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La CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DEL CADORE di E. GELLNER, C. SCARPA, S. ZORZI e C.CESTELLI GUIDI

Articolo tratto dal volume: Concrete 2014 - Progetto e Tecnologia per il Costruito tra XX e XXI secolo

1 Introduzione

La chiesa di Nostra Signora del Cadore sorge nel villaggio vacanze per i dipendenti dell’Ente Nazionale Idrocarburi, realizzato tra il 1955 e il 1962 a Corte di Cadore nei pressi di Cortina d’Ampezzo nell’imponente paesaggio alpino delle Dolomiti.

Il complesso è progettato da Edoardo Gellner (1909-2004) su committenza di Enrico Mattei, presidente dell’ente in quegli anni. Il progetto del villaggio di Corte di Cadore prevede la costruzione di 600 case unifamiliari, una colonia per 600 bambini, un campeggio per 200 ragazzi, la chiesa, alberghi, impianti sportivi, un centro servizi e un centro sociale.

Il complesso si rivela un’occasione per sperimentare l’integrazione nella pratica costruttiva di montagna di tecniche evolute e di sistemi industrializzati. Il cantiere del villaggio si apre nel maggio del 1955 con l’avvio dell’esecuzione delle infrastrutture viarie; nella stessa estate è completata la prima casa prototipo. Da quel momento le realizzazioni si susseguono, mentre gli edifici terminati entrano progressivamente in funzione. L’improvvisa scomparsa del presidente dell’Eni, avvenuta nel 1962, incide in maniera determinante sull’intero programma edilizio della società petrolifera e quindi sul villaggio, il cui completamento è interrotto.

Tra le opere realizzate c’è la chiesa di Nostra Signora del Cadore.

2 Il processo progettuale

La chiesa è un edificio a tre navate, a pianta poligonale, che può ospitare fino a 350 fedeli. La sua architettura è marcata dal meccanismo strutturale in calcestruzzo armato, le cui componenti sono figure primarie della trama compositiva, perfezionata dall’uso elegante degli altri materiali - acciaio, legno, vetro, pietra naturale – e dal trattamento delle superfici.

La vicenda progettuale della chiesa di Corte ha inizio nell’estate del 1956, quando Gellner coinvolge Carlo Scarpa (1906-1978).

I due si sono incontrati a Venezia, negli anni della formazione universitaria di Gellner. Il progetto della chiesa è però l’occasione per una collaborazione professionale concreta. Li accomuna la sensibilità verso la poetica di Frank Lloyd Wright, a quel tempo già manifesta nell’orizzonte culturale di entrambi. Scarpa si interessa alla lezione del maestro americano e suo sarà l’allestimento della mostra su Wright alla Triennale di Milano del 1960. Gellner aderisce all’APAO (Associazione per l’Architettura Organica), incontra Wright nel 1951 e matura progressivamente una personale inclinazione per l’architettura organica, che sperimenta in aree paesaggistiche di rilievo come quella di Corte, riconoscendo in quella visione punti di contatto con la sua concezione del rapporto tra architettura e contesto naturale.

Il progetto della chiesa si sviluppa in questa cornice culturale. L’edificio si connota quale emergenza architettonica nel registro di piani e linee orizzontali che disegnano la trama delle case e delle altre costruzioni collettive. Insieme alla colonia è l’unico volume che, in forza della copertura a due falde e al segno verticale del campanile, si distingue nel disegno complessivo del villaggio. L’impianto planimetrico, su cui Gellner dialoga con Scarpa nelle prime settimane di lavoro, parte da schizzi che segnalano l’iniziale considerazione per uno schema a pianta centrale

Nelle ipotesi di Gellner la chiesa è un’aula unica. Pilastroni inclinati e ancorati a terra si succedono con regolarità a sostegno della copertura, secondo un modello già impiegato dall’architetto nel padiglione centrale della vicina colonia. La successiva versione della chiesa introduce la soluzione a tre navate su cui si consolida il progetto del 1956.

L’aggiornamento dello schema coincide con il ripensamento delle strutture di calcestruzzo armato, le cui figure emergono distintamente nei nuovi disegni. Coppie di grandi costole completate da un tirante orizzontale poggiano su travi longitudinali poste al di sopra di pilastri ordinati con interasse doppio rispetto ai costoloni.

Lo studio della pianta si perfeziona per approdare a un impianto allungato a tre navate, concluso su un lato dal transetto asimmetrico ruotato rispetto alla griglia primaria e, sul fronte opposto, dal nartece e dalla cappella laterale studiati da Scarpa. A dicembre il progetto preliminare è concluso e approvato da Mattei nei primi mesi del 1957. Ne viene però disposta la revisione per ridurre la capienza della chiesa da 500 a 350 posti.

In primavera Gellner porta a termine l’adeguamento dimensionale, che lascia invariati l’impianto planimetrico e la sezione dell’edificio. La griglia formale e costruttiva è definitivamente scandita dal modulo di 122x122 cm, assunto da Gellner anche negli altri edifici del villaggio. Il canone detta l’interasse tra i pilastri e i costoloni, fissato rispettivamente a 488 cm (122x4) e a 244 cm (122x2). In questo frangente, la nomina da parte della committenza di Carlo Cestelli Guidi a consulente per le strutture determina, come si evidenzierà di seguito, le modifiche più evidenti nell’impianto strutturale.

Il 31 marzo 1958 si apre la gara d’appalto a inviti per la costruzione della chiesa. L’impresa Società Italiana Costruzioni Civili e Industriali (S.I.C.C.I.) di Merano vince la selezione. Il 10 giugno si procede alla sottoscrizione del contratto. Un mese dopo si tiene una riunione tra Gellner, l’impresa e Carlo Cestelli-Guidi per discutere le modifiche da apportare al progetto delle strutture10. Il 21 luglio sono fissati la consegna e l’inizio dei lavori.

L’ultimazione delle opere è prevista per il 15 luglio 1959. La chiesa è inaugurata il 21 agosto 1961 con un altare provvisorio. Negli anni successivi sono completate alcune delle opere interne e delle decorazioni previste nel progetto originario. Oggi l’edificio, che si conserva in buone condizioni, ospita concerti di musica classica durante la stagione estiva.

3 La struttura in calcestruzzo armato: dalla concezione del meccanismo statico alla connotazione dello spazio architettonico

Il dibattito architettonico che prende vita in Italia nel secondo dopoguerra sul modo di costruire in montagna porta in primo piano da un lato la tendenza a una romantica salvaguardia delle forme e delle tecniche del passato e, dall’altro, la tensione innovatrice che promuove l’adeguamento di metodiche e strumenti del costruire alle mutate condizioni di vita in montagna. Lo sviluppo del turismo, che prelude al fenomeno di massa degli anni Sessanta, innesca già nel decennio Cinquanta un fermento urbanistico ed edilizio senza precedenti nei misurati processi di antropizzazione dei contesti montani.

Lungo l’arco alpino si susseguono, infatti, dopo le esperienze degli anni Venti-Trenta, gli sforzi per adattare le strutture ricettive ai programmi turistici destinati a ampie fasce della popolazione. Nella sezione orientale della catena la parte rilevante del lavoro prende forma negli anni Cinquanta, come documentano alcuni degli interventi più noti e riguardanti la provincia di Trento tra cui si ricordano le centrali idroelettriche di Gio Ponti, Antonio Fornaroli e Alberto Rosselli a Santa Giustina (1951-1952) e a Cimego (1954-1956) e lo stesso villaggio a Corte di Cadore.

In questa cornice il calcestruzzo è tra i procedimenti costruttivi adottati per le grandi infrastrutture e per gli edifici pluripiano. In molti casi si compie il trasferimento della tecnica e degli schemi statici già sperimentati in città; in altre occasioni - le più sensibili - il materiale e il procedimento si prestano alla sfida del difficile confronto con la maestosità dei paesaggi. Il villaggio Eni appartiene a questo novero di realizzazioni. Gellner plasma la miscela e la sequenza costruttiva tenendo conto del clima rigido e nel rispetto dello scenario naturale delle Dolomiti. Le raffinate e rugose superfici delle pareti di contenimento, delle facciate delle case, degli edifici collettivi che disegnano la trama lineare dell’architettura del villaggio si ispirano, senza cedere a scontati intenti di mimetismo figurativo, ai complessi rocciosi. La chiesa è una delle prove più convincenti della sperimentazione sull’espressività del calcestruzzo condotta da Gellner in questo insediamento. L’elaborazione del meccanismo strutturale, la definizione delle sue componenti e delle relazioni tra le parti, lo studio del dettaglio costruttivo e delle finiture sono passaggi di un processo progettuale multiscalare che Gellner conduce con cura minuziosa, contando, per lunghi periodi, sull’apporto prezioso di Scarpa. Il repertorio di sezioni presente nei carteggi del progetto testimonia la riflessione dei due architetti. Un primo gruppo di disegni è del 1956, un secondo del 1957, un altro ancora del 1958-59. L’ultimo biennio coincide con la definizione delle strutture – i cui calcoli sono portati avanti dall’impresa appaltatrice - e dei dettagli costruttivi, curati da Gellner con la collaborazione di Scarpa per alcune soluzioni puntuali.

La sezione “A” fornisce indizi utili agli obiettivi di questo studio. Nel disegno del 1956 la struttura del tetto è formata da grandi costole di calcestruzzo armato prefabbricato, appoggiate su travi longitudinali di cemento armato martellinato. Gli elementi prefabbricati sono da gettarsi a piè d’opera e alleggeriti nella sezione con forature per agevolarne il varo mediante gru16. Il sistema si imposta sui pilastri a sezione esagonale con nucleo di calcestruzzo armato e rivestimento lapideo.

Tra i costoloni si trovano – in sostituzione dell’unico tirante orizzontale ipotizzato da Gellner - coppie di tondini metallici incrociati in diagonale per controventare i costoloni, secondo il suggerimento di Silvano Zorzi (1921- 1994), consulente e amico di Gellner. L’aggiornamento del 1957 conferma il medesimo modello.

La terza versione, datata 1959, documenta le modifiche allo schema strutturale della copertura, suggerite da Carlo Cestelli Guidi (1906-1995) succeduto, come detto, a Zorzi.

Il nuovo consulente rivede la soluzione iniziale disponendo i tiranti nel piano dei costoloni e suggerisce, inoltre, la riduzione della sezione dei pilastri, considerata eccessiva. In realtà, Gellner recepisce solo parzialmente queste osservazioni. Infatti, pur riorganizzando il gruppo dei tiranti secondo le indicazioni dello specialista, conserva anche i cavi incrociati diagonalmente, con una funzione prettamente architettonica oltre che di supporto dei corpi illuminanti. Nello stesso disegno del 1959 le costole – a sezione piena e di maggiori dimensioni - sono previste con getto in opera. Infatti, a seguito del calcolo definitivo effettuato dall’impresa, si rende necessario un aumento della sezione per assorbire l’azione del vento sulle falde.

Gli elaborati della ditta appaltatrice evidenziano elementi a sezione variabile. Essi si elevano dall’estradosso della trave longitudinale di 15,13 m. La sezione del primo tratto, innestato alla base nella scatola della cerniera e inclinato di 60°, raggiunge l’altezza di circa 2,50 m.

Quindi il secondo tronco, di lunghezza maggiore, ha una sezione iniziale di 25x150 cm, poi progressivamente rastremata fino a raggiungere in sommità il valore minimo di 25x60 cm. La trave longitudinale che sostiene i costoloni ha sezione rettangolare (45x92), è lunga circa 40 m ed è suddivisa in due tratti da un giunto di dilatazione.

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