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Ricordi dello Studio di Riccardo Morandi, di Francesco Marzullo

Cosa succedeva nello studio di Riccardo Morandi, ecco un bel ricordo di Francesco Marzullo

Sono entrato nello studio del Professor Morandi il 1° Settembre del 1972, era il giorno in cui compiva 70 anni.

Per un laureando in Architettura di 25 anni, era a dir poco una follia: mi mancavano due esami e la tesi per laurearmi, ero un “sessantottino” e portavo i capelli lunghi, che cosa avrei potuto fare in quello studio pieno di Ingegneri? Ero sicuro di non avere nulla in comune con quella tipologia (“razza”) di persone, così distante dal mio mondo di Architetti: poeti, artisti, amanti e sostenitori dell’utopia.

Morandi al lavoro nel suo studioSono stato catapultato in una realtà incredibilmente diversa dalla mia, dove tutti lavoravano in camice bianco e ovunque regnava il silenzio.

Eppure, non ne sono più uscito per ben 15 anni.

In pochissimo tempo, grazie anche alla disponibilità delle persone che ho conosciuto lì, mi si è aperta una finestra su un mondo a dir poco fantastico, che ancora oggi, a distanza di quasi 50 anni, non ho ancora smesso di amare e che ancora tanto ha da insegnarmi.

Ecco, l'insegnamento più bello che Morandi/uomo mi ha dato è che, nonostante l'età e l’esperienza fatta, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare.

Il nostro è stato un rapporto bellissimo: la sua capacità di entrare nel progetto, di vedere “oltre” quell’insieme di linee ancora oggi mi incantano; ma, soprattutto, tutto ciò che è stato in grado di fare unicamente con i mezzi che all'epoca aveva a disposizione (carta e matita, regolo e calcolatrice) è ancora oggi a dir poco stupefacente. Non era un Ingegnere, era un vero e proprio Inventore; senza lui ed il suo coraggio non sarebbero stati fatti tutti i progressi fondamentali che ci sono stati nel campo ingegneristico.

Abbiamo lavorato insieme ad una quantità innumerevole di progetti bellissimi, approcciandoci al lavoro con una serietà e un divertimento continuo, che sono difficili da spiegare. “Serietà e divertimento”, sembra impossibile che questi due atteggiamenti possano convivere e addirittura generare un’opera grandiosa, ma era proprio questo che accadeva.

Lo Studio di Riccardo Morandi era una fucina di idee, un mondo incredibile.

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Ogni progetto, anche quando sarebbe potuto essere formalmente “uguale” al precedente, era invece profondamente diverso; era una continua ricerca per ottenere sempre il prodotto migliore, con la fusione dei concetti di ingegneria, economicità, cantiere, metodologie costruttive…

Morandi diceva sempre: “Non esiste mai un'unica soluzione, ma ne esistono tante” e, aggiungo io, all'interno di queste, bisogna saper scegliere in maniera pragmatica.

Aveva l’eccezionale capacità di sintetizzare e semplificare anche ciò che sembrava più difficile, era sempre diretto e dinamico anche nelle situazioni più complesse ed io ero la negazione di quello che aveva sempre pensato; me lo disse direttamente, il giorno stesso che entrai nel suo Studio per lavorare: “Una cosa non sopporto: gli architetti!” eppure sono riuscito, negli anni, a diventare il suo braccio destro e a dirigere il suo studio. Lo raccontava a tutti, ne era contento.

Probabilmente, sotto alcuni punti di vista, ci assomigliavamo e ci assomigliamo tuttora: abbiamo la stessa passione per il nostro lavoro, la stessa curiosità, la stessa voglia di conoscere e di imparare, oltre alla capacità di “giocare” lavorando e il forte desiderio di trasmettere tutto questo.

“Perché un Architetto possa finalmente discutere con un Ingegnere” non è una battuta, ma è la “filosofia” che ha trasmesso Morandi nei 15 anni di lavoro insieme: la passione per l’aspetto strutturale/costruttivo del nostro mestiere, la versatilità nell’affrontare ogni genere di opera senza porsi limiti, ma con la voglia, la curiosità e anche la gioia di risolvere un nuovo “rebus” e, infine, la capacità di realizzare, di rendere reale ciò che si progetta, nonostante tutto.

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Questo articolo fa parte di un approfondimento curato da Enzo Siviero su Riccardo Morandi visibile a questo LINK.