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A che cosa serve il BIM: tra Data Modeling e Information Modeling

A che cosa serve il BIM: tra Data Modeling e Information Modeling

L'interrogativo che pare oggi essere predominante a proposito del Building Information Modeling (BIM), è relativo alla sua definizione, a che cosa esso sia.
Il punto che, invece, è decisivo, per intuirne appieno l'essenza, riguarda il determinare a che cosa il BIM serva, quale sia il suo significato all'interno di una evoluzione storica del Settore delle Costruzioni, in presenza di un fenomeno piuttosto dirompente come la digitalizzazione, tenendo ben presente la coesistenza di fattori progressivi e regressivi.

Come, in effetti, osserva Roland Berger, typically, traditional players in the construction industry have a much more conservative perspective. They are also more hesitant to go for innovations. But the drive and motivation that the young companies bring with them will help to promote and take digitalization in construction to the next level.

Se, peraltro, fosse necessario adottare una definizione del metodo, ci si accorgerebbe che il ricorso alla espressione «rappresentazione» digitale, contenuta nella definizione canonica, contenga un ossimoro, nel senso che proprio «simulazione» e «virtualizzazione» la contraddicono, in quanto, a prescindere dal ruolo dell'aspetto geometrico-dimensionale nei confronti di quello alfa-numerico, la natura del progetto, e non solo di quello, come comunicazione/prescrizione appare ormai trasformata verso un orizzonte in cui, anzitutto, si abbiano machine readable data in grado di condurre a prevedere, nei dati (non più documenti) contrattuali, la prestazionalità dell'opera e dei suoi utenti.
In altri termini, ciò che si profila è un differente regime di responsabilità, tale per cui la possibilità di verificare, in tempo reale, le effettive prestazioni offerte dal cespite interconnesso riporta ai performance-based contract, che potrebbero estendersi alla misurazione e valutazione del grado di produttività/soddisfazione nel tempo dei suoi fruitori.
Ciò che si vuole affermare è che, ponendo il  «servizio» (tendenzialmente immateriale di per se stesso) al centro del  «bene» (tangibile), occorre riflettere sulla eventuale redistribuzione dei ruoli e delle responsabilità dei soggetti che si muovono attorno a quest'ultimo.

Ovviamente, sotto questo profilo non si tratta tanto di enfatizzare il ruolo, oggi spesso negletto, del dato alfa-numerico nei confronti di quello geometrico-dimensionale, bensì di ammettere che la machine readability ponga la questione su un piano affatto diverso, in cui tale distinzione appare assai relativa.
Se, dunque, domandarsi che cosa sia il BIM potrebbe apparire un esercizio ozioso, interrogarsi sulla sua funzione lo sarebbe assai di meno: anticipando una possibile risposta, si potrebbe affermare che esso serva a predisporre strutture di dati finalizzate, in prospettiva, a supportare l'erogazione di servizi e di attività (inclusa la produzione manifatturiera) attraverso cespiti cognitivi o infrastrutture cognitive, capaci, cioè, non solo di ottimizzare le proprie prestazioni, ma anche di dialogare individualmente cogli utenti.
Il che, tuttavia, pone una pesante ipoteca negativa sui percorsi formativi universitari nel Settore delle Costruzioni, allorché esso si concentra sul BIM in maniera circoscritta.
In altre parole, la traduzione computazionale delle azioni degli attori nelle diverse fasi del processo si riflette sempre più nel Data Modeling che concernono l'eco-sistema digitale, l'ecologia digitale, inteso quale «processo» di creazione di un Data Model finalizzato a un sistema informativo legato a un sistema decisionale che si fonda su un approccio probabilistico.

Lo stesso, per quanto concerne il Data Mining & Analytics, potrebbe valere allorché, ad esempio, si gestisca una piattaforma in cloud che ospiti una grande mole di modelli informativi, alfine di estrarre informazione e conoscenza da grandi moli di dati per comprendere i comportamenti e le preferenze degli attori del processo e per supportare i processi decisionali.
Come appare sempre più chiaro, infatti, i produttori di applicativi per produrre entità informative (gli «oggetti» e modelli informativi, o per esporli, stanno divenendo opportunamente soggetti che ospitano i modelli stessi, i dati strutturati che sono stati prodotti, per originare Intelligence e Knowledge.
Ciò, anzitutto, vuol dire che tutti gli applicativi di richiesta, di produzione e di verifica dei contenuti informativi (in termini parametrici e relazionali) dovrebbero essere considerati secondo una ottica consapevole: se così non accadesse, la maggior parte degli operatori diverrebbe facilmente «strumento» di un approccio ai dati strutturati in mano a chi possiede la cultura del dato.
Basti pensare, a questo proposito, a come la nozione di «licenza» inizi ad apparire secondaria, sostituita da quella di «fruizione» e come, soprattutto, l'interoperabilità appaia sempre più relativa allo scambio di dati, strutturati, tra applicativi diversi all'interno di Common Data Environment.

Necessità di un'«alfabetizzazione» della digitalizzazione

In altre parole, a iniziare dall'Accademia, occorrerebbe un acculturamento, una alfabetizzazione degli attori presenti e futuri alla vera a propria digitalizzazione, mentre, al momento, ciò appare improbabile, perché la capacità di riconfigurare il proprio business a partire da una logica computazionale appartiene solo a una fascia molto limitata di operatori.
Di fatto, a oggi la convinzione che permea gli attori è che il BIM serva a efficientare i processi consolidati per come essi sono (sempre stati), senza necessità di ripensarli: per questa ragione, la «rappresentazione», che non è solo multi-dimensionalità geometrica, pur parametrica e relazionale, prevale come unico veicolo di visualizzazione del BIM, tanto che alle classiche immagini si affiancano spesso tabelle dai testi e dai valori non facilmente leggibili. La percezione immediata che se ne trae è, infatti, quella della supremazia dell'aspetto geometrico-dimensionale, a cui i valori alfa-numerici sia connessi in sovrappiù, come entità non così immediatamente utilizzabili nel processo decisionale.
Il problema è che gli attori non "vedono" letteralmente le strutture di dati che sono sottese alla modellazione informativa, al modello informativo, che giacciono al di sotto di essa, ma saranno queste stesse strutture informative a permettere, ai recettori più accorti di iniziare a fare artificial intelligence, machine learning, deep learning, o più semplicemente predictive analytics.
Non si dimentichi, infatti, che se Productivity è una parola chiave per comprendere la centralità della digitalizzazione, Predictability ne è il complemento.

Tutto il dibattito, ad esempio, sull'intelligenza artificiale negli organismi di progettazione e nei cantieri, pressoché assente nel Nostro Paese, ma fervente negli Stati Uniti, non deve essere inteso come avvento di automi/robot oppure come mera sostituzione di lavoro intellettuale umano con algoritmi (due dimensioni solo marginalmente credibili), bensì come valutazione delle potenzialità di ottimizzazione delle logiche computazionali che dipendono, in definitiva, dalla cultura del dato, quale capacità di originare o trarre «conoscenza» dalla analisi e dalla elaborazione del «dato» e della «informazione».
Certo, con ogni probabilità, tanto più gli strumenti del BIM si diffonderanno tanto più gli attori che li utilizzano cominceranno a intuire che essi posseggono in se stessi un metodo, che una certa disciplina è coatta nella produzione di modelli informativi, ma l'incognita dimora nella capacità dei committenti di impostare le strutture di dati che dovranno essere rispettate per generare i modelli stessi.
È, soprattutto, evidente che la maggior parte degli attori sarà sempre più costretta a muoversi direttamente tra ambienti di calcolo (o analoghi) e ambienti di modellazione: il che equivale a dire che gli operatori dovranno pensare e agire «digitalmente» con sempre minori mediazioni, sfruttando l'approccio probabilistico di generazione e di selezione tra numerose opzioni.

E' immaginabile, però, oggi facilmente poter spiegare alla stazione appaltante media italiana, in attesa di una drastica riduzione del suo numero e di un cospicuo incremento della sua dimensione, che occorra formalizzare i propri business process e i contenuti informativi dei cespiti (o degli interventi su di essi) che si commissionano? E fare lo stesso per le sue controparti?
In teoria, tutto questo, ai sensi del D.M. 560/2017, dovrebbe avvenire tramite, in primo luogo, l'atto organizzativo e il capitolato informativo. In pratica, è opportuno riflettere sul modo di porre questi temi, di parlare di conceptual data model, di semantic data model, e così via.
Come è percepito solitamente un capitolato informativo? Come un documento descrittivo in cui, ad esempio, si chiariscono le finalità attese dalla modellazione informativa e altri aspetti organizzativi, procedurali e protocollari di indubbia utilità.
Eppure questo documento, privo di una struttura di dati, nulla potrà davvero influire sul processo di modellazione informativa, riflettendo generiche richieste di contenuti decisionali, traducibili in documenti, in dati non strutturati né relazionati, tanto più che gli ambienti di condivisione dei dati abitualmente gestiscono prevalentemente documenti e non ospitano, come piattaforma unica, ambienti di calcolo e ambienti di modellazione: analogo ragionamento vale per il piano di gestione informativa.
Il rischio è, ovviamente, quello che si crei una nuova disciplinarietà che tenda a gestire con scarsa consapevolezza il dato, faticando a introdurvi i saperi tecnici precedenti all'era digitale, separando l'informazione dalla decisione.
Se, infatti, a partire dalla progettazione, dal suo contenuto creativo, per finire alla realizzazione, è vero che l'impostazione computazionale non può ridursi a un dispositivo meccanicistico di generazione, di elaborazione e di gestione dei dati, è altresì rispondente al vero che la possibilità di introdurre elementi di Clash Avoidance e di Semi-Autonomous Decision Making si fa vieppiù stringente.

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Non solo si verifica ciò, ma, soprattutto, la diffusione della sensoristica rende interoperabilità e interconnessione le premesse alla necessità di commissionare, progettare e realizzare interventi e opere con un focus predominante sul cosiddetto ciclo di vita, nel senso che il sistema di responsabilità contrattuali si trasla sulla possibilità di rispondere, per ideatori e per esecutori, in maniera puntuale e in tempo reale delle prestazioni offerte dai cespiti e dei comportamenti degli utenti che vi si relazionano, tanto che gli applicativi che incontrano la maggiore curiosità sono quelli che simulano flussi e interazioni, dalla Crowd Simulation al Gaming.

Nel pensiero corrente, in effetti, si ritiene che possa essere sufficiente predisporre modelli informativi As Built, magari con l'aiuto delle nuvole di punti, oppure insiemi ordinati di dati come per COBie, ma il cosiddetto digital twin, la replica digitale del bene fisico, è destinato a interagire sempre maggiormente con esso, come dimostra tutto l'impianto di Industria 4.0, cyber-physical.
Nella vulgata relativa al BIM il modello informativo federato, in attesa di quello unico (oggi forse già praticabile in cloud), costituisce sia l'anticipazione del suo doppio fisico sia il deposito dei dati e delle informazioni che lo concernono nella loro stratificazione; la caratterizzazione «dialettica» che gli «oggetti connessi» propongono altera questa accezione perché fa dell'entità fisica e del suo riferimento digitale un tutt'uno, come la «realtà aumentata o mista» dimostra, perché queste due attribuzioni non sono più davvero scindibili, poiché l'oggetto fisico è progettato per essere già sin da subito interconnesso, «dialogante».
Il problema, dunque, è che il BIM serve a cambiare i processi tradizionali di committenza, progettazione, esecuzione, manutenzione, gestione e demolizione poiché muta profondamente la natura del prodotto immobiliare o infrastrutturale, richiede una diversa integrazione tra Data Model e Business Process.

A titolo di esempio, la progettazione di un edificio dovrà non solo occuparsi, sin dall'inizio, del Building Management System, ma dovrà ideare i processi cognitivi di interazione tra il contenitore e il contenuto, quella di una rete ferroviaria dovrà concepire le opere d'arte, l'armamento e il segnalamento, assieme al Rolling Stock, perché ciò che si idea e che si transa è progressivamente User Experience.

Tra l'altro, la strutturazione dei dati ai fini dei meccanismi di automazione non può non richiedere una formalizzazione delle modalità di funzionamento del sistema tecnologico e degli elementi tecnici superiori al consueto e, al contempo, presuppone una definizione dei fattori psicologici e comportamentali insiti nella relazione tra gli occupanti e i beni immobiliari.
La sfida è, allora, quella di fare disseminazione sul BIM chiarendo accuratamente gli orizzonti destinali, non accontentandosi di pretendere che sia possibile adattarne logiche e operatività a razionalità e irrazionalità consolidate.
Insegnare agli studenti e agli operatori i primi rudimenti del BIM, oltre il BIM, dovrebbe oggi avvenire con questo spirito, tenendo in conto l'evoluzione attesa del mercato.
È pure importante enfatizzare che serva una riflessione non banale sulla traduzione dei concetti di «collaborazione» e di «integrazione» non solo nei quadri contrattuali, ma anche nelle modalità di scambio e di validazione dei dati secondo strutturazioni, secondo modelli prestabiliti.
La digitalizzazione, come sostiene molto giustamente il Ministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, non può essere affrontata, come molti vorrebbero, tramite semplificazioni né, per essa, si possono formulare previsioni inappellabili.

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