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Sblocca Italia: per gli ingegneri un intervento poco risolutivo per il rilancio delle infrastrutture

Non ci può essere crescita senza una chiara politica per le infrastrutture e non ci possono essere infrastrutture in grado di modernizzare un Paese in un quadro di regole eccessivamente complesse, articolate e in continuo cambiamento, come accade in Italia. E’ quanto emerge da un’indagine condotta dal Centro Studi CNI presso gli ingegneri iscritti all’Albo.

CNI: senza un piano organico per le infrastrutture la Legge Sblocca Cantieri sarà solo un palliativo per i problemi del Paese

Non ci può essere crescita senza una chiara politica per le infrastrutture e non ci possono essere infrastrutture in grado di modernizzare un Paese in un quadro di regole eccessivamente complesse, articolate e in continuo cambiamento, come accade in Italia. E’ quanto emerge da un’indagine condotta dal Centro Studi CNI presso gli ingegneri iscritti all’Albo.

Anche la legge Sblocca Cantieri (Legge 55/2019), approvata di recente, rischia di essere, pur con molte novità introdotte, una sorta di palliativo rispetto ad una situazione complessa.

Più che la continua elaborazione e modifica delle norme in materia di appalti pubblici occorre una semplificazione delle regole ed una maggiore qualificazione (oltre che riduzione) delle stazioni appaltanti. Stratificare le norme, nel corso degli anni, ed imporre sempre più controlli nel tentativo di rilanciare le opere pubbliche nel nostro Paese, con l’idea di evitare distorsioni della concorrenza e procedure più veloci, sembra avere sortito finora l’effetto esattamente opposto. Questo è uno degli aspetti più rilevanti emersi da un’indagine realizzata a giugno 2019 presso gli ingegneri iscritti all’Albo professionale. Hanno risposto 5.000 ingegneri, dei quali 3.600 operanti nel settore della progettazione e gestione di infrastrutture o come lavoratori autonomi o come dipendenti di una Amministrazione Pubblica o di una azienda privata.

La visione, espressa dal settore dell’ingegneria, sulle priorità di intervento, sulle potenzialità di crescita legate alle infrastrutture e sulle criticità connesse alle politiche per le opere pubbliche si colloca in un quadro articolato e a tratti complesso. 

-21% di spesa per infrastrutture negli ultimi 10 anni

Negli ultimi 10 anni il livello di spesa pubblica per opere infrastrutturali sulle reti di collegamento si sono ridotte del 21%. La spesa per opere infrastrutturali ha perso consistentemente peso nell’ambito delle politiche pubbliche e sembra oggettivamente difficile recuperare, nel breve periodo, le posizioni perse.  Nel 2018 gli investimenti in opere pubbliche continuano ad essere molto lontani dai livelli pre-crisi 2008 e sono pari a quasi 13 miliardi di euro, tanto quanto l’Italia spendeva agli inizi degli anni 2000.

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E’ questo il frutto delle politiche di rientro del debito pubblico che fa dell’Italia uno dei Paesi europei industrializzati con la minore incidenza degli investimenti in infrastrutture di trasporto sul totale degli investimenti fissi. 

Oltre 600 grandi opere sono incompiute. Causa? o contenziosi o lentezza nelle autorizzazioni

Eppure registriamo la contraddizione che lì dove le risorse, seppure limitate, ci sono, non vengono spese. Il Ministero per le infrastrutture ed i Trasporti segnala che le grandi opere pubbliche incompiute sono oltre 600 per un valore di quasi 4 miliardi di euro. Si aggiungono piccoli cantieri, sparsi su tutto il territorio nazionale, che risultano bloccati, quasi sempre per contenziosi o perché in attesa di autorizzazioni da parte della Pubblica amministrazione.

“Il problema della scarsità di risorse pubbliche per opere infrastrutturaliafferma Armando Zambrano, Presidente del Consiglio Nazionale Ingegneri – è solo la punta dell’iceberg di una questione più complessa. Il Paese stenta a trovare una strategia in materia di infrastrutture. Oggi forse la vera questione non è chiedere maggiori risorse pubbliche ma utilizzare al meglio quelle esistenti. Le norme in materia di appalti tuttavia non aiutano ed è da qui che occorre ripartire per ritrovare la strada della crescita.” 

Metà del tempo per realizzare una infrastruttura è impiegato per espletare procedure amministrative

Il ridimensionamento della capacità di investimento nel nostro Paese è il risultato della crisi del 2008 e delle conseguenti politiche di contenimento della spesa dello Stato e dei tentativi di rientro del debito pubblico. Certamente, però, le norme in materia di appalti e la complessità delle procedure burocratiche connesse alla realizzazione di un’opera pubblica non hanno contribuito a migliorare la situazione.

Le norme che presiedono una gara d’appalto sono troppo numerose e, soprattutto, sottoposte troppo di frequente a modifiche. Ciò rende difficile “consolidare” e utilizzare efficacemente le procedure che ne derivano e rende anche difficile conoscerle opportunamente; ciò vale per tutti i soggetti che intervengono in una gara, ovvero le stazioni appaltanti, i professionisti e le imprese appaltatrici. A questo si aggiungono procedure di validazione, di verifica e di controllo operate dalle Pubbliche Amministrazioni, tali da dilatare, a volte a dismisura, i tempi di realizzazione. 

Sorprende sempre – anche se si tratta di dati pubblicati periodicamente e quindi abbastanza noti – sapere che in Italia il 54% del tempo di realizzazione di un’opera pubblica è occupato da procedure burocratiche legate a controlli, valutazioni, validazioni, autorizzazioni ed altre attività amministrative (c.d. tempi di attraversamento). Ciò significa che mediamente poco più di metà del tempo non è impiegato per la realizzazione materiale di una infrastruttura, ma per attività desk di tipo burocratico. Per un’opera del valore compreso tra 500.000 euro e 1 milione di euro, i tempi medi di completamento sono di 5 anni dei quali 3 anni occupati da procedure amministrative. Per opere superiori a 100 milioni di euro, il periodo di realizzazione è di almeno 15 anni, con tempi di attraversamento di circa 6 anni.

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L'opinione degli ingegneri sullo Sblocca Cantieri in un'indagine del Centro Studi

Molti dubbi vengono espressi dagli ingegneri in merito alle diverse misure introdotte dalla Legge 55/2019. L’opinione più diffusa tra i professionisti è che il ritorno all’appalto integrato o l’innalzamento della soglia per il subappalto o per l’affidamento di lavori diretti genereranno scarsi effetti se a monte non si procederà alla sostanziale semplificazione delle norme del Codice dei Contratti Pubblici. Norme troppo articolate diventano spesso inapplicabili. Il fatto che in Italia vi siano così tanti cantieri bloccati e così tante risorse sprecate, in un momento di crisi, è determinato in larga misura da procedure burocratiche che in parte occorrerebbe eliminare.

L’indagine realizzata dal Centro Studi CNI – prosegue Zambrano - sulla percezione degli ingegneri in merito alla Legge Sblocca Cantieri rivela un problema che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno sembra in grado di risolvere: ovvero la farraginosità, oltre che la sovrabbondanza, di norme che regolano le gare d’appalto. Più del 70% degli intervistati indica che il primo passo dovrebbe essere la semplificazione delle norme, altrimenti ogni misura di stimolo sarà solo un’arma spuntata. Anche il ritorno all’appalto integrato resta una questione molto controversa tra i professionisti. Il CNI ribadisce la propria contrarietà. Non possiamo lamentarci di opere incompiute e di costi che lievitano continuamente e poi ritornare ad un metodo che fa delle varianti in corso d’opera la propria ragion d’essere.”

L’affidamento dei cantieri più complessi ai commissari speciali è una misura considerata risolutiva da appena l’11% dei professionisti; la sospensione delle norme più controverse del Codice dei Contratti Pubblici sarebbe utile solo per il 4% degli intervistati, così come l’istituzione di una struttura centrale per la progettazione, dipendente dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, è considerata come scarsamente efficace da più del 60% degli intervistati.

Infine, strumenti di partecipazione (come il débat publique francese) alle decisioni per la progettazione di una infrastruttura o l’analisi costi-benefici, possono avere qualche rilevanza nella scelta iniziale tra più opzioni possibili e concorrenti ma non possono divenire, secondo l’opinione degli ingegneri, uno strumento per ritornare sulla decisione di realizzare un’opera infrastrutturale già programmata e finanziata, o per deciderne di dettagli operativi.

“Occorre andare al punto della “questione infrastrutturale” che riguarda il nostro Paese – afferma Giuseppe Margiotta, Presidente del Centro Studi CNI - e decidere se vogliamo cambiare passo o se vogliamo rimanere in una sorta di palude, dovuta più che alla crisi finanziaria ad una mancanza di visione strategica. Forte è l’impressione che negli ultimi 10 anni si sia tentato di rilanciare il settore delle opere pubbliche e delle costruzioni creando una serie di controlli che appesantiscono il lavoro delle stazioni appaltanti e che non aggiungono nulla alla qualità dell’azione pubblica. Abbiamo addirittura pensato di demandare la decisione se realizzare opere strategiche a metodi come l’analisi costi-benefici, strumenti che servono a comprendere meglio il contesto in cui si colloca un’opera pubblica ma che non sono strumento idoneo a decidere in un Paese come il nostro, che di converso non riesce ad incrementare la propria capacità competitiva. Giustamente gran parte degli ingegneri valuta questi strumenti come irrilevanti, non in sé, ma in relazione alla complessità della questione infrastrutturale oggi”.

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