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Per il "cappotto" norme edilizie tagliate su misura

Con alcune agevolazioni e inevitabili limiti che l’Autore esamina per fornire qualche utile suggerimento nell’affrontare il problema, che di solito è abbastanza complesso. Complessità che da più parti è stata posta in evidenza anche a seguito del diffuso ricorso alle agevolazioni fiscali messe in campo dai recenti provvedimenti governativi e che spesso ne limitano o ne ritardano l’attuazione.

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Quando si opera un intervento di miglioramento energetico, oltre all’aspetto tecnico-tecnologico bisogna anche pensare a quello dell’atto abilitativo per porlo in essere in modo legittimo senza incorrere in possibili sanzioni e (se si fruisce di benefici statali) anche nella perdita del finanziamento.

Si tratterà infatti di effettuare interventi che vanno dalla manutenzione straordinaria alla ristrutturazione, soggetti quindi a procedure dalla c.i.l.a. alla s.c.i.a. (se non anche a permesso in funzione dell’estensione delle opere e della localizzazione dell’intervento), prima di attivare i quali, per di più, occorrerà attestare la “legittimità dell’esistente” come prescrive il Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/01 recentemente aggiornato dal d.l. n. 76/2020 poi convertito nella legge n.120/2020).(Di questo ci siamo già occupati v. Nota 1).

Senza entrare nel merito specifico del tipo di atto (rectius: di procedura) in funzione del tipo di opera e di luogo - che è questione molto articolata che ha già rovinato i sonni a più di un tecnico - ci occuperemo qui di una questione che sta ancora a monte della scelta della procedura abilitativa: quella delle distanze. O, meglio, della fattibilità dell’intervento in funzione dell’alterazione delle distanze in cui si incorre fatalmente ogniqualvolta si operi applicando un “cappotto” all’esistente.

C’è anche un’ulteriore questione che, non necessariamente ma spesso, accompagna la realizzazione del cappotto: la modifica dell’aspetto estetico/esteriore e cioè del “prospetto”.

Solo di questi due “effetti collaterali” conseguenti al “cappotto” ci occuperemo, cercando di essere sintetici (senza presunzione di essere esaustivi) affrontando il tema su cinque punti in cui riteniamo di fornire spunti di riflessione utili ad affrontare la procedura corretta.


1. Le distanze nella “lex specialis”

Cominciamo da una norma specifica (derogatoria o, per dir meglio, addirittura esimente) che considera come inesistente l’incremento di “spessore” del fabbricato dovuto al cappotto e, di conseguenza, non computabile il suo spessore nella misurazione delle distanze.

E ciò sia che si tratti:

  • della distanza tra fabbricati imposta a livello nazionale del temuto articolo 9 del d.m. 1444/68)
  • della distanza dalle strade (posta dal codice della strada) e dalle ferrovie (norma del DPR 753/1980)
  • della distanza derivante dalla regolamentazione urbanistica comunale in materia di distanza dai confini o di altezze degli edifici.

La norma in questione è quella del comma 7 dell’articolo 14 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, come recentemente modificato dal decreto legislativo del 14/07/2020 - n. 73. (in Nota 2)

Questo vale per le opere di intervento sull’esistente (legittimo) e quindi per interventi dalla manutenzione straordinaria fino alla ristrutturazione edilizia ad esclusione, evidentemente, della nuova costruzione. In questi casi lo spessore del cappotto è “come se non ci fosse”.

Quindi non fa neppure “volume, superficie lorda, altezza, ….”

Ad una condizione però: che vi sia la “certificazione tecnica” di aver ottenuto una “riduzione” di almeno il 10% dei “limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192”.

Senza certificazione però nessuna deroga.

Per come è scritta parrebbe che il Legislatore volesse estendere la “deroga” alla generalità delle distanze minime imposte dalle fasce di rispetto, ma così però non ha detto espressamente e il fatto che si sia limitato a citare le distanze dai confini, dalle strade e dalle ferrovie non autorizza a ritenere estesa l’agevolazione anche alle distanze dai corsi d’acqua (tutelati dal vincolo idrogeologico), dai cimiteri, dai pozzi, dagli aeroporti, dalle zone militari, dai limiti demaniali, …… e via dicendo.

Peccato; ma il legislatore settoriale è spesso frettoloso e la Sua penna non sempre segue il pensiero.

E poi c’è un limite costituito dalle norme del Codice Civile, le cui distanze minime il Legislatore fa espressamente salve dalla deroga.

E’ appena il caso di rilevare che tali norme soggiacciono al principio di prevenzione per cui chi interviene per primo condiziona il vicino che opera per secondo, ma sono “disponibili” per accordo tra privati non essendo soggette a tutela pubblicistica.

Per cui, in caso di edifici contigui a rischio di violazione, l’operazione non è impedita, ma sarà bene tutelarsi anticipatamente sottoscrivendo un assenso reciproco tra le parti costituendo un asservimento (v. Cassazione civile sez. II, 27/01/2020, n.1731-Massima) (v. Nota 3).

Un (utile e significativo) cenno alla norma previgente

Quella or ora commentata è la norma attuale che però è stata introdotta solo nel 2020; previgeva dal 2014 la norma dell’articolo 14, comma 7 con una formulazione diversa che è il caso di esaminare perché può darci utili informazioni sulla mutata volontà del Legislatore.

La precedente stesura del comma 7 (v. Nota 2-bis):

  • disponeva che la deroga era ammessa con un valore assoluto massimo di aumento dello spessore fino a 25 cm mentre ora la norma non pone limiti di spessori massimi (né assoluti, né percentuali); il che potrebbe apparire abbastanza singolare, ma è indubbiamente voluto che sia condizionato solo al rispetto della finalità del risultato energetico minimo imposto;
  • stabiliva che il maggior spessore c’era ma comportava la “deroga” ai parametri urbanistici, mentre ora lo spessore è addirittura qualificato “inesistente” (tamquam non esset);
  • estendeva genericamente la deroga per tutti “gli interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti…” mentre ora inquadra la tipologia di interventi nelle categorie del DPR 380/01 (come è corretto che sia, se vogliamo da questi risalire al giusto titolo abilitativo) asserendo che possono essere “di manutenzione straordinaria, restauro e ristrutturazione edilizia, …”.

Su quest’ultima significativa modifica trarremo qualche deduzione al punto 5.

2. I prospetti

Parlare di “cappotto” chiama in causa il prospetto.

Che potrà modificarsi o no a seconda di com’era prima e come diventa dopo.

Qui la questione è molto delicata perché la nozione di “prospetto” è affidata alla letteratura tecnica (o alla giurisprudenza) e non esiste una sua definizione recepita dalla normativa tecnico-amministrativa in quanto (salve definizioni regionali) l’Intesa Stato-Regioni del 20 ottobre 2016 (che ha prodotto le Definizioni Tecniche Uniformi) se ne è disinteressata. (per un approfondimento v Nota 4)

Su quali siano le implicazioni delle modifiche ai prospetti dal punto di vista degli atti autorizzativi vanno apprezzate le modifiche recentemente apportate in merito dal d.l. n. 76/2020 che ha (finalmente) eliminato la confliggente disposizione dell’articolo 3, lett. d) del DPR 380/01 con l’articolo 10. Infatti mentre il primo faceva rientrare nella s.c.i.a. la ristrutturazione con modifica della sagoma (a parità di volume), il secondo imponeva tout court il permesso anche solo con modifica dei prospetti ancorché a parità di volume. Una evidente contraddizione. (v. Nota 5)

Oggi le nuove norme ci dicono che una modifica anche sostanziale dei prospetti (ed eventualmente anche di sagoma) è soggetta a ristrutturazione con s.c.i.a. purché a parità di volume (se non si è soggetti a vincolo ex d.lgs. 42/2004).

C’è poi il caso particolare della modifica dei prospetti rientrante nella manutenzione straordinaria, ma questo vale limitatamente al caso in cui le modifiche siano “necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso”, ipotesi che pare difficilmente adattarsi alla realizzazione di un “cappotto”.

In ogni caso la manutenzione straordinaria non è applicabile ai casi in cui si pregiudichi “il decoro architettonico dell’edificio” (espressione invero sibillina e generica e non oggettivamente riconoscibile) e agli immobili vincolati dal Codice dei Beni Culturali (v. punto 3).

L’unica chiarificazione utile ai casi che qui si prospettano apportata dalla nuova norma appare dunque solo quella della eseguibilità (in assenza di vincoli ex d.lgs. 42/2004) con ristrutturazione soggetta a s.c.i.a. dando però per scontato che il cappotto non costituisca incremento di volume. (v. punto 4)

3. I prospetti nella norma paesaggistica

In merito ai prospetti non possiamo non citare un caso particolare.

Se si opera in zona soggetta a vincolo paesaggistico potrà essere utile sapere che gli “interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici” compresi gli “interventi di coibentazione volti a migliorare l’efficienza energetica degli edifici”. In altri e più volgari termini possiamo dire che i “cappotti” non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica; o, almeno, non lo sono più da quando ha così disposto il DPR 13.02.2017, n. 31 - all’articolo 2, comma 1 con rinvio all’Allegato A1 (v. Nota 6).

L’esonero dall’autorizzazione paesaggistica non esime dalla procedura abilitativa edilizia; ma già non è poco.

Ogni norma di liberalizzazione che si rispetti però ha le sue eccezioni, condizioni e limitazioni anche di estremo dettaglio, tanto che il Ministero ha ritenuto di doverle puntualizzare in una specifica circolare esplicativa. (v. Circolare del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo 21.07.2017, n. 42, prot. 21322 – v. Nota 7).

Il che la dice lunga sulla sua inequivocabile interpretazione; non si capisce perché non ci sia norma sufficientemente intelliggibile di per sé senza bisogno che chi l’ha scritta ce la spieghi anche !

In effetti le limitazioni e le condizioni sono in parte oggettive, in parte aleatorie (alias: fumose) e si prestano ad equivoche o personalistiche interpretazioni: in altri termini risultano di rischiosa attuazione. Cosa disdicevole per una norma che si propone di essere semplificativa.

Le limitazioni oggettive sono che:

  • si deve comunque rispettare l’eventuale “piano del colore” se esistente (se non c’è, il problema è risolto a monte);
  • non devono comportare la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura.

Le limitazioni soggettive sono poi che l’intervento deve avvenire nel rispetto “delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti.

E qui si insinua la valutazione di quali siano effettivamente le caratteristiche architettoniche e morfo-tipologiche da non alterare, che spesso risultano già alterate da non rispettosi interventi precedenti, tanto che la circolare si premura di dire che sarebbe “illogico” confermale così come sono ed anzi si spinge a richiedere che (con l’occasione dell’intervento attuale) vengano ripristinate quelle “originarie”. (Così il commenta i punti A2. e A3. dell’allegato A la circolare sopra menzionata.)

Non si è soggetti dunque solo ad una valutazione di merito sull’esistente, ma anche alla valutazione della congruità del ripristino/restauro dell’originario stato che presenta indubbi elementi di aleatorietà interpretativa.

Senza contare che comunque sono esclusi gli edifici di interesse storico-architettonico e storico-testimoniale.

4. Distanze e quant’altro nelle norme locali (regionali e/o comunali)

Nulla impedisce alla regione o al comune di dettare norme locali (di legge o di piano urbanistico) in materia, limitatamente però alle norme di propria competenza, ovvero alla definizione degli indici urbanistici (volumetrici e/o di distanze, altezze, superficie coperta, …).

Potremmo dunque trovarci di fronte ad una sovrapposizione normativa di enti a diversa competenza che occorrerà ricondurre nel corretto ambito.

La discriminante è il raggiungimento dell’obiettivo energetico della riduzione del 10% della trasmittanza.

Se si è in questa ipotesi valgono le esimenti della lex specialis descritta al punto 1, che su tutto prevalgono, per cui lo spessore del “cappotto” è come se non ci fosse (per i parametri urbanistico-edilizi e per le distanze di cui si è detto, eccettuate quelle del Codice Civile).

Fuori da questi casi occorre distinguere:

  • quanto ai parametri urbanistico-edilizi le norme di ogni singolo strumento urbanistico locale possono legittimamente disporre eventuali deroghe o esenzioni
  • quanto alle distanze di legge (o di norme statali sovraordinate) l’unica possibilità di deroga è consentita dall’articolo 2-bis del DPR 380/01 che al comma 1 consente facoltà derogatorie soltanto però con legge (o regolamento) regionale (o delle province autonome di Trento e Bolzano) e comunque riferite a “specifiche aree territoriali” e per “un assetto complessivo e unitario delle stesse.” Mai dunque per edifici singoli. (v. Nota 8).

Attenzione dunque all’eventuale presenza di norme locali che non siano sorrette da questi presupposti indefettibili perché rischiano di essere poi travolte in sede giurisdizionale in caso di ricorsi.

Non sarebbe certo la prima volta, come la storia insegna proprio a proposito delle leggi regionali.

Di nessun rilevo per il “cappotto” è poi il comma 1-ter dello stesso articolo 2-bis (recentemente introdotto dalle modifiche del d.l. .76/2020) che consente il mantenimento delle distanze preesistenti (se legittime) in caso di sopraelevazione o ampliamento fuori sagoma o in caso di demo-ricostruzione, ma il “cappotto” non è un ampliamento, né una sopraelevazione, né una demo-ricostruzione.

Se, come ipotizzato, sussistono norme locali (regionali e/o comunali) che ritengono il maggior spessore non incidente sui parametri di propria competenza (indici, distanze dai confini, altezze, volumetrie, sagoma, ….) l’effetto che ne deriva rileva sul tipo di atto da richiedere.

Per il quale occorre infatti accertare che non vi sia “incremento di volume”, condizione questa che limita (per definizione dell’articolo 3 del DPR 380/01) la qualificazione delle opere da eseguire dalla manutenzione straordinaria fin’anche alla ristrutturazione .

Infatti se ci rifacciamo (come è doveroso) alle Definizioni Unitarie dell’Intesa Stato-Regioni del 2016 di cui si è detto dianzi, si vede che al punto 19 individuano il “Volume della costruzione” come quello “costituito dalla somma della superficie totale di ciascun piano per la relativa altezza lorda” e al punto 12 la Superficie totale come la “Somma delle superfici di tutti i piani fuori terra, seminterrati ed interrati comprese nel profilo perimetrale esterno dell’edificio”.

E poiché il profilo perimetrale esterno viene incrementato dello spessore del “cappotto”, per asserire l’invarianza del volume dobbiamo invocare o la norma della lex specialis di cui al punto 1 o eventuali norme locali all’uopo predisposte da amministrazioni accorte.

In mancanza di norme esimenti (o derogatorie) a stretto rigore non possiamo ritenere il volume invariato. Con quel che ne consegue per l’inquadramento dell’intervento nelle categorie dell’articolo 3 del Testo Unico dell’Edilizia e del conseguente atto abilitativo.

5. Inapplicabili la manutenzione ordinaria e la tolleranza con funzione abilitativa

Due precisazioni per evitare equivoci.

La prima:

Pare conseguente a quello che fin qui abbiamo detto che non è ipotizzabile inquadrare “il cappotto” nelle opere di manutenzione ordinaria.

E ciò per testuale definizione dell’articolo 3, lett. a) del DPR 380/01, visto che non si tratta di “riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” e neppure di “integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti” (che ancora non esistono), ma sono piuttosto “le opere e le modifiche necessarie …………………. per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici”, per cui la loro qualifica corretta è almeno di manutenzione straordinaria.

Ma (se ancora ci fossero dubbi) vi è anche l’espressa (e voluta) modifica del testo dell’articolo 14, comma 7 da parte del d.lgs. 73/2020 che, per raggiungere l’obiettivo energetico, qualifica le opere necessarie dalla manutenzione straordinaria in su; omettendo quella ordinaria (v. punto 1)

La seconda:

L’applicazione del “cappotto” non può usufruire della norma sulla tolleranza (recentemente aggiornata dall’articolo 34-bis introdotto dal d.l. n. 76/2020).

La tolleranza è “lo scostamento dalle misure di progetto che il Legislatore ritiene fisiologico che si possa verificare in sede esecutiva” e quindi la tolleranza non può essere “progettata” (e cioè già prevista) in un nuovo intervento aggiuntivo all’esistente. La si può far valere solo a valle dell’esecuzione. (v. Nota 9).


NOTE

1). “La verifica della legittimazione degli immobili nel decreto-legge Semplificazioni” InGenio 30/09/2020 e “C'è qualche insidia nell'auto-dichiarazione dello "stato legittimo" degli immobili” InGenio 20/01/2021

 

2) - Decreto legislativo del 14/07/2020 - N. 73

All'articolo 14 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il comma 6 e' abrogato;

b) il comma 7 e' sostituito dal seguente:

«7. Nel caso di interventi di manutenzione straordinaria, restauro e ristrutturazione edilizia, il maggior spessore delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori, necessario per ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalita' di cui al medesimo decreto legislativo, non e' considerato nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze, delle superfici e dei rapporti di copertura. Entro i limiti del maggior spessore di cui sopra, e' permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprieta', alle distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonche' alle altezze massime degli edifici. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate nel codice civile.».

 

2-bis).

Articolo 14, Comma 7 del d.lgs. 102/2014

“Nel caso di interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti che comportino maggiori spessori delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori necessari ad ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalita' di cui al medesimo decreto legislativo, e' permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprieta' e alle distanze minime di protezione del nastro stradale, nella misura massima di 25 centimetri per il maggiore spessore delle pareti verticali esterne, nonche' alle altezze massime degli edifici, nella misura massima di 30 centimetri, per il maggior spessore degli elementi di copertura. La deroga puo' essere esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate nel codice civile”.

 

3). Cassazione civile sez. II, 27/01/2020, n.1731 - Massima

“Per mantenere una costruzione a distanza minore di quella prescritta dalla legge, non è sufficiente una scrittura unilaterale del proprietario del fondo vicino che autorizza la corrispondente servitù, ma è necessario un contratto - essendo inidoneo, per i diritti reali, un atto ricognitivo - che dia luogo alla costituzione di una servitù prediale, ex art. 1058 c.c., risolvendosi in una menomazione di carattere reale per l'immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente beneficio. Inoltre, l'atto che manifesti la volontà delle parti di derogare alle norme in tema di distanze dal confine dettate dagli strumenti urbanistici è invalido, trattandosi di norme inderogabili perché non si limitano a disciplinare i rapporti intersoggettivi di vicinato, ma mirano a tutelare anche interessi generali.”

 

4). V. articolo: Paola Minetti  - “La variazione del progetto con opere edilizie secondo la più recente giurisprudenza” – su Ufficio Tecnico n. 3/2019 – Ed. Maggioli

 

5). “Sagoma e prospetto: una contraddizione insanabile nel dpr 380/01. Analisi delle sentenze e commenti” InGenio 30.03.2020 e “L’incidenza del prospetto nella tipologia degli interventi edilizi” InGenio 28/08/2020

 

6) Decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31
Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata
(G.U. 22 marzo 2017, n. 68)

ALLEGATO A (di cui all’art. 2, comma 1)

INTERVENTI ED OPERE IN AREE VINCOLATE ESCLUSI DALL’AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA

A.1. Opere interne che non alterano l’aspetto esteriore degli edifici, comunque denominate ai fini urbanistico-edilizi, anche ove comportanti mutamento della destinazione d’uso;

A.2. Interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici, purché eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti, quali: rifacimento di intonaci, tinteggiature, rivestimenti esterni o manti di copertura; opere di manutenzione di balconi, terrazze o scale esterne; integrazione o sostituzione di vetrine e dispositivi di protezione delle attività economiche, di finiture esterne o manufatti quali infissi, cornici, parapetti, lattonerie, lucernari, comignoli e simili; interventi di coibentazione volti a migliorare l’efficienza energetica degli edifici che non comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura. Alle medesime condizioni non è altresì soggetta ad autorizzazione la realizzazione o la modifica di aperture esterne o di finestre a tetto, purché tali interventi non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest’ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici

 

7). Circolare Min. 21.07.2017, n. 42 (estratto - allegato PdF)

 

8). Dpr 6 giugno 2001, n. 380
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
(G.U. n. 245 del 20 ottobre 2001)

Art. 2-bis - Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati

1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.
(Ai sensi dell'art. 5, comma 1, lettera b-bis), della legge n. 55 del 2019, le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alla zona di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9)

1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
(comma aggiunto dall'art. 5, comma 1, legge n. 55 del 2019)

1-ter. In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Nelle zone zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela.
(comma aggiunto dall'art. 5, comma 1, legge n. 55 del 2019 poi così sostituito dall'art. 10, comma 1, lettera a), della legge n. 120 del 2020)

 

9). “La ridefinizione della Tolleranza nel DL Semplificazioni - parte prima: le innovazioni concettuali e sostanziali” InGenio 08/09/2020 e “La ridefinizione della Tolleranza nel DL Semplificazioni: gli effetti della retroattività sulle norme collaterali”  InGenio 07/08/2020


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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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