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Città globali: prospettive di innovazione e competitività nel progetto urbano

Il mondo intorno a noi è cambiato. Parlo del mondo globale, fatto dagli individui, qui e ora, e dai processi, dalle logiche di funzionamento e dalle trasformazioni a grande scala delle città e del nostro modo di fruirle e abitarle. Oggi viviamo una dimensione transazionale, dove ogni azione, piccola o grande che sia, in un determinato contesto geografico può rimbalzare a migliaia di kilometri di distanza e produrre effetti, a livello sociale, economico e politico. Siamo tutti influenzati da un mainstream costruito dall’intersezione di culture, dalla condivisione di idee e valori, dalla scoperta di nuove identità e significati, basato su una strategia e una performance saldamente proiettate verso il futuro, alla ricerca di competitività, di innovazione, di eccellenza.

E’ questa la massima aspirazione delle città globali: essere competitive, innovare, eccellere. Per farlo hanno bisogno di costruire una struttura e una rete di visibilità e attrattività, attraverso piani, progetti, servizi, opportunità, risultati. E attraverso un capitale umano, fatto dai cittadini e dagli utenti finali, che sempre più nel Terzo Millenio ambiscono ad essere attori e protagonisti sulla scena urbana.

New York, Londra e Tokyo sono città globali, secondo il concetto teorico elaborato dalla sociologa Saskia Sassen (www.saskiasassen.com) nel suo libro “The global city” (1991) edito da Princeton University Press, sono luoghi di lavoro, affari e transazioni, sede di interessi internazionali, dotate di efficienti e straordinarie infrastrutture di mobilità e connessione, spaziale e virtuale. Queste città, con oltre 4 milioni di abitanti, sono trend setters, sono ispirazione e modello, economico e finanziario, sono ambizione e fascinazione, destinazione irrinunciabile per molti. Le città globali sperimentano, usano la tecnologia, sono smart, hanno sposato il paradigma della creatività, come chiave di crescita intelligente, a vari livelli. Secondo la Sassen, oggi sono circa 40 le città globali, secondo un processo di crescita avviato a partire dagli anni Novanta: tutte insieme definiscono una piattaforma globale complessa con funzioni strategiche.

Nella dimensione contemporanea, le città globali ambiscono a diventare anche luoghi di socialità oltre che di interessi economici e politici: perseguendo una strategia di lungo periodo, la competitività globale affonda le sue radici nell’urbanistica, vale a dire in un processo economico che lavora dal territorio delle reti alle aree metropolitane ai luoghi della vita quotidiana, seguendo un percorso virtuoso che mette in relazione la dimensione macro con quella micro, che affianca alle politiche top-down una verifica degli esiti con attività di partecipazione bottom-up, secondo un processo di learning by doing. E mentre in Italia è in corso un dibattito, ormai lungo decenni, sul significato e l’azione dell’urbanistica, intrappolata in un apparato normativo fatto di burocrazia, ritardi e inefficienza, e sulla necessità di riformarla attraverso leggi che ne colgano il senso più attuale, quello contemporaneo, le maggiori capitali del mondo hanno già avviato e sperimentato con successo politiche di innovazione.

New York City ha promosso una profonda trasformazione urbanistica nel corso dei tre mandati da sindaco di Michael R. Bloomberg (2002-2013), definito “enigmatico, visionario, ostinato e brillante” dal New York Times (http://www.nytimes.com/indexes/2013/08/17/nyregion/nyregionspecial/index.html).

Figura 1
– New York. Interventi urbani nei 12 anni dell’amministrazione Bloomberg.
Fonte: New York Times. Infografica navigabile disponibile a questo link: http://www.nytimes.com/newsgraphics/2013/08/18/reshaping-new-york/
 
Il New York Department of City Planning (http://www.nyc.gov/html/dcp/), diretto da Amanda Burden, ha lavorato su elementi chiave per ridefinire il funzionamento della città, per creare opportunità e migliorare lo stile di vita dei suoi abitanti: sugli spazi pubblici e sul rinnovamento delle infrastrutture, basta pensare al parco lineare della High Line, inaugurato nel 2009, uno spazio pubblico sopraelevato lungo quattro chilometri e mezzo, rigenerazione di una ferrovia in disuso, divenuto una delle principali attrazioni della città; sulla ri-zonizzazione del 37% della città, per l’edificazione di nuovi complessi residenziali ad alta densità, per un totale di 310.000 nuovi abitanti, avviando una poderoso sviluppo urbano mirato anche alla riqualificazione di aree come Williamsburg, Harlem, Bronx e Long Island City; sull’ aumento della vivibilità e pedonalità, come a Times Square, il luogo forse più visitato e fotografato al mondo, all’intersezione di Broadway e la Sixth Avenue, con oltre 131 milioni di visitatori all’anno, che da hub di traffico si è trasformato in luogo pulsante di effervescenza urbana, grazie anche alla consulenza di Jan Gehl, architetto danese, leader incontrastato della progettazione della città a scala umana (http://gehlarchitects.com/), che lo ha definito un grandioso successo, perché “se lo puoi fare a New York lo puoi fare ovunque”; sulla valorizzazione dell’uso della bicicletta da mezzo ricreativo ad attività vera e propria, alternativa alle automobili, per spostarsi in città, mediante la realizzazione di 450 miglia (oltre 7oo chilometri) di piste ciclabili, a Manhattan, Bronx, Brooklyn, Queens, Staten Island (la prima corsia ciclabile protetta negli Stati Uniti è stata realizzata a Manhattan, sulla Eighth e Nineth Avenue, nel 2007) , di oltre 1000 miglia di servizi per i ciclisti (per le piste protette, esclusive e condivise), e con la promozione di CitiBike, un programma di bike-sharing, primo in assoluto nella Grande Mela. Nel 2014 il Bicycling Magazine (http://www.bicycling.com/) ha nominato New York “Best Biking City” (http://www.streetsblog.org/2014/09/03/trottenberg-promises-to-expand-bike-network-keep-best-bicycling-city-crown/). Secondo Jan Gehl, New York ha realizzato più piste ciclabili in 5 anni che Copenhagen in 50 anni: solo nel 2015 il Dipartimento dei Trasporti ha realizzato circa 12 miglia di piste ciclabili protette, superando di gran lunga l’obiettivo fissato, pari a 5 miglia. Questo accade in un paese, gli Stati Uniti d’America, che Andrés Duany, padre del New Urbanism (https://www.cnu.org/), definì “Suburban Nation”, in un libro pubblicato nel 2000, un atto di denuncia dello sprawl incontrollabile, dell’uso sfrenato dell’automobile come unico mezzo di trasporto, in cui poneva la necessità di una riflessione e la ridefinizione di un modello di sviluppo urbano sostenibile. Il numero dei veicoli immatricolati in tutto il mondo ha superato nel 2010 per la prima volta 1 miliardo di unità, negli Stati Uniti d’America i 239,8 milioni di unità costituiscono il più grande volume di veicoli circolanti al mondo. L’adozione di un programma di mobilità ciclabile a New York, che alla fine di settembre 2015 ha completato 1000 miglia di piste realizzate (pari a 1609 chilometri), è stata dunque una vera e propria rivoluzione nello stile di vita degli americani, un successo straordinario che è stato rapidamente imitato da molte altre città, come San Francisco, Los Angeles, Philadelphia e Boston, solo per citare le principali. 
 
ALL'INTERNO SI PARLA ANCHE DI LONDRA E TOKIO ....
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Luisa Bravo

Ingegnere edile, Dottore di ricerca in Ingegneria Edilizia e Territoriale

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