L’AI alla Biennale di Architettura di Carlo Ratti
L’Intelligenza Artificiale alla Biennale di Architettura si mostra tra ricerca accademica, big data e arte. Un’AI ancora sperimentale, lontana dall’uso professionale ma ricca di spunti critici su etica, impatto sociale e scenari futuri. Una panoramica di quanto visto in Mostra.
Intelligens. Natural. Artificial. Collective., il titolo pensato dal curatore Carlo Ratti ha incuriosito architetti e soprattutto ingegneri. Ma quale AI emerge dalla Biennale di Architettura? Cerchiamo di capirlo uscendo dai facili entusiasmi (hype) di questa ennesima “primavera” dell’AI, come la chiama Melanie Mitchell, Professoressa alla Portland State University che avrebbe ben figurato laddove l’AI approda all’architettura. Se vorrete, potrete farvi accompagnare da una breve ma robusta lista di libri sull’AI presenti nel Bookstore di Biennale, ai Giardini, di certo suggeriti dallo staff di Carlo Ratti, assieme ad alcuni che personalmente ritengo imperdibili.
Proviamo quindi a leggere tra le righe le opere presentate alla Biennale.
L’AI Leone d’Argento alla Biennale Architettura 2025
Con le sue lunghe pareti scure, Calculating Empires: A Genealogy Of Technology And Power Since 1500, di Kate Crafward, professoressa alla USC Annenberg e ricercatrice a Microsoft Research (nota per il suo libro Atlas of AI) illustra il percorso della tecnologia dal 1500 al 2025 con una grafica attraente ed elegante suddividendo la tecnologia per discipline (Architecture, Surveillance infrastructure, Military Doctrine, Military Systems, etc.).
Una fotografia della tecnologia che può invitare a pensare all’etica dell’IA, coerente con le denunce della Crawford nel suo libro (lo sfruttamento delle risorse del pianeta, la sorveglianza, il tema “labour”).

Alla Crawford il Leone d’argento della Biennale 2025, mentre il MOMA di New York ha già acquistato l’opera, e Fortune 100 elenca la Crawford nel suo gotha. Una vera AI-star, la Crawford, un successo e una popolarità per una attivista quasi che il Mainstream, la Finanza, l’Accademia, l’Arte, stiano appropriandosi del dissenso attorno all’IA incorporandolo nel glamour del business as usual.
In effetti molti opinion leader dell’AI subiscono prima o poi l’attrazione fatale dei salotti radical chic, che li mettono a dialogo con l’immenso business innescato da questa rivoluzione alimentato a suon di miliardi dai Venture Capital e dai Fondi di Investimento delle Giant Tech.
Un Atlas of AI differente da quello indicato dalla Crawford, una mappa della Silicon Valley più filantropica, il Caffè Trieste di San Francisco, i Think Tank di WIRED, le accademie più radical come la Columbia di NY e quelle neocon(testatrici) come la GSD di Harvard, i TED-X, i salottini dei blogger alla Montemagno, le fondazioni progressiste alla The Long Now Foundation. Un altro Atlas of AI che racconta come tutto iniziò, ma nasconde come tutto è diventato.
Di quale AI parliamo?
L’AI al giorno d’oggi è sostanzialmente sviluppata in due direzioni. Il Machine Learning (ML) è la tecnica che lavora a partire da dati, numeri, output prodotti dai miliardi di IoT installati, quella “infosfera” ben descritta dal Prof. Luciano Floridi, messa sotto il microscopio di Shoshana Zubhoff attenta ai temi della sorveglianza di massa. Il ML, con le Reti Neurali Artificiali, analizza dati, classifica, produce trend, regressioni, generando output utili in molte discipline, dal prescriptive maintenance, all’urbanistica, ai trasporti, alla sicurezza delle infrastrutture. Grazie al ML alla Biennale 2025 si intravede una architettura che fa sintesi dall’esame dei big data prodotti dagli IoT.
Tra le applicazioni del ML vi è anche il riconoscimento delle immagini, utile anche nei settori dell’AEC, Scan to BIM, anomalies detection. Anche questa branca dell’AI è rappresentata nella Biennale di Ratti, ad esempio nell'installazione Data Clouds, sviluppata dal Senseable City Lab del MIT.

Sul confine tra big data e AI Image Generation è anche Living Architecture: Biophilia, del turco-americano Refik Anadol, che già ha esposto queste installazioni in alcuni musei, MoMA e Guggenheim Bilbao (Living Architecture: Gehry), quasi un format per Anadol, una AI molto di impatto tra arte e architettura.

Sull’altro fronte i Large Language Models (LLM) come ChatGPT, Gemini, Claude, Deep Seek, che sorprendono per la loro capacità di trattare le informazioni testuali al punto di ingannarci sulla loro apparente intelligenza, figlia della tokenizzazione del testo che genera risposte statistiche con stupefacente plausibilità. Non dimentichiamo che gli LLM sono figli di algoritmi concepiti per la traduzione tra lingue, non per generare contenuti, e rivelano la loro fragilità con le hallucinations. Alla Biennale gli LLM sono presenti in minima parte, spesso usati per generare la sintesi dei testi che accompagnano le opere.
Alla Biennale di Ratti lo “strong showing” di Harvard
Sicuramente il ML è l’utilizzo più frequente e questo sottolinea come sia prevalente l’esigenza di analisi dei big data nelle professioni di architetto, urbanista, ingegnere. Tuttavia, scavando un po’ a fondo, si nota come le installazioni alla Biennale di Ratti abbiano sempre una segnata origine accademica che denota un livello applicativo ancora di Ricerca e Sviluppo.
Nella Biennale di Ratti, Professore al MIT di Boston, la prova di forza la fa Harvard con la community degli Alumni ed ex-Alumni della Graduate School of Design (GSD), scuola che comprende i tre dipartimenti di Architettura, Paesaggio e Urbanistica. Harvard GSD è coinvolta da Ratti anche a livello curatoriale e sembra ovvia una folta presenza autoreferenziale. I fellows di GSD sono ampiamente rappresentati anche nella collaterale Time Space Existence, una parte esterna agli spazi della Biennale che merita una sua visita.

Alla Biennale ci parlano di AI i Professori Doherty (uso del Lidar nei Data Cloud), Douglas (Cool Forest), Gang (The Living Order of Venice) Hoberman e Kara (che hanno lavorato al Teatro Verde di CRA - Carlo Ratti ed Associati), Höweler e Yoon (che hanno lavorato ad Aqua Parça sempre con CRA). La “strong showing”, come l’ha chiamata con orgoglio Harvard, prosegue con gli ex Alumni Ferrer, Bouzas, Salguedo presentano al Padiglione Spagna, mentre l’iconica Arena in legno dello Speaker’s Corner che ospita i seminari alle Corderie, vede la firma sempre di ex Alumni di GSD Rodriguez, Johnston, Lee. Menzione Speciale della Biennale a Tozin Oshinowo (per il lavoro Alternative Urbanism: The Self-Organized Markets of Lagos) sempre di Harvard.

La lunghissima lista di Professori ed ex Alumni, con la descrizione delle opere (consultabile qui) può essere una buona introduzione della forza espressa da Harvard senza dimenticare la buona presenza del Senseable City Lab del MIT, di cui parleremo in un secondo articolo.
Quali le caratteristiche dell’AI in Biennale?
Sviluppata in ambito prevalentemente accademico, o come sperimentazione, applicazioni di ML e Big Data più che LLM, applicata spesso per analizzare il contesto socio-ambientale tramite permesso dall’immensa infosfera, raramente applicata per una valutazione di rischio (solo un caso del rischio sismico di Istanbul mediante riconoscimento di immagini raccolte nella città, “Istanbul a way out” di Eren Sezer, Egemen Sezer, Nour Fneich, Andrei Calin Teodorescu, Raşit Eren Cangür, molti dei quali, non ci sorprende, vivono e lavorano in Italia).

Una fitta trama accademica poco aperta alla professione
Una rete di Professori che si conoscono da lunga data, scrivono libri assieme, si incrociano nei salotti dell’AI, non alieni alla declinazione politica, in un “movimento culturale” con caratteristiche apparentemente simili alla Counterculture californiana degli anni '60, ma contaminata più pericolosamente all’immensa massa finanziaria che piove sulle startup di AI.
L’AI in Biennale sembra dirci che il tempo per un uso consolidato dell’AI nel mondo AEC sia ancora un po’ lontano.
Le considerazioni sull’uso etico dell’AI, sulle opportunità, i modi, la validazione di un utilizzo dell’AI in ingegneria ed architettura sono ancora tutte da esaminare e la Biennale di Ratti fa molto poco su questo tema. Forse non è il luogo, forse è una mancanza, tuttavia, si rischia di cadere nell’hype, perdere di coerenza, sottostimare i problemi che l’AI porta con sé. Spetta a noi guidare l’AI tra i pericoli che un uso professionale nasconde e la strada è ancora tutta da intraprendere.
Libri consigliati dalla Biennale sull'AI (e dal sottoscritto)
- Luciano Floridi, Etica dell’Intelligenza artificiale, Raffaello Cortina Editore
- Shoshana Zubhoff, Il Capitalismo della sorveglianza, LUISS
- Kate Crawford, Né intelligente Né artificiale, Il Mulino
- Melanie Mitchell, L’intelligenza artificiale, Einaudi
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