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Terremoto? Colpa dei numi!

“A ciò seguire immantinente accinti, / ruiniamo la porta, apriam le mura, / adattiamo al cavallo ordigni e travi, / e ruote e curri a' piedi, e funi al collo. / […] Noi la pur vedemmo / con tanti occhi a l'entrar, che quattro volte / fermossi, e quattro volte anco n'udimmo / il suon de l'armi: e pur, da furia spinti, / ciechi e sordi che fummo, i nostri danni / ci procurammo: ché 'l dí stesso addotto / e posto in cima a la sacrata ròcca / fu quel mostro infelice. Allor Cassandra / la bocca aperse, e quale esser solea / verace sempre e non creduta mai, / l'estremo fine indarno ci predisse: / e noi di sacra e di festiva fronde / velammo i templi il dí, miseri noi, / che de' lieti dí nostri ultimo fue”.
VIRGILIO, ENEIDE - LIBRO II

È la storia di una fine, o di un inizio: dipende dai punti di vista dei poeti che hanno raccontato le ultime ore della città di Troia, i capricci degli dei e le gesta degli eroi che l’hanno resa immortale nella memoria degli uomini.
È la storia di una fine o di un inizio, quella del Cavallo di Legno dal ventre cavo, inganno di Odisseo per penetrare, dopo dieci anni d’inutile assedio, le possenti mura che la leggenda vuole edificate nientemeno che da Poseidone.
O forse è semplicemente la Storia, con il suo fluire di gesti e fatti che si ripetono e che, a parte gli atti eroici, non decanta nell’umana memoria, ma si disperde, con le sue infinite metafore, nel carsico e immenso labirinto sul quale poggia i piedi la Cultura Occidentale.