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Abusi edilizi, permessi falsi, accertamenti: tutte le responsabilità di committente e professionista

Il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia, chiarisce il funzionamento dell'accertamento di conformità e ricorda l'importanza del professionista nel procedimento edilizio

 

Il Consiglio di Stato, in una recente pronuncia, chiarisce il funzionamento dell'accertamento di conformità, aggiungendo che se il professionista tecnico falsifica i permessi edilizi, frodando il committente, il Comune non deve tenerne conto e può pretendere il pagamento delle sanzioni per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.


Se un professionista tecnico al quale sono affidati dei lavori edilizi falsifica i permessi di costruire, e così facendo porta a termine una ristrutturazione edilizia senza alcun titolo legittimante, la responsabilità dell'abuso edilizio è solo del professionista o anche del committente (in questo caso privato)?

A questa domanda risponde il Consiglio di Stato nella recente sentenza 7418/2021 dello scorso 8 novembre, che va a fare luce sul funzionamento dell'accertamento di conformità e ricorda l'importanza del professionista nel procedimento edilizio.

 

Permesso in sanatoria e pagamento

Visto che la ristrutturazione di cui sopra risultava eseguita senza permessi, il committente ha chiesto e ottenuto i permessi in sanatoria dopo aver pagato l’oblazione e le sanzioni previste.

Sappiamo infatti, che in virtù dell'art. 36 del dpr 380/2001, “Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso”.

Poi, considerando che aveva dovuto pagare la 'multa' a causa di condotte irregolari altrui (del professionista), aveva richiesto indietro le somme ottenendo l'ok del TAR. Ma il Consiglio di Stato non è d'accordo. Vediamo perchè.

Abusi edilizi, permessi falsi, accertamenti: tutte le responsabilità di committente e professionista

Responsabile dell'abuso e proprietario possono attivare le sanatoria

Il Consiglio di Stato cita il primo comma dell’art. 36 TUE, secondo cui: “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività… il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria”. 

La norma intesta indistintamente al responsabile dell’abuso ed al proprietario la titolarità del potere di attivare il procedimento di sanatoria, individuando in modo esplicito anche l’attuale proprietario, anche se non responsabile dell’abuso.

Ciò a differenza del previgente art. 13 della legge 47/1985, che individuava come unico legittimato il responsabile dell’abuso.

In coerenza con tale considerazione, deve osservarsi che:

  • quello di sanatoria è un procedimento ad istanza di parte, che, come detto, lo stesso proprietario non responsabile può attivare;
  • l’oblazione ivi prevista è considerata dal legislatore una condizione per l’ottenimento del titolo in sanatoria, grazie al quale l’istante scongiura il rischio di dover procedere alla demolizione dell’opera;
  • in tal senso, l’”oblazione” è una somma che viene corrisposta “volontariamente” (la sanatoria è infatti richiesta dall’interessato) al fine di regolarizzare una situazione obiettivamente antigiuridica, di cui lo stesso proprietario, anche se non responsabile, sarebbe chiamato a rispondere, dal momento che, a norma dell’art 31 del dpr 380/2001, il proprietario, anche se non responsabile in via diretta, può essere soggetto passivo del provvedimento di demolizione, in quanto soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso.

 

Estraneità dei fatti e abuso edilizio: al comune non interessa...

Del resto, ricordano i giudici di Palazzo Spada, la giurisprudenza della Sezione anche recentemente (cfr. Cons. St. 8171/2020) ha ribadito che "la repressione degli abusi edilizi e paesaggistici può esser disposta in qualsiasi momento, trattandosi di misure a carattere reale (piuttosto che di vere e proprie sanzioni) che colpiscono illeciti permanenti, cessando questi ultimi o con la misura ripristinatoria o con quella pecuniaria alternativa, ossia misure oggettive in rapporto alle quali non può neppure esser invocato utilmente il principio d’estraneità dei proprietari all’effettuazione dell’abuso e, al più, tal eventuale estraneità assume rilievo sotto altri profili…il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino o pecuniaria sostitutiva è non già l'accertamento di responsabilità nella commissione dell'illecito, ma l’esistenza d’una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia, per cui è inciso anche il proprietario non responsabile e colui che v’è succeduto a qualunque titolo (cfr. anche Cons. St., VI, 11 dicembre 2018 n. 6983)".

In definitiva, il fatto che la situazione di oggettiva illegittimità dell’opera si sia determinata a causa della condotta fraudolenta di un terzo, non risulta idoneo ad incrinare la conclusione che precede, non potendosi ripercuotere, nel senso voluto dal ricorrente, nella relazione tra questi e l’amministrazione, la quale resta estranea alle vicende che hanno caratterizzato il rapporto tra il ricorrente ed il tecnico dallo stesso incaricato di seguire la pratica edilizia.

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