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OICE - le opportunità per l’ingegneria possono essere le opportunità per tutto il Sistema Paese

le opportunità per l’ingegneria possono essere le opportunità per tutto il Sistema Paese

OICE, Ingletti: da venti anni le società di ingegneria garantiscono crescita e sviluppo ai nostri professionisti; evitare anacronistici passi indietro

E’ questo il messaggio che l’OICE, l’Associazione delle società di ingegneria e architettura aderente a Confindustria, ha lanciato nel corso del convegno “Imprenditoria del Progetto: Esperienze di Internazionalizzazione a Confronto”, organizzato dall’OPRI - Osservatorio Permanente sulle Professioni Intellettuali, costituito dall’Università degli Studi di Bergamo e da Enterpreneurial Lab, dove Alfredo Ingletti, Vice Presidente OICE per l’Internazionalizzazione, è stato chiamato a tirare le conclusioni di una interessante sessione di lavori alla quale hanno partecipato molti e qualificati relatori.

Il tema dell’internazionalizzazione dell’imprenditoria del progetto è infatti quanto mai di attualità e sono emerse in maniera molto chiara l’importanza e la necessità di cogliere le opportunità che provengono dall’estero per diversificare e sviluppare il business imprenditoriale.

Nelle sue conclusioni, Ingletti ha sottolineato come le grandi imprese di progettazione architettonica e di ingegneria riescono a tenere testa alla crisi grazie alle attività e all’attenzione nei confronti dei mercati internazionali. Le 6 aziende italiane presenti nella classifica delle Top 225 International Design Firms, annualmente pubblicata dalla rivista statunitense Enr (Engineering News Record), producono il 50% del proprio fatturato fuori dai confini nazionali.
“Nonostante investire all’estero rappresenti al momento l’opportunità più concreta per tenere testa alla crisi, le società di ingegneria e di architettura italiane - aggiunge Ingletti - non sono organizzate e strutturate per affrontare la competizione internazionale. Oggi l’OICE rappresenta 435 società che insieme generano poco più di un miliardo di fatturato contro i 96 miliardi prodotti dalle top cento internazionali e i 42 miliardi delle prime cento europee. La disparità di competitività appare evidente ed è data da una serie di fattori, tra cui le dimensioni delle organizzazioni italiane. Le prime 6 società di ingegneria europee, ad esempio, hanno più di 10.000 addetti mentre le prime 6 società italiane risultano averne al massimo 500. Ne consegue che nessuna società italiana si colloca nelle prime 100 posizioni delle specifiche classifiche internazionali”.
Secondo Ingletti “le opportunità per l’ingegneria possono essere le opportunità per tutto il Sistema Paese. Ma solo attraverso nuovi modelli organizzativi e un processo di aggregazione l’engineering italiana ha la possibilità di consolidare le proprie posizioni in quelle aree dove le capacità italiane sono già apprezzate e di penetrare nei mercati nuovi e inesplorati dove può svolgere un ruolo di apripista per il resto dell’economia e l’intera filiera delle costruzioni, indotto compreso”.
L’occasione di una platea così qualificata ha sollecitato Ingletti ad affrontare un tema piuttosto caldo per le società di ingegneria in questo momento, quello del riconoscimento sancito nel 1994 con la legge Merloni ma incredibilmente rimesso in discussione da una recente sentenza del Tribunale di Torino che, incurante di una copiosa giurisprudenza, per annullare un contratto di 8 anni fa ha fatto rivivere una legge del ’39 (la n. 1815 che faceva divieto di svolgere in forma societaria attività professionali), peraltro abrogata dalla Legge Bersani del 1997.
L’assurdità della sentenza, che si pone in conflitto anche con numerose sentenze della Cassazione, è stata messa in evidenza da Ingletti anche in relazione al trend in cui si collocano le società italiane: “appare quanto meno anacronistico - ha precisato Ingletti - ricorrere a leggi di 70 anni fa quando gli scenari economici, organizzativi e di mercato impongono di guardare al futuro e soprattutto all’estero dove, a livello internazionale, operano società di ben diverse dimensioni e capacità tecnico-economica rispetto a quelle italiane”.