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La responsabilità per gli abusi edilizi: alla scoperta dell'articolo 29 del Testo Unico Edilizia

In ambito edilizio il rispetto della normativa impone la previsione di diverse responsabilità, amministrative e penali, in capo ai diversi soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nella fase esecutiva o attuativa del titolo edilizio rilasciato dall’amministrazione (permesso di costruire, scia).

Sul punto la disciplina di riferimento è data dall’art. 29 TUE, che si preoccupa di individuare i vari soggetti destinatari delle sanzioni irrogabili.

Per tale ragione, la disposizione in questione, che chiude il capo I del D.P.R. n. 380/2001 riguardante “l’attività edilizia”, si pone come norma di riferimento per comprendere in quali casi e secondo quali limiti i vari soggetti possano essere intesi come responsabili del mancato rispetto della normativa urbanistica ed edilizia di settore.

Di conseguenza, all’interno del presente articolo si procederà ad effettuare una breve esegesi della norma affrontando, anche in linea con i commi previsti, dapprima 1) i soggetti responsabili e successivamente 2) la figura del direttore lavori e 3) la figura del progettista quale esercente servizio di pubblica necessità.


1. I soggetti responsabili: l’art. 29, comma 1, TUE

Il primo comma dalla disposizione individua diversi soggetti responsabili, delineando una sorta di numerus clausus dei vari attori coinvolti. 

Infatti, rientrano nel novero dei soggetti legittimati passivi rispetto al regime sanzionatorio:

  1. Il titolare del permesso di costruire;
  2. Il committente;
  3. Il costruttore.

Dalla norma emerge quindi chiaramente che la mera titolarità di un diritto reale (es. proprietà o diritto di superficie) non comporta di per sé l’immediata insorgenza di una responsabilità di sorta.

Questo in quanto occorre sempre un c.d. rapporto di dominio effettivo tra l’agente e l’opera difforme rispetto alla normativa edilizia e urbanistica.

Dopotutto lo stesso orientamento giurisprudenziale considera il proprietario che non sia committente dell’opera come soggetto non responsabile delle difformità riscontrate (cfr. Cassazione penale sez. III, 27/04/2021, n.24138).

Per tale ragione risulta corretto l’assunto secondo cui non vi può essere responsabilità, penale o amministrativa, in quei casi in cui sussista un c.d. rapporto di alterità tra l’attività edilizia illecita effettuata e la titolarità del diritto reale sul bene.

Questo in quanto la mera disponibilità del bene non fa sorgere alcuna legittimazione passiva in capo al titolare del diritto reale, con la conseguenza che l’addebito nei suoi confronti è configurabile solo laddove il medesimo abbia effettivamente apportato un contributo causale, sia esso morale o materiale, nella realizzazione dell’abuso e, quindi, nel relativo illecito penale/amministrativo.

Dopotutto è risaputo che gli eventuali soggetti terzi rispetto a quelli previsti dall’art. 29, comma 1, TUE, quali ad es. il proprietario, possono essere comunque destinatari di sanzioni amministrative o penali se hanno concorso nella realizzazione dell’abuso.

Lo stesso massimo consesso amministrativo ritiene che “Il reato e l'illecito amministrativo edilizio non sono fattispecie a soggettività ristretta, nel senso che anche soggetti diversi (come ad esempio il proprietario) da quelli espressamente contemplati dall'art. 29 T.U. 6 giugno 2001 n. 380 (e cioè il committente, il titolare del permesso di costruire, il progettista ed il direttore dei lavori) possono essere chiamati a risponderne, ove ricorrano le condizioni per ravvisare un coinvolgimento di tali altri soggetti nella condotta illecita, pur se appare indubbio che debba sussistere un sicuro criterio di imputazione della condotta illecita al soggetto destinatario della sanzione amministrativa” (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 4178 del 16 agosto 2013).

Sembrerebbe, quindi, che, in linea generale, da un lato il legislatore abbia optato per una tipizzazione delle figure responsabili mentre dall’altro la giurisprudenza abbia allargato le maglie, per evidenti esigenze di repressione, affermando la responsabilità anche di soggetti terzi non ricompresi nell’art. 29 TUE.

Si delinea così un quadro generale nel quale sono generalmente ritenuti responsabili i soggetti aventi un legame intrinseco con l’attività esercitata in difformità della normativa urbanistica e pianificatoria, salvo eventuali e specifiche condotte causalmente rilevanti commesse da terzi.

Ferme le ipotesi e la legittimazione passiva dei soggetti di cui sopra, sempre nel comma 1 è prevista anche la responsabilità del direttore dei lavori (nel proseguo anche solo “DL”).

Tale figura risponde in tutti quei casi in cui le difformità riscontrare afferiscano al permesso di costruire ovvero alle relative modalità esecutive dello stesso, divenendo, di conseguenza, fondamentale il ruolo di controllo che deve svolgere in relazione alla corretta esecuzione delle opere.

In questo modo si estende il vincolo solidaristico anche al direttore dei lavori, sebbene lo stesso, come noto, sia materialmente sprovvisto di una qualifica soggettiva ricollegabile al bene oggetto di intervento (c.d. rapporto di dominio).

Proprio per tale ragione, si investe tale figura di una precisa posizione di garanzia e vigilanza che la differenzia, per l’appunto, dagli altri soggetti coinvolti nell’illecito commesso, per cui in forza dei compiti espressamente riconosciutigli da legge il DL diviene così un soggetto eventualmente responsabile degli abusi.

A questo punto si comprende ancora meglio la logica solidaristica che sottende la disposizione.

Questo rigido meccanicismo di solidarietà si estende infatti a tutti i soggetti coinvolti, operante per tutte: 

  • a) le sanzioni pecuniarie
  • b) le spese per l’esecuzione in danno derivanti dalla demolizione delle opere abusive.

Proprio con specifico riferimento a queste ultime spese sub b) vi è da porre in evidenza quanto affermato dalla massima giurisprudenza amministrativa che è giunta a ritenere ricompresi, a titolo di spese per l’esecuzione, tutti gli interventi andati a vuoto per la demolizione che siano comunque addebitabili al soggetto sanzionato.

Questo in quanto la realizzazione, anche tardiva, della demolizione a causa del fatto del soggetto sanzionato comporta sempre il relativo accollo anche di tutte quelle spese ricollegate agli effettivi profili di responsabilità (sul punto cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 10/02/2015, n.715).

Di conseguenza, tutti i soggetti coinvolti nell’attività edificatoria dell’opera illegittima, compreso il DL, sono responsabili solidamente in forza di una espressa presunzione iuris tantum a cui si ricollega un onere per quei soggetti che vogliono essere esonerati da responsabilità di dimostrare di aver agito senza alcuna colpa (cfr. comma 1, secondo periodo).

Lo stesso ultimo paragrafo del comma 1 cristallizza la possibilità del superamento della presunzione di cui sopra, prevedendo l’onere di dimostrazione:

  1. dell’estraneità dalla condotta recriminata, ovvero
  2. della insussistenza di un effettivo contributo causale.

Infine, risulta interessante anche l’eventuale profilo della responsabilità concorrente del dirigente dell’area tecnico/responsabile dell’ufficio tecnico che ha provveduto a rilasciare un permesso di costruire qualificato successivamente come illegittimo.

In questi casi infatti, sostiene la giurisprudenza, occorre valutare se il pubblico dipendente abbia concorso effettivamente e consapevolmente, mediante una condotta quanto meno colposa, alla realizzazione delle opere illegittime in quanto la mancata previsione della figura all’interno dell’art. 29 TUE non impone alcuna insorgenza di una posizione di garanzia in capo al medesimo, come avviene invece per il direttore dei lavori.

Dopotutto, per la massima autorità giudicante penale (Cassazione penale sez. III, 25/10/2016, n.5439) il dirigente dell’area tecnica comunale non ha una funzione di vigilanza a carattere generale tale da far sorgere sistematicamente la già menzionata posizione di garanzia.

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2. La figura del direttore lavori e la relativa clausola di salvezza ex art. 29, comma 2, TUE

In deroga rispetto al comma 1, il comma 2 prevede un peculiare meccanismo di dissociazione comportante l’esonero di responsabilità del direttore dei lavori rispetto alle difformità/abusi riguardanti le opere edificate.

Infatti, il comma in esame opera in quei casi in cui vi sia stata una violazione rispetto alle prescrizioni del titolo edilizio e il direttore lavori si attivi immediatamente denunziando le difformità riscontrate o rinunciando al mandato per non dover rispondere solidamente delle eventuali sanzioni irrogabili, sia di natura penale che amministrativa.

Per tale ragione la logica sistematica da rinvenirsi è quella per cui al direttore lavori, investito di una apposita posizione di garanzia (Cassazione penale sez. III, 08/06/2018, n.33387), è richiesto un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione delle opere da cui deriva:

  1. onere/dovere di contestazione delle varie irregolari riscontrate e
  2. l’eventuale rinunzia dell’incarico. 

Con specifico riferimento al primo caso sub. 1) è previsto all’interno del primo periodo del comma che il direttore debba attivarsi a denunciare a tutti gli altri soggetti la violazione perpetrata invitandoli a rimuoverla.

Tuttavia, la denunzia non esonera di per sé il direttore dei lavori, infatti se le violazioni non sono eliminate dagli altri soggetti il direttore dei lavori deve provvedere anche a comunicare al comune competente, nella persona del dirigente o del responsabile dell’ufficio tecnico, una nota motivata che evidenzi la sussistenza e la descrizione delle opere difformi rispetto a quelle assentite. 

Ecco allora che solamente in questo caso, mediante una formale dissociazione dall’attività illegittima svolta il DL può ritenersi liberato dal vincolo solidale previsto per le sanzioni irrogabili.

Ciononostante, vi è da rilevare che la dissociazione del DL non comporta comunque l’esclusione delle responsabilità degli altri soggetti previsti dall’art. 29, comma 1, TUE, soprattutto in quei casi in cui la difformità dell’opera sia talmente evidente da non ritenersi verosimile che il committente non abbia rilevato le stesse. Dopotutto, in questi specifichi casi, si ritiene ragionevole qualificare come corresponsabile il committente con il DL, in quanto tenuto ad una verifica della rispondenza tra l’opera edificata a quella progettata.   

La stessa giurisprudenza ha affrontato questo caso affermando a chiare lettere che “L'art. 29 t.u.e., rubricato “responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività”, prevede un meccanismo di responsabilità concorrente del titolare del permesso di costruire, del committente e anche del costruttore e del direttore dei lavori, per quanto concerne la conformità delle opere a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo; sicché la presenza del direttore dei lavori non può certo valere ad elidere, in alcun modo, gli obblighi gravanti sulle altre figure qualificate previste dal citato art. 29 e, tra queste, l'amministratore della società costruttrice” (Cassazione penale sez. III, 24/05/2017, n.43153).

Sempre con riferimento ai profili di dissociazione, il secondo periodo del comma prevede un ulteriore e peculiare meccanismo per consentire al direttore lavori di essere ritenuto esonerato da responsabilità.

Viene affermato che nelle opere in cui sia riscontrabile una totale difformità ovvero una variazione essenziale rispetto al titolo edilizio il direttore dei lavori non può limitarsi alla denunzia ma deve necessariamente, e contestualmente, rinunziare anche all’incarico conferito.

In questi casi, quindi, il direttore dei lavori è tenuto ad un doppio onere, se vuole essere esonerato da responsabilità:

  1. la denuncia dei vizi;
  2. la rinunzia dell’incarico.

In relazione a tale questione è utile evidenziare che la mancata rinunzia comporta il rischio di una pesante sanzione professionale, di natura sospensiva. È prevista infatti l’irrogazione della sospensione professionale dai tre mesi ai due anni in capo al direttore lavori da parte dell’ordine professionale di appartenenza.

 

3. La figura del progettista quale esercente servizio di pubblica necessità ex art. 29, comma 3, TUE

L’ultimo comma della disposizione in esame si interessa invece della figura del progettista, prevedendo che lo stesso, in relazione alle opere soggette a scia, assume la qualità di esercente un servizio di pubblica necessità.

Difatti, l’attività espletata dal progettista è riconducibile nel novero di quelle previste dall’art. 359 c.p., in forza della espressa previsione legislativa, che ha inteso elevare la figura del privato progettista come esercente un servizio di pubblica necessità.

In questo modo si pongono in capo a tale figura degli obblighi e delle responsabilità più preganti rispetto a quelle di ordine generale, che comportano anche l’applicabilità di specifiche fattispecie penali.

Per tale ragione è utile rilevare che il richiamo effettuato dallo stesso art. 29, comma 3, TUE, comporta, ad esempio, per il progettista l’applicazione dell’art. 481 c.p. (delitto contro la fede pubblica) che punisce la falsità ideologica commessa dall’esercente un servizio di pubblica necessità:

  • a) con la reclusione fino a un anno o con la multa da 51 a 516 euro;
  • b) con la reclusione fino a un anno e la multa da 51 a 516 euro solo se il fatto è stato commesso con finalità lucrativa.

È interessante evidenziare che in relazione all’ipotesi sub b) la Cassazione penale n. 11081/2010 ha ritenuto che la finalità di lucro debba essere dimostrata in maniera specifica, non potendosi solamente presumere tale finalità.

Per quanto riguarda invece l’ambito applicativo, la norma ha consentito, ad esempio, l’applicazione della sanzione al progettista anche per le false attestazioni presenti nella relazione di accompagnamento di una DIA.

La Cassazione penale n. 27699/2010 ha ritenuto infatti che “Il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica utilità anche con riferimento alla relazione iniziale che accompagna la denuncia di inizio attività e che quindi assumono rilevanza penale anche le false attestazioni contenute in questa relazione, qualora riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici vigenti e non già la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità con le opere in concreto realizzate”.

In ultimo, occorre anche in questo caso constatare il potere/dovere gravante sull’amministrazione comunale (rectius responsabile ufficio tecnico o dirigente) di denunziare le eventuali irregolarità commesse dal progettista all’albo professionale di riferimento che, rilevata la responsabilità disciplinare, potrà irrogare le opportune sanzioni disciplinari.


Approfondimenti su normativa e prassi con C2

In collaborazione con C2R Energy Consulting abbiamo avviato un approfondimento della normativa e le prassi in ambito urbanistico e edilizio. Sui temi trattati da questo articolo abbiamo pubblicato anche:

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