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L’innovazione, l’uomo e l’ingegneria “multidisciplinare”

INTERVISTA ALL'ING. GIANNI MASSA, CONSIGLIERE CNI

INTERVISTA ALL'ING. GIANNI MASSA, VICEPRESIDENTE VICARIO CONSIGLIO NAZIONALE INGEGNERI
 
Caro Gianni, la tecnologia avanza, le reti sono sempre più diffuse, il digitale entra nei progetti con il BIM, i robot stampano oggetti e case in 3D, gli operai possono vestire i sensori e le macchine vengono guidate da strumenti laser … siamo alle soglie di una rivoluzione anche per la professione?
Quando l’uomo ha modificato i confini della conoscenza attraverso le connessioni (connessioni di linguaggi, connessioni di processi, connessioni di idee, connessioni di teorie …) sono sempre accaduti cambiamenti. Movimenti.
Di questi “movimenti” c’è ne sono stati molti nella storia: spesso lenti, a volte impercettibili, fino al momento “di rottura”, in cui il movimento diventa repentino, violento, travolgente, innescando cambiamenti che noi tutti chiamiamo epocali; poi si ritorna a una quiete apparente, al "lento scorrere" del percorso della storia.
Penso ad esempio alla cosiddetta "rivoluzione industriale". L’ingegneria del ‘700, nel suo “movimento lento” inventa la macchina a vapore. Poi qualcuno connette l’idea della macchina a vapore con i processi meccanici. Questa connessione genera un movimento brusco, violento, della storia umana, nasce la prima "rivoluzione industriale".
Le nostre società moderne sono nate dalla rottura del confine dell’uomo con la macchina. Rottura che ha generato le dinamiche sociali nate nelle fabbriche e che ha reso differenti le coscienze degli uomini nel mondo.
Poi le nuove società hanno ripreso il “movimento lento” del corso della storia. Fino a quando quello stesso movimento degli umani non è arrivato ad un’altra accelerazione violenta. L’informatica e la comparsa del computer.
Mark Wiser ha teorizzato le tre ere dell’informatica.
La prima, l’era dei mainframes (dei grandi calcolatori). La seconda, quella dei personal computer, che abbiamo vissuto noi. La terza, l’ubiquitous computing (informatica diffusa), dove la parte informatica, la tecnologia, quasi scompare (nelle nostre città, negli edifici, nelle cose che facciamo, nella vita quotidiana) e resta solo la parte umana (calm tecnology “tecnologia calma” e poco presente). Le nuove connessioni del sensing-actuating.
Internet ha creato tramite i suoi utenti il più grande sistema autopoietico (gli umani hanno usato internet per creare internet).
E oggi l’uomo si trova al centro tra due mondi, quello degli atomi e quello dei bit, la cui distanza si è drasticamente ridotta. Come un’onda di piena questo movimento sta raggiungendo la nostra professione.
 
Una rivoluzione in cui da un lato le esigenze progettuali si moltiplicano e diventano più specialistiche, e dall’altro diventano sempre più collegate, richiedendo una collaborazione più stretta fra figure diverse. Esiste un problema di linguaggi che dovremo affrontare?
Penso che la società e la velocità del “movimento” attuale della storia debbano essere “lette” con logiche contemporanee. L’ingegneria è trasversale, è sovrapposizione tra differenti discipline. Perché sta al confine tra le idee e la realizzazione delle stesse. Il progetto, nella sua accezione più ampia, è sintesi di modelli, spesso in antitesi tra loro, e non semplice sommatoria di risposte a obblighi normativi (basti pensare, per fare un esempio, a due tra i modelli che stanno alla base dei progetti delle macchine di Formula 1 e più in generale di tutta la ricerca nel campo della mobilità: velocità e sicurezza).
Sicuramente oggi c’è una nuova, nascente, consapevolezza sociale del ruolo dell’ingegneria, ma la strada da percorrere è lunga e complessa. La questione più importante, a mio parere, è la ricerca di linguaggi plurali e condivisi. Il superamento di recinti autoreferenziali e monodisciplinari che non consentono di trovare una sintesi.
 
10 anni fa pensavamo fosse impossibile avere un telefono in cui guardare la televisione, scrivere mail, consultare le mappe e farsi guidare, scansionare un documento, gestire la banca dati dei clienti, chattare con sconosciuti, fotografare … siamo pronti al cambiamento, non da un punto di vista tecnico, ma da un punto di vista personale, sociale … siamo in grado di comprendere i pericoli, di capire l’uso corretto?
 
Non so dire quanto uno strumento social può entrare nelle profondità degli animi delle persone e, ancora di più, nella costruzione di un pensiero connettivo e non solamente collettivo. Sicuramente la tecnologia ha modificato il modo di costruire reti di pensiero e sinapsi. Sicuramente rappresenta un nuovo linguaggio di connettività.
Penso che la maggior parte dei contenuti delle chat nei social siano caratterizzati dall’ossimoro di una superficialità profonda.  Ma sono anche convinto delle gigantesche potenzialità che gli umani stanno sviluppando attraverso le connessioni.
 
Lo strumento dei crediti formativi obbligatori è adeguato a questa esigenza di “crescita verticale e trasversale”? dovremo pensare a nuovi strumenti di informazione/comunicazione/formazione ?
Troppo spesso siamo stati formati a gestire la complessità attraverso la scomposizione e l’addizione. E altrettanto spesso il sentire comune ritiene che la qualità e la competenza siano direttamente proporzionali alla cosiddetta “obbligatorietà” per legge.
Per anni siamo stati abituati alla “scomposizione”.
Oggi, secondo me, all’’accoppiata analisi-induzione, che faceva riferimento in via preferenziale a processi di scomposizione di problemi complessi in problemi semplici, da affrontare e risolvere separatamente per poi “rimontare” il tutto, e di successiva generalizzazione induttiva, deve subentrare sempre più la coppia abduzione-analogia.
La strada da seguire è quella che cerca di mettere in sintonia l’intero mosaico delle svariate tessere, costituite dai saperi e dalle competenze che è indispensabile attivare e far interagire per potersi porre concretamente ed efficacemente in una prospettiva in grado di metterci in condizione di affrontare, nel modo migliore, le sfide sempre nuove e sempre più complesse alle quali l’interazione con l’ambiente ci espone. E l’ingegneria è una disciplina ed una professione che, per il suo essere “ponte” tra pensiero e azione, può indirizzare e guidare questo rinascimento culturale.
La formazione continua è stato un salto di qualità della categoria. Puntare ad una formazione qualificata e certificata, deve essere il traguardo di un futuro prossimo in cui, a parte un livello minimo di formazione continua obbligatorio, ci sarà la formazione volontaria premiata da un mercato attento alla reale qualità dei tecnici. In questo senso la scuola per l’ingegneria, dopo la fase di startup di questi anni, dovrà dotarsi di un programma scientifico di altissimo profilo e di una piattaforma per erogare servizi, a basso impatto economico, per gli ingegneri italiani.
 
Architetto, Ingegnere, Geometra, Informatico … fra 20 anni questi sostantivi avranno ancora un senso ?
Sono consapevole che per tanto tempo le professioni tecniche, e in particolare l’ingegneria, hanno rappresentato, in maniera semplicistica, il mondo del fare, spesso visto come una “conseguenza” e, forse, in contrapposizione al mondo del pensare. Oggi si è rotto il confine tra pensiero e azione. Ed in questo senso il progetto diviene elemento unico e fondante di un nuovo approccio plurale e condiviso in cui i differenti linguaggi si sovrappongono.
La distanza frantumata tra atomi e bit, tra pensiero e azione, tra pensare e fare (o meglio tra percezione - cognizione - azione) impone, nel prossimo futuro, costruire e lavorare dentro una trama comune.
La bellezza e l’orgoglio di essere “ingegnere” o “architetto” o, più in generale, professionista, credo rimarrà sempre perché la complessità deve essere affrontata attraverso la capacità di sovrapporre specificità.
 
Quanto la poca conoscenza di un futuro che corre, blocca la nostra capacità di riprogettare il nostro futuro ?
Il futuro è ciò che si costruisce adesso, oggi.
La categoria “futuro” dipende da come sappiamo “guardare altrimenti” ogni cosa che facciamo e più in generale il mondo in cui viviamo. La parola idea significa “visione”, non “visto”, ed è questo concetto che contiene in se la proiezione verso il futuro, verso un qualcosa che non esiste ma che potrà essere.

Con la consapevolezza che il futuro è il legame tra tradizione e innovazione, è il movimento della nostra storia. E nessun movimento è slegato o indipendente dalle azioni e dai pensieri quotidiani sovrapposti e connessi