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Abusi edilizi, condono e presunta doppia conformità: quando la sanatoria va comunque concessa

Consiglio di Stato: la doppia conformità urbanistica "non fa testo" se non è in discussione la conformità ad un diverso e doppio piano, vigenti rispettivamente all’epoca della costruzione ed all’epoca della domanda, quanto piuttosto l’interpretazione dell’unico piano rilevante

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Stavolta parliamo di doppia conformità urbanistica in senso particolare, cioè quando il comune sbaglia nel considerarla dirimente semplicemente perché non si vanno a comparare le regolarità 'prima' e 'adesso', ma si tratta solo di interpretare il piano attuativo comunale.

L'oggetto del contendere della sentenza 2989/2021 del 14 aprile del Consiglio di Stato riguarda infatti un provvedimento demolitorio e ripristinatorio per asserite opere abusive. Richiesta una proroga per l’ottemperanza, gli originari ricorrenti provvedevano quindi alla presentazione di apposita istanza di regolarizzazione delle opere, mediante la richiesta in sanatoria, previo deposito della documentazione relativa all’acquisto di cubatura e superficie permeabili, reputati necessari per sanare le opere in contestazione, anche per il soddisfacimento di parametri urbanistici.

Alla domanda di sanatoria faceva però seguitoil provvedimento di preavviso di diniego, con il quale il Comune opponeva i seguenti motivi ostativi:

  • l’asserita non applicabilità dell’istituto del trasferimento volumetrico per ritenuto contrasto con l’art. 8.3. delle disposizioni comuni del P.G.T. per il fatto che le aree di decollo e di atterraggio, sebbene facenti parte del medesimo ambito e campo urbanistico ed entrambe aventi destinazione residenziale, sarebbero denominate con sigle differenti (a2 e a3);
  • in merito alle distanze dai confini, l’asserita non applicabilità dell’art. 8.5. delle disposizioni comuni del P.G.T., in quanto per il Comune la norma andrebbe interpretata nel senso di legittimare esclusivamente le sole opere sul confine;
  • la violazione dell’art. 35 delle n.t.a. del P.G.T. in tema di distanza dalla strada.

 

Violazione della doppia conformità: se non è contestata come circostanza ostativa...

Prima di tutto, Palazzo Spada evidenzia che, secondo la sentenza qui impugnata, il successivo acquisto delle condizioni previste dal piano per l’intervento sarebbe in contrasto con il principio della doppia conformità, imposto dall’art. 36 dPR 380/2001.

Sul punto appare fondata la censura dedotta, in quanto la pianificazione invocata ed applicata non è mutata; piuttosto, oggetto di contestazione tra le parti è solo l’interpretazione del piano vigente e immutato, in relazione all’esegesi delle norme di attuazione ritenute applicabili al caso di specie, con la conseguenza che l’elemento ostativo rilevato dal Giudice di prime cure – oltre a non risultare di per sé corretto né ostativo – non si rinviene nei motivi di diniego eccepiti dal Comune.

Invero, l’opzione ermeneutica seguita dal Tar porterebbe alla sostanziale inapplicabilità delle previsioni di piano, in quanto darebbero rilievo agli acquisti di cubature ed alle ulteriori possibilità consentite solo se anteriori al piano. Diversamente, nella specie non è in discussione la conformità ad un diverso e doppio piano, vigenti rispettivamente all’epoca della costruzione ed all’epoca della domanda, quanto piuttosto l’interpretazione dell’unico piano rilevante nel caso in esame.

 

Il trasferimento di volumetria

In linea di fatto l’acquisto di volumetria ha riguardato il solo locale adibito a “cucina” e non gli altri locali; con l’atto di acquisto sono stati infatti acquistati: 40 mq di superficie permeabile, 60 mq di superficie coperta, nonché 120 mq di s.l.p. e 360 metri cubi di volume.

Ma nel caso di specie entrambe le aree appartengono al medesimo ambito, tenendo conto che il medesimo P.G.T., all’art. 5.1 del Piano delle Regole, suddivide il territorio comunale in ambiti territoriali. Entrambe le aree, infatti, appartengono all’ “Ambito del tessuto urbano consolidato”; nonché al ai “campi dell’adeguamento” di cui all’art. 6.1 delle norme di attuazione del Piano delle Regole del PGT, senza che possa rilevare – ai fini in esame - il mero non coincidente dato alfanumerico a2 e a3, stante l’unicità del campo.

 

La distanza minima dal confine

Il Comune, nel preavviso di rigetto, ha rilevato quanto segue: “non risulta praticabile la soluzione indicata nella relazione tecnica presentata (autorizzazione al mantenimento sottoscritta in forma privata da ciascun confinante) in quanto le opere in questione non sono state realizzate a confine come prevede l’art. 8.5. delle Disposizioni Comuni del vigente PGT secondo cui: “gli interventi di nuova costruzione, ampliamento e/o ristrutturazione fuori sagoma esistente, da realizzarsi a confine, sono assentibili previa convenzione tra la proprietà frontiste interessate, registrata e trascritta”.

Aldilà delle questioni formali, va rilevato che, in ogni caso, l’interpretazione restrittiva della norma di piano non risulta coerente rispetto all’art. 35.3. delle n.t.a, relativo all’area de qua, il quale prevede espressamente quanto segue: “Sono ammesse costruzioni a distanza non regolamentare dal confine previo convenzionamento, da rendersi mediante scrittura privata registrata e trascritta presso i pubblici registri immobiliari, fermo restando il rispetto della distanza di fabbricati Df”.

Sul punto è pertanto fondato il difetto di motivazione, con analogo onere di verifica in sede di riesame conseguente alla presente decisione, nei termini predetti.

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