Per UNICMI l’introduzione del coefficiente H’t rischia di provocare gravi conseguenze per il comparto industriale italiano delle facciate continue.
Per UNICMI l’introduzione del coefficiente H’t rischia di provocare gravi conseguenze per il comparto industriale italiano delle facciate continue.
In occasione dell’Assemblea Generale di UNICMI che si è svolta lo scorso 3 dicembre si è dibattuto anche del Decreto 26/06/2015 sul calcolo delle prestazioni energetiche ed in particolare dell’introduzione del coefficiente globale di scambio termico H’t per le parti di involucro vetrato.
Sull’argomento l’Assemblea Generale di Unicmi, Unione Nazionale delle Industrie delle Costruzioni Metalliche, dell’Involucro e dei serramenti, l’associazione che attraverso le sue 13 Divisioni rappresenta i comparti industriali delle costruzioni metalliche (dalle grandi carpenterie alle barriere stradali, dai dispositivi antisismici alle macchine per il cantiere) e dell’involucro edilizio (dalle facciate continue ai serramenti, dai pannelli grecati alle vetrazioni), ha espresso all’unanimità fortissime preoccupazioni.
L’introduzione del coefficiente H’t rischia non solo di provocare gravi conseguenze per il comparto industriale italiano delle facciate continue (un settore che vale 500 milioni di euro di fatturato del Made in Italy nel mondo e oltre 1 miliardo di euro rappresentato dall’indotto della filiera industriale dell’involucro) ma anche di porre enormi limiti progettuali all’architettura e di condizionare i valori del mercato immobiliare italiano.
Benché l’intenzione del legislatore sia certamente stata più che apprezzabile, la modalità con cui il principio di efficienza energetica dell’involucro è applicato e tradotto in pratica sembra anacronistico e molto lontano dalla realtà professionale, progettuale e costruttiva attuale nel campo delle facciate continue (o tecnologiche che dir si voglia).
Ecco i principali punti di criticità che progettisti e industrie stanno incontrando:
• Il limite per il coefficiente H’t è significativamente basso e difficilmente raggiungibile con i sistemi di facciate continue, anche le più avanzate, attualmente utilizzate nel settore delle costruzioni. Anche spingendo con soluzioni tecnologiche molto avanzate non si avrebbe la certezza di rientrare nei limiti previsti dal DM. Questo comporta un aggravio di costi significativo, difficilmente giustificabile dal miglioramento prestazionale della facciata in un’ottica di costi/benefici e di tempi di ritorno dell’investimento.
La conseguenza evidente, e di cui stiamo avendo esperienza, è la rinuncia a intervenire, vista la difficoltà a rientrare dai costi sostenuti.
• Dal punto di vista esclusivamente prestazionale, un valore di H’t molto basso potrebbe non essere garanzia di efficienza energetica dell’edificio. Uno scambio termico eccessivamente basso, potrebbe risultare critico in edifici ad uso terziario e commerciale, impedendo lo smaltimento di carichi interni elevati (computer, luci, server, altri apparati elettronici), che graverebbero quindi sull’impianto di condizionamento.
• Il coefficiente H’t così definito è da applicarsi su nuove costruzioni o ristrutturazioni indipendentemente dalla destinazione d’uso e dalla tecnologia costruttiva adottata. Questa concezione è limitativa e anacronistica, poiché non è pensabile che edifici a torre o per uffici debbano obbligatoriamente essere realizzati con sistemi a cappotto di notevole ingombro e superficie e (poche) triple vetrate, che costituirebbero peraltro un incremento dei carichi gravanti sulla struttura portante dell’edificio, con le relative conseguenze, soprattutto se già esistenti. Questa situazione sta nei fatti bloccando le decisioni di alcuni clienti e investitori, scoraggiati dall’intervenire, visti gli extra-costi richiesti in un così breve arco di tempo.
Vi è inoltre il rischio di modifiche sostanziali a progetti in fase già avanzata, con le conseguenze in termini di oneri aggiuntivi di progettazione sui professionisti.
Il grande rischio che si sta correndo e di cui siamo testimoni è che committenti e investitori rinuncino a intervenire sul patrimonio edilizio esistente visti gli extra-costi che sarebbero costretti a sostenere.
Fra la committenza, sta infatti passando il pericoloso concetto per cui il legislatore, fissando un’asticella troppo alta e onerosa, scoraggi e blocchi gli interventi con richieste ‘estreme’ e difficilmente sostenibili finanziariamente, piuttosto che incoraggiare efficientamenti più graduali, con obiettivi realistici e realizzabili.
Per questi motivi, drammaticamente concreti, e per la salvaguardia della libertà di progettare e di costruire involucri edilizi in Italia così come sono costruiti nel resto del mondo, salvaguardando una peculiarità del made in Italy nel mondo, l’Assemblea UNICMI chiede pertanto:
- Lo stralcio dell’introduzione del coefficiente H’t dal Decreto “Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici” del 26/06/2015.
- L’avvio di un tavolo tecnico di confronto con il Ministero dello Sviluppo Economico finalizzato ad una analisi della tematica e alla ricerca di soluzioni condivise e sostenibili.