Minimi tariffari dei professionisti: DDL per la reintroduzione in Senato
Minimi tariffari: il DDL presentato al Senato dai senatori Pepe e Davico prevede l'abrogazione delle disposizioni sulla concorrenza fra i professionisti introdotte dal Decreto Bersani, al fine di reintrodurre l'obbligatorietà delle tariffe minime
Dopo la manifestazione del 13 maggio sul giusto compenso, un'altra tappa di avvicinamento alla reintroduzione delle tariffe minime per tutti i professionisti è rappresentata dal disegno di legge n.2685, presentato in senato dai senatori Pepe e Davico e dove si prevede di abrogare le disposizioni sulla concorrenza introdotte dal cd. Decreto Bersani (decreto-legge 223/2006, convertito con modifiche dalla legge 248/2006), ripristinando quindi l'obbligatorietà delle tariffe minime.
Di fatto, il DDL "Disposizioni urgenti per la tutela dei cittadini e della qualità del lavoro dei proifessionisti" abroga solo un articolo del DL Bersani, il n.2. Si parte, quindi, dall'assunto che le professioni intellettuali sono state trasformate dal decreto-legge 223/2006 in lavori impoveriti in cui la concorrenza fra i singoli lavoratori autonomi ha condotto ad una drammatica riduzione dei compensi e delle prospettive di guadagno futuro e alla riduzione della qualità dei servizi resi.
“Con il presente disegno di legge – recita il ddl - si intende reintrodurre l’obbligatorietà dell’applicazione delle tariffe minime nell’ambito della determinazione degli onorari dei liberi professionisti. Il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, oltre a rispondere alle reiterate ingiunzioni dell’Unione europea per infrazione dell’Italia delle norme sulla concorrenza nel settore delle libere professioni, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime (sia per gli incarichi da enti pubblici che da committenti privati), ovvero, il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti".
La tariffa minima professionale rappresentava, per il professionista, una sorta di prezziario, una "retribuzione minima di legge, proporzionata alla tipologia e all’entità della relativa prestazione. I minimi tariffari, adottati soprattutto in ambito pubblico, erano di fatto dei massimi di legge, che costituivano dei riferimenti per le prestazioni professionali di ingegneria ed architettura, rispetto ai quali gli enti pubblici potevano derogare con ribassi non superiori al venti per cento. In questo modo veniva riconosciuta una dignità professionale, al pari delle prestazioni degli altri lavoratori, sia del settore pubblico che del settore privato".
Riguardo ai casi in cui si fa ricorso ai bandi di gara per l’affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura, secondo i firmatari del decreto-legge le cose per i professionisti non cambiano: gli importi di partenza delle gare sono spesso casuali, illogici rispetto a quanto richiesto dai bandi. Questo perché i requisiti richiesti per legge, sia di natura tecnico-organizzativa (dipendenti dello studio, attrezzature disponibili, ecc.), sia di ordine economico (fatturato in relazione alla tipologia e all’importo dell’opera), oltre al requisito di aver già realizzato opere della stessa tipologia di quella richiesta dal bando, finiscono per escludere molti studi professionali perché sono studi con il solo titolare o con un numero non sufficiente di dipendenti.
Nel caso dei bandi di progettazione, infine, si arriva spesso ad avere centinaia di offerte, con ribassi senza limite, anche dell’80-90 per cento, a fronte di una base d’asta quasi sempre sottostimata.
Secondo i firmatari del disegno di legge, quindi, l’obiettivo del legislatore "dev’essere quello di andare incontro alle esigenze della collettività in termini economici e di qualità di servizi richiesti, affinché sia garantita l’offerta di una prestazione qualitativamente accettabile, non ispirata a criteri prevalentemente concorrenziali".