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E’ IL NORD ITALIA A CONSUMARE PIÙ ACQUA (274 LITRI PER ABITANTE AL GIORNO)

SI RIDUCONO LE CONCENTRAZIONI DI PM10 MA A ROMA, MILANO, NAPOLI E TORINO ANCORA TROPPE AUTOLA PUGLIA È LA REGIONE PIÙ “DIPENDENTE” PER L’ACQUA POTABILE E’ IL NORD ITALIA A CONSUMARE PIÙ ACQUA (274 LITRI PER ABITANTE AL GIORNO)Presentato oggi a Roma dal Ministro Orlando il IX Rapporto ISPRA sulla Qualità dell’Ambiente Urbano

SI RIDUCONO LE CONCENTRAZIONI DI PM10
MA A ROMA, MILANO, NAPOLI E TORINO ANCORA TROPPE AUTO
LA PUGLIA È LA REGIONE PIÙ “DIPENDENTE” PER L’ACQUA POTABILE
E’ IL NORD ITALIA A CONSUMARE PIÙ ACQUA (274 LITRI PER ABITANTE AL GIORNO)

Presentato a Roma dal Ministro Orlando il IX Rapporto ISPRA
sulla Qualità dell’Ambiente Urbano

In 60 comuni italiani, su una superficie pari al 4% del totale nazionale, risiede il 24,9% della popolazione italiana (dato ottobre 2011).

Come viviamo nelle nostre città, cosa respiriamo, come ci spostiamo? Fondamentale conoscere la quantità di emissioni di sostanze inquinanti e la qualità dell’aria, il verde urbano, la mobilità in città e i parchi auto, le forme di urbanizzazione e le dinamiche dell’uso del suolo, l’approvvigionamento idrico.
Questi, in estrema sintesi, gli argomenti principali del Rapporto ISPRA sulla Qualità dell’Ambiente Urbano, giunto al IX anno e presentato oggi a Roma, alla presenza del Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando.

Nonostante i dati mostrino una situazione di diminuzione generalizzata delle emissioni inquinanti nelle città; per ciò che riguarda le concentrazioni in atmosfera, in particolare per PM10 e biossido di azoto, pur registrando un trend in diminuzione, permangono criticità: si continuano infatti a registrare superamenti dei valori limite per questi due inquinanti, particolarmente nelle città del Centro-Nord, in Campania e Sicilia. Più diffuso il superamento dei valori soglia per l’ozono, per il quale non si rileva alcuna tendenza alla diminuzione delle concentrazioni in aria.
Le emissioni maggiori di PM10 – un mix di particelle emesso dai tubi di scappamento delle auto, dai camini delle caldaie e dei caminetti per il riscaldamento domestico, dai camini delle industrie - per il 2010 sono riferibili alle città di Roma, Taranto, Milano, Napoli e Torino, le minori a Campobasso e Aosta.
Per ciò che riguarda le concentrazioni di PM10, dal 2006 al 2011, su un set di 57 stazioni di monitoraggio, appartenenti al territorio di 29 città, si evidenzia una situazione di diffusa tendenza alla riduzione delle concentrazioni, debole ma significativa, ad esempio, nelle città di Aosta, Bari, Bologna, Firenze, Palermo, Roma, Taranto, Torino.
Monossido di carbonio, benzene e biossido di zolfo, come per gli anni passati, non sembrano essere più un problema: non superano da anni i valori limite per le concentrazioni in aria e per quanto riguarda le emissioni in atmosfera il trend risulta per tutte le città in decrescita, con un valore medio di riduzione in particolare del monossido di carbonio tra il 2000 e il 2010 del 56%.

Da elaborazione ISPRA su dati ACI 2006-2012, si conferma la tendenza alla diminuzione del numero di autovetture private nelle otto città più grandi, con la sola rilevante eccezione di Roma, che inoltre è la città con il maggior numero di autovetture private (quasi 1.600.000), seguita da Milano (quasi 600.000), Napoli (poco più di 500.000) e Torino (circa 450.000).

Quanta acqua beviamo, quanta ne consumiamo e da dove proviene? Per le 60 città, sulla base di dati ISTAT, il valore medio del consumo di acqua per uso domestico diminuisce nel 2011 di circa il 14,5% rispetto al 2000. La più alta percentuale di riduzione dei consumi si registra a Monza seguita da Parma, Piacenza, Genova, Torino e Novara; nel 2011 delle 60 città solo Reggio Calabria, Palermo e Messina sono ricorse a misure di razionamento dell’erogazione dell’acqua.
Valle d’Aosta, provincia autonoma di Trento, Abruzzo, Sicilia e Sardegna si contraddistinguono come le uniche regioni autosufficienti dal punto di vista idrico, ma le regioni del Centro-Sud si caratterizzano per i maggiori scambi di acqua: in particolare, la Puglia risulta la regione più dipendente: più del 60% della disponibilità complessiva da destinare all’utenza finale (circa 333,5 milioni di metri cubi di acqua ad uso potabile) proviene dalla Basilicata (per circa il 64%), dalla Campania (per circa il 36%) e in quantità residuali dal Molise.
La Basilicata si caratterizza come la regione che, più delle altre, contribuisce alle richieste delle regioni vicine, attraverso l’esportazione di circa il 70% dei volumi prelevati sul proprio territorio (circa 217 milioni di metri cubi d’acqua), destinato per lo più alla confinante Puglia

Crescono le superfici artificiali e impermeabili: nel complesso le 51 aree comunali soggette a monitoraggio hanno cementificato un territorio pari a quasi 220.000 ettari (quasi 35.000 solo a Roma), con un consumo di suolo giornaliero pari a quasi 5 ettari di nuovo territorio perso ogni giorno (sono circa 70 a livello nazionale). Il 7% del consumo giornaliero in Italia è concentrato nelle 51 città analizzate. In testa Napoli e Milano che hanno ormai consumato più del 60% del proprio territorio comunale. La maggior parte dei Comuni indagati ha destinato a verde pubblico meno del 5% della propria superficie; a Messina, Cagliari e Venezia le più alte quote di aree naturali protette, fondamentali per la conservazione della biodiversità urbana.

Anche in questa edizione – che comprende un Focus interamente dedicato alle problematiche inerente alle acque in ambito urbano - la raccolta di dati proposti rappresenta la migliore e più aggiornata informazione consolidata disponibile sulla qualità dell’ambiente urbano in Italia che il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente garantisce dal punto di vista tecnico-scientifico e offre come strumento per valutare affinità o divergenze nelle diverse realtà metropolitane.
Tra le novità, l’ampliamento dello studio a 9 nuovi capoluoghi di provincia (Alessandria, La Spezia, Como, Treviso, Pistoia, Pesaro, Caserta, Barletta, Catanzaro), per la scelta dei quali si è mantenuto il criterio demografico selezionando per regione il comune più popoloso fra quelli con popolazione oltre i 70.000 abitanti. Insieme ai capoluoghi trattati nelle edizioni precedenti, il numero complessivo delle città considerate arriva a 60.

Roma, 11 ottobre 2013

Per informazioni:
UFFICIO STAMPA ISPRA
Cristina Pacciani – 329/0054756
Anna Rita Pescetelli – 06/50072394-2076-2261


 

ALLEGATO AL COMUNICATO STAMPA ISPRA

IX RAPPORTO SULLA QUALITA’ DELL’AMBIENTE URBANO

I DATI

 

 

Trasporti e parco auto vetture private

Da elaborazione ISPRA su dati ACI Roma si conferma nel 2012 di gran lunga come la città con il maggior numero di auto private pari a 1.569.474, seguita da Milano (585.612), Napoli (506.522) e Torino (453.800).

Analizzando i dati sull’incremento del parco autovetture nel periodo 2009-2012, emerge il dato di Barletta con +14% (a seguire, Andria +7% e Monza +5%). E’ interessante notare come nei principali capoluoghi di regione il parco veicolare diminuisce (anche se di poco), mentre a Roma si rileva un aumento (+2%).

L’analisi del parco autovetture private rispetto agli standard emissivi, nel 2012 conferma per gli Euro 0 (standard emissivo di vecchia generazione) che le quote maggiori sono presenti nei comuni del Centro-Sud e delle Isole. Nel 2012 le città con il maggior numero di autovetture Euro 0 circolanti, in termini assoluti, sono Roma (181.870), Napoli (150.614) e Milano (71.945). Tuttavia, passando al dato percentuale, la capitale registra una quota bassa (11,6%), mentre Napoli e Catania sono i centri con la maggior percentuale di Euro 0 sul parco comunale circolante (rispettivamente il 29,7% e il 23,3%).

Nel periodo 2006-2012 in tutti i 60 comuni studiati ci sono aumenti consistenti dei veicoli con standard emissivo Euro 4 il che è in linea con un rilevante rinnovo del parco. Al 2012 la penetrazione dell’Euro 5 procede con più velocità nelle città del Nord e del Centro che nel resto del Paese. Casi limite a parte, sono comunque le autovetture Euro 3, Euro 4 ed Euro 5 nel 2012 a essere la maggioranza di quelle circolanti in ogni comune: in 29 città sono il 70%, con punta massima a Livorno (80% circa).

Quanto all’uso del carburante, si conferma la situazione già registrata negli anni passati, con la benzina che risulta essere il carburante più utilizzato, seguita dal gasolio e quindi da gpl e metano. Nel 2012, infatti, la percentuale delle autovetture a benzina rispetto al parco autovetture è compresa tra il 75,8% di Trieste e il 46,6% di Ravenna. Il gasolio oscilla tra il 46,1% di Andria e il 23% di Trieste.

Sicurezza stradale

La sicurezza stradale rappresenta un problema nella gran parte dei paesi del mondo. Nel 2010 l’OMS ha registrato 1,24 milioni di morti per incidente stradale e si stima che senza adeguate misure si raggiungeranno i 2,4 milioni nel 2030, rendendo le lesioni per incidente stradale la quinta causa di morte nel mondo. Vista la gravità del problema, le Nazioni Unite hanno istituito un decennio di iniziative 2011-2020 per stabilizzare e ridurre il livello di decessi da incidenti stradali a livello globale.

Il numero degli incidenti stradali nei 60 comuni in esame è progressivamente diminuito nel periodo 2006-2011 passando da 101.888 a 85.331 (-16%). La diminuzione è stata maggiore nei grandi comuni (14 città con popolazione che supera i 200.000 abitanti) che hanno registrato una flessione pari a -18% di incidenti. Nei grandi comuni si concentra il 65% degli incidenti registrati complessivamente nelle 60 città.

Nel 2011 le città di Genova e Milano hanno registrato il valore più alto dell’indicatore (circa 16 incidenti ogni 1000 autovetture circolanti), seguite da Bergamo e Rimini (15 incidenti ogni 1000 autovetture). Il valore più basso è registrato ad Aosta con 2 incidenti ogni 1000 autovetture.

Meno morti per incidenti stradali in cui sono coinvolti pedoni, ciclisti e motociclisti, che rappresentano i cosiddetti “utenti deboli della strada”. I decessi sono diminuiti del 26% nel periodo 2006-2011. Il dato sui soli pedoni feriti invece, nel periodo 2006-2011 è aumentato del 21%.

 

 

Emissioni e qualità dell’aria

Diminuiscono le polveri sottili. Gli inquinanti dell’aria rimangono tutti in città. Il particolato (PM10 e PM2.5), il biossido di azoto e l’ozono continuano a essere gli inquinanti atmosferici più critici nelle aree urbane, soprattutto nel bacino padano. Anche il benzo(a)pirene per le sue accertate proprietà cancerogene desta preoccupazione.

Deboli ma significativi segnali di una diffusa tendenza alla riduzione delle concentrazioni sono comunque presenti per il PM10 e per il biossido di azoto. La stessa tendenza non si individua per l’ozono, per il quale risulta una situazione di stazionarietà.

Per le concentrazioni in aria di PM10 guardando al trend 2006 - 2011, su un set di 57 stazioni di monitoraggio, appartenenti al territorio di 29 città, si evidenzia una situazione di diffusa tendenza alla riduzione, ad esempio nelle città di Aosta, Bari, Bologna, Firenze, Palermo, Roma, Taranto, Torino ma non solo.

 

Dal 2000 al 2010 si registra a livello nazionale una diminuzione del 37% circa di emissioni di PM10. Si riscontrano riduzioni delle emissioni in tutti i settori, con eccezione del riscaldamento che registra un incremento di + 33%.

La maggior parte delle emissioni di particolato proviene dal settore del riscaldamento domestico (pari a circa il 37%) e dal trasporto su strada (contributo stimato intorno al 31%). Analizzando più in dettaglio il dato, emerge come, nel 2010, in tutte le città considerate il contributo del riscaldamento alle emissioni di PM10 è maggiore del contributo dei trasporti su strada ad eccezione di Milano, Trieste, le città della Liguria e dell’Emilia Romagna, Prato, Terni e Roma (dove il traffico è responsabile del 56% delle emissioni di particolato).

Anche per le concentrazioni in aria di biossido di azoto, dal 2006 al 2011, su un set di 83 stazioni, appartenenti al territorio di 34 città, è evidente un trend decrescente statisticamente significativo.

Per gli ossidi di azoto il trasporto su strada costituisce la principale sorgente emissiva, in quanto risulta il contributo più importante per 49 città su 60, tale contributo risulta addirittura superiore al 70% delle emissioni in 27 città su 60. Il trend delle emissioni complessive tra il 2000 e il 2010 è generalmente decrescente per le diverse città. Altra importante considerazione riguarda il peso complessivo delle aree urbane rispetto al totale nazionale, in questo caso si stima che il contributo delle sole 60 aree urbane considerate sia intorno al 25% del totale nazionale confermando l’importanza che le aree fortemente antropizzate hanno nel determinare il carico inquinante complessivo.

Permangono, tuttavia, valori importanti di esposizione per la popolazione residente. In tutte e 60 le città considerate - tranne Livorno - nel 2011 le concentrazioni medie annue (fondo urbano) di PM10 sono state superiori al valore soglia per la protezione della salute umana consigliato dall’OMS (20 microgrammi/m3) e in 6 città del bacino padano i valori hanno superato la soglia annuale prevista dalla normativa (40 microgrammi/m3). Milano e Monza sono le città con le maggiori concentrazioni di PM10 (47 microgrammi/m3), seguite da Torino (44 microgrammi/m3) e Brescia (43 microgrammi/m3).

Monossido di carbonio, benzene e biossido di zolfo, come per gli anni passati, non sembrano essere più un problema: non superano da anni i valori limite per le concentrazioni in aria e per quanto riguarda le emissioni in atmosfera il trend risulta per tutte le città in decrescita, con un valore medio di riduzione in particolare del monossido di carbonio tra il 2000 e il 2010 del 56%.

 

 

Le case degli italiani e l’inquinamento indoor: umidità, fumo, condizionatori, batteri.

Non risultano evidenti problemi di affollamento nelle case: nelle 60 città ogni abitante dispone di almeno una stanza. Quanto costa una casa di buona qualità? Tra 2003 e 2012 il reddito necessario per comprare un’abitazione è aumentato del 16%, anche se dal 2008 si registra un’inversione di tendenza.

Passando agli elementi di rischio per l’inquinamento indoor, rimane, pur in via di diminuzione, il problema dell’umidità: nel 2010 è circa il 17% delle abitazioni ad avere questa difficoltà (nel 2004 era il 19,1%). Sono in forte aumento i casi di legionellosi, infezione polmonare batterica: tra il 1996 e il 2010 si passa da 2,3 a 17,9 casi per milione di residenti (dato 2010 provvisorio). Calano, invece, i fumatori: dopo l’entrata in vigore del divieto di fumo in luoghi pubblici e di lavoro nel 2005, pur riscontrando valori altalenanti, tra 2001 e 2012 scende il numero di circa due punti percentuali. Anche un’inadeguata istallazione e una non opportuna manutenzione dei condizionatori possono rappresentare una fonte di inquinamento indoor. Nel 2011 il 33% delle famiglie italiane dichiara di possedere un condizionatore. Diverse le regioni con valori al di sopra della media nazionale, come Veneto (52,4%), Sicilia (49,3%), Sardegna (48,7%).

 

 

Pollini

L’azione dei pollini allergenici, se associata a quantità significative di inquinanti chimici, risulta amplificata. Pertanto la popolazione di realtà urbane con forte inquinamento atmosferico risente maggiormente anche degli effetti degli allergeni. La “stagione dei pollini ha una durata abbastanza uniforme nelle varie città di circa 8-9 mesi. A La Spezia dura circa 300 giorni l’anno, seguita da Forlì (297 giorni) e Roma (289 giorni). Questo dato è estremamente significativo perché mostra che per tutto il territorio nazionale la presenza di pollini aerodispersi non riguarda soltanto i mesi primaverili.

 

 

Verde

Nuovi dati sulla biodiversità urbana e le infrastrutture verdi. Trento la città con più verde pubblico d’Italia. Tanti pappagalli in città.

Nella maggior parte delle città risultano ancora scarse le aree verdi pubbliche per la fruizione e il tempo libero, a eccezione di poche città tra cui Trento che mostra i valori più alti di verde pubblico tra le 60 città indagate.

I nuovi dati sulle aree naturali protette per le 60 città rivelano il loro importante ruolo per la biodiversità urbana: Messina, Venezia e Cagliari le città con le quote più alte di territorio protetto, con rispettivamente 70%, 72,7% e 51,1% di superficie comunale di interesse naturalistico. Nuovi anche i dati sul recepimento della rete ecologica nella pianificazione locale provenienti dalla rete di monitoraggio ISPRA, da cui si rileva che 28 Comuni – prevalentemente ubicati nelle aree del Centro-Nord - presentano questo importante strumento per garantire la connettività ecologica alla scala locale a conferma dell’importanza di integrare tra loro le varie matrici verdi alla scala urbana e peri-urbana.

Il Rapporto presenta per la prima volta le informazioni della Banca Dati ISPRA sugli uccelli introdotti (alloctoni), fornendo una stima (non ancora esaustiva) della presenza di queste specie nelle nostre città. In 27 delle 60 città sono state segnalate specie di uccelli alloctoni. In particolare le due specie più diffuse e con maggiore numero di segnalazioni sono risultate essere il Parrocchetto dal collare (Psittacula krameri), osservato in 17 città, e il Parrocchetto monaco (Myiopsitta monachus) osservato in 9 città. Si tratta di due specie in forte espansione segnalate soprattutto a Roma (oltre 2000 avvistamenti) e Genova. Altre specie presenti in libertà in ambienti urbani sono l’Anatra mandarina (Aix galericulata), il Cigno nero (Cygnus atratus) e l’Amazzone fronteblù (Amazona aestiva). Le cinque città con maggior numero di segnalazioni di specie alloctone sono Roma (2046 avvistamenti), Genova (156), Firenze (60), Napoli (53) e Milano (33).

 

Acqua - Consumi uso domestico

Italiani più attenti agli sprechi di acqua.

In dieci anni (2000-2011) gli italiani hanno ridotto il consumo domestico di acqua. In media è diminuito del 14,5%: città con la riduzione più significativa è Monza (- 48,4%), seguita da Parma (-34,5%) e Piacenza (-31,1%); Messina è quella che, al contrario, ha aumentato l’uso dell’acqua in casa (+17,5%). Il fenomeno è da attribuirsi alla maggior attenzione degli italiani, visto che solo 3 città (Reggio Calabria, Palermo e Messina) hanno adottato misure di razionalizzazione nell’erogazione.

 

Acque di balneazione

Buone le acque di balneazione costiere e lacustri. Presenza nelle acque costiere della microalga potenzialmente tossica “ostreopsis ovata

Secondo l’attuale direttiva europea 2006/7/CE, sulla gestione della qualità delle acque di balneazione, sono necessari 4 anni di monitoraggio per classificare un’acqua di balneazione. L’Italia ha applicato la nuova direttiva a partire dalla stagione balneare 2010, pertanto si trova in un periodo transitorio che prevede una valutazione basata su criteri di conformità non potendo realizzare ancora una classificazione definitiva. I primi dati fanno bene sperare: i monitoraggi hanno evidenziato che nel 2012, su un totale di 47 province, 32 sono risultate conformi (acque costiere e interne), quando nel 2011 erano solo 24. Problematica la presenza della Ostreopsis ovata che, in fase di fioritura, può avere effetti tossici sull’ambiente marino, rappresentando una criticità per la fruizione dell’acqua di balneazione. Nel 2011 è stata riscontrata almeno una volta nelle acque costiere di 22 province su 30 e i valori limite sono stati superati in 13 province.

 

Attività estrattive

L’attività di estrazione di minerali di prima (miniere) e seconda categoria (cave) rappresenta un importante settore dell’economia nazionale, ma allo stesso tempo può essere fonte di serie problematiche ambientali.

L’indicatore prende in esame sia il dato provinciale sia, ove disponibile, il dato comunale e si pone l’obiettivo di quantificare il numero di cave (attive e dismesse) e miniere (attive e dismesse).

Le aree provinciali con più alta concentrazione di cave in esercizio risultano localizzate nel nord Italia ed in particolare nelle provincie di Verona, Vicenza e Brescia che presentano più di 150 cave nel loro territorio.

A livello comunale, le cave attive risultano generalmente molto limitate con qualche eccezione come Roma (anche a causa della grande estensione areale del comune) e Taranto.

Per le miniere, invece, la provincia di Cagliari (considerando anche l’attuale provincia di Carbonia-Iglesias e parte del Medio Campitano) risulta l’area provinciale con la più alta concentrazione nel tempo di siti (soprattutto dismessi), mentre a livello comunale solo Sassari, tra le città considerate, ha una miniera attiva nel proprio territorio.

 

Focus “Acque e Ambiente Urbano”

Consumi

Volumi di acqua erogata pro capite: nel 2008, ogni abitante ha avuto a disposizione 253 litri al giorno di acqua ad uso potabile. È attualmente in corso la nuova edizione del Censimento delle acque per uso civile riferita al 2012, indagine che l’ISTAT conduce periodicamente e i cui primi risultati provvisori saranno diffusi a fine anno.

L’acqua effettivamente consumata, o meglio pagata, da ogni singolo utente si attesta su valori di circa 180 l/ab/giorno; a livello europeo è interessante notare che città importanti come Berlino, Londra e Madrid che consumano rispettivamente 163 l/ab/giorno, 159 l/ab/giorno e 140 l/ab/giorno, o Heidelberg che con i suoi 103 l/ab/giorno è la città con i minori consumi,  riescono a mantenere bassi i consumi pur mantenendo un servizio adeguato alle necessità della popolazione.

 

Approvvigionamento idrico

Valle d’Aosta, provincia autonoma di Trento, Abruzzo, Sicilia e Sardegna si contraddistinguono come le uniche regioni autosufficienti dal punto di vista idrico, ma le regioni del Centro-Sud si caratterizzano per i maggiori scambi di acqua. In particolare, la Puglia risulta la regione più dipendente: più del 60% della disponibilità complessiva da destinare all’utenza finale (circa 333,5 milioni di metri cubi di acqua ad uso potabile) proviene dalla Basilicata (per circa il 64%), dalla Campania (per circa il 36%) e in quantità residuali dal Molise. La Basilicata si caratterizza come la regione che, più delle altre, contribuisce alle richieste delle regioni vicine, attraverso l’esportazione di circa il 70% dei volumi prelevati sul proprio territorio (circa 217 milioni di metri cubi d’acqua), destinato per lo più alla confinante Puglia

 

 

Le dispersioni di rete

La dispersione complessiva nel passaggio dal prelievo alla distribuzione, è stata circa del 39%, pari a 3,50 miliardi di metri cubi di acqua ad uso potabile, corrispondenti a una perdita giornaliera di circa 160 litri per abitante.

Occorre specificare che, al netto delle disfunzioni, soprattutto nei territori in cui c’e ricchezza di acqua, il surplus viene in molti casi rilasciato in natura. E questo il caso della Valle d’Aosta, caratterizzata da una grande abbondanza d’acqua, dove più del 60 per cento dell’acqua prelevata e disponibile per uso civile non arriva agli utenti.

Tra le cause di perdite idriche ricordiamo le rotture delle tubazioni, le lesioni o perdite nell’unione dei giunti, soprattutto nelle reti molto obsolete ed estese; le perdite nelle connessioni d’utente; le perdite nei serbatoi.

Il confronto spaziale fa emergere inoltre situazioni di minore efficienza della rete di distribuzione comunale nei comuni delle regioni del Mezzogiorno (40% di perdite in media al Sud e 38% nelle Isole), con dispersioni pari o superiori al 46% rispettivamente in Sardegna e Puglia e oltre il 43% in Abruzzo e Molise. L’Aquila, Campobasso e Bari sono i capoluoghi di regioni con perdite superiori al 50% della risorsa idropotabile immessa in rete. Le regioni con le infrastrutture di distribuzione maggiormente efficienti sono la Lombardia e le province autonome di Trento e Bolzano, dove l’acqua dispersa è poco più di 1/5 di quella complessivamente immessa in rete. Tra i capoluoghi di regione, Aosta fa da capofila per la migliore performance nel funzionamento del sistema idrico, con appena il 7,2% di dispersione di rete. Da segnalare anche i buoni risultati dei capoluoghi Venezia e Milano, che presentano circa il 10% di perdite.

 

Novità nella pianificazione: “il Risparmio idrico, il recupero delle acque piovane e delle acque grigie nei Regolamenti edilizi”

Sono ormai 570 i Comuni che inseriscono il tema del risparmio idrico all’interno dei propri Regolamenti Edilizi, di cui 505 ne prevedono l’obbligo mentre gli altri 15 propongono incentivi per favorire una diminuzione dei consumi e dei costi per le famiglie, includendo quindi l’aspetto fondamentale dei comportamenti individuali. A livello regionale, troviamo in Lombardia ben 239 Comuni dei 570 segnalati, a cui seguono la Toscana con 89 e l’Emilia-Romagna con 82. In Piemonte risultano 40 Comuni, in Veneto e Lazio 25. In Puglia si collocano 11 Comuni, in Friuli-Venezia Giulia 9, nelle Marche 8, in Campania e Liguria 7, in Trentino Alto Adige e Umbria 6, in Abruzzo e Basilicata 5, in Sardegna 3. Con un solo Comune: Calabria, Molise e Sicilia.

Il parametro del recupero delle acque piovane è presente in 556 Comuni, di cui 449 lo rendono un requisito obbligatorio. L’aspetto negativo è quello che vede ancora ad oggi circa il 97% di questi Comuni virtuosi concentrati nelle Regioni del Centro-Nord.

Sono 199 i Comuni che includono il tema delle acque grigie, ossia quella parte delle acque domestiche derivate dagli scarichi della cucina, della doccia, vasche da bagno e lavandini, nei Regolamenti Edilizi comunali, 39 ne fanno un requisito cogente sia nel caso di nuova costruzione sia in quello di ristrutturazioni importanti. In altri 25 casi sono previsti incentivi.

 

 

Recupero e riutilizzo delle acque reflue urbane depurate in campo agricolo

Il riutilizzo delle acque reflue depurate si sta progressivamente affermando anche in Italia soprattutto nei territori afflitti da problemi di scarsità idrica. Uno degli esempi più interessanti analizzati nel Focus è l’impianto di Fasano in Puglia le cui acque trattate vengono distribuite in un comparto agricolo di circa 1.000 ettari di superficie.

 

“Acque piovane” in ambito urbano: un esempio per migliorare la situazione nei casi di eventi meteo di forte intensità 

Le “acque piovane”, dilavando le superfici inquinate di strade, parcheggi, piazzali, si caricano di tutti i composti  inquinanti depositati. Gli approcci seguiti per rispondere a tale problematica sono diversi e complementari; uno di questi, è rappresentato dalla predisposizione delle cosiddette vasche di “prima pioggia”, consistenti in vere e proprie vasche aventi l’obiettivo di  raccogliere le acque di dilavamento generate dai primi minuti di pioggia (che sono notoriamente le più inquinate), per inviarle successivamente a trattamento in idonei impianti di depurazione. Interessante a tale proposito è il contributo che illustrata la strategia messa in campo dalla Regione Emilia Romagna.

 

 

Riqualificazione fluviale in ambito urbano

Precisi obblighi contenuti nella normativa europea e l’ormai riconosciuto ruolo fondamentale del fiume nel fornire servizi ecosistemici di primaria importanza, evidenziano come il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d’acqua sia un obiettivo da perseguire, anche all’interno delle aree urbane. Non mancano esempi di progetti realizzati in tal senso, come ad esempio la città di Breda in Olanda, la città di Monaco in Germania, o le città italiane di Torino e di Matera.