conosciuta dagli utenti del web.


Il diritto cosiddetto "all'oblio" si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. Si prevede, infatti, l'obbligo per  i titolari (se hanno "reso pubblici" i dati personali dell´interessato: ad esempio, pubblicandoli su un sito web) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi "qualsiasi link, copia o riproduzione" (si veda art. 17, paragrafo 2).

Ha un campo di applicazione più esteso di quello di cui all´abrogato art. 7, comma 3, lettera b), del Codice, poiché  l´interessato ha il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati, per esempio, anche dopo revoca del consenso al trattamento (si veda art. 17, paragrafo 1).


Il Comitato Europeo, tuttavia, raccomanda un raffronto sereno ed oggettivo degli interessi in gioco, perché invita ad osservare come debba considerarsi assolutamente distinto l’interesse legittimo della testata giornalistica di pubblicare, giustamente anche sulla propria pagina web, la notizia dell’arresto sul funzionario, rispetto al diverso interesse legittimo in capo al motore di ricerca di rendere disponibili ai propri utenti i contenuti sul web.

Questo secondo interesse non è direttamente connesso al diritto di cronaca.

Si potrebbe ancora obiettare, però, che se il motore di ricerca dovesse scollegare il nominativo del funzionario dalla notizia dell’arresto, l’articolo della testata giornalistica, pur essendo formalmente online, non sarebbe concretamente più accessibile al pubblico, perché nessuno lo troverebbe nelle proprie ricerche sul web.

Ciò non è esatto, posto che le parole chiave che conducono alla stessa pagina di cronaca continuerebbero ad essere altre, quali ad esempio: il nome della stessa testata giornalistica, il nome dell’ente pubblico presso cui il funzionario è impiegato, il nome della località ove detto ente si trova, magari associate alle parole “arresto” o “corruzione”.

L’aspetto più interessante è che il Comitato chiarisce come la richiesta di deindicizzazione potrà basarsi anche semplicemente sul mero diritto di opposizione al trattamento, che l’art. 21 del GDPR riconosce agli interessati e che il titolare del trattamento potrebbe ignorare solo a condizione di riuscire a dimostrare l’esistenza a suo favore di motivi legittimi cogenti per proseguire il trattamento.

E’ evidente come un motore di ricerca, in qualità di titolare del trattamento, difficilmente potrà dimostrare l’esistenza di motivi cogenti che lo obbligano a continuare a linkare il nome della persona ad un particolare indirizzo web.

Il Comitato Europeo, naturalmente, lascia spazio all’ipotesi che il diritto nazionale degli stati membri possa stabilire eventuali specifici obblighi (cogenti) in capo ai motori di ricerca (Google, Yahoo, Virgilio, ecc. ) di mantenere determinati collegamenti o, addirittura, di effettuare essi stessi pubblicazione diretta di informazioni.

Fino al verificarsi di casi simili, però, dato che il Comitato Europeo ritiene espressamente non applicabili le eccezioni dell’art. 17, par. 3 GDPR (diritto di cronaca, adempimento di obbligo legale o di compito di interesse pubblico, ragioni di ricerca e archiviazione storico- scientifica, accertamento in giudizio di un diritto), la richiesta di deindicizzazione avanzata dalla persona fisica ad un motore di ricerca come semplice esercizio del suo diritto di opposizione al trattamento stabilito dall’art. 21 GDPR, dovrà essere sempre soddisfatta: senza deroghe.

QUALI LE VIE PER OTTENERE DA GOOGLE LA DEINDICIZZAZIONE ?

Google, che gestisce il 90% delle ricerche sul web, proprio alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia, ha recentemente messo a disposizioni degli utenti un apposito modulo online per l’inoltro delle richieste di cancellazione/deindicizzazione.

A parte la complessità del modulo online, che necessita di una certa preparazione tecnica e giuridica, la sua compilazione non dà alcuna garanzia di accoglimento da parte di Google, che, infatti, nonostante quanto affermato dal Comitato europeo, si riserva espressamente di valutare sempre la richiesta comparando l’interesse dell’utente con l'interesse che il pubblico può avere nei confronti delle informazioni di cui si chiede la cancellazione, nonché il diritto di altri di distribuirle. Ad esempio, scrive Google: “potremmo rifiutarci di rimuovere determinate informazioni se riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali”.

In caso di rifiuto da parte di Google, rimarrebbero solo le vie “legali”, con due alternative:

  • la prima, quella del ricorso al giudice ordinario, perché ordini a Google la rimozione dei contenuti; e ciò anche in via cautelare e urgente;
  • la seconda, quella dell’esposto al Garante per la Protezione dei Dati Personali, lamentando la violazione  da parte del motore di ricerca, per illecito trattamento dei dati personali nonostante l’opposizione. Il Garante, qualora ritenesse fondato l’esposto, potrebbe sanzionare Google – anche pesantemente - ordinandogli anche di procedere alla omessa deindicizzazione.

Contatti

L’Avv. Francesco Cucci e lo staff del suo studio si occupano di privacy, protezione dei dati, internet, contratti del web, fornendo la propria consulenza alle aziende per accompagnarle nel percorso di adeguamento ai nuovi obblighi GDPR e risultare così compliant in caso di verifiche da parte del nucleo privacy della Guardia di Finanza. L’avv. Cucci collabora con consulenti di trentennale esperienza, anche nello specifico settore informatico e di data protection.

Per un primo colloquio conoscitivo gratuito: tel. 054156050 – email: info@studiolegalecucci.net – cell. 3713305150.