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Il ricordo dell’esperienza di Vittorio Gregotti a Palermo

Andrea Sciascia: ricordare da Palermo Vittorio Gregotti implica la scelta di un punto di vista particolare per inquadrare un’esperienza culturale e architettonica fra le più significative

Ricordare da Palermo Vittorio Gregotti implica la scelta di un punto di vista particolare per inquadrare un’esperienza culturale e architettonica fra le più significative nell’intervallo cronologico che si estende tra la metà del XX e i primi vent’anni del XXI secolo.

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Figura 1 - Vittorio Gregotti 

Tale peculiare prospettiva dalla Sicilia sembrerebbe costringere questo tipo di osservazione attraverso una lente poco trasparente in grado di attenuare qualsiasi bagliore, definendo la figura di Gregotti con toni spenti. Infatti, la città della Conca d’Oro è il luogo in cui è stato costruito l’ampliamento del quartiere Zona Espansione Nord, il cosiddetto ZEN 2, progettato da Franco Amoroso, Salvatore Bisogni, Vittorio Gregotti, Franco Purini e Hiromichi Matsui. Intervento che – dopo avere ricevuto nei primi anni Settanta grandi attenzioni e apprezzamenti a livello nazionale e internazionale e avere influenzato altri quartieri residenziali pubblici europei – dagli anni Ottanta del XX secolo in poi, cioè da quando sono state realizzate le insulae, è stato oggetto di critiche feroci.

La narrazione che si propone, in realtà, assume lo ZEN 2 come una sintesi riuscita, sulla quale tornare a riflettere, tra l’eredità del Movimento Moderno e alcune letture attente del nucleo antico di Palermo. Quindi, il punto di partenza è il totale ribaltamento delle critiche spesso apodittiche, avanzate soprattutto da parte di chi, ad esempio, non conosce la profonda differenza esistente tra le suddette insulae affidate ai legittimi affittuari (assegnatari) e quelle occupate abusivamente. Partendo da tale capovolgimento di angolazione critica, quella che potrebbe sembrare una scelta periferica e “opaca”, si trasforma nel luogo dal quale forse con più facilità si può rivedere e quindi ricordare una ricerca, quella di Gregotti, che ha animato con profondità e intensità, per circa settant’anni, il dibattito architettonico europeo.

Il pensiero teorico e l’architettura di Vittorio Gregotti negli anni siciliani

Il ritratto che emerge dalla Sicilia è sicuramente un frammento – una piccola porzione rispetto all’impegno di Gregotti – ma sono anni particolarmente significativi nei quali dei capisaldi del suo pensiero teorico hanno la possibilità di prendere corpo in alcune realizzazioni. Dall’interazione di questi due ambiti – riflessione teorica e pratica del progetto – Gregotti mette a fuoco la sua nozione di “modificazione” e una densità di argomentazioni sulle quali continuerà a riflettere, sempre con maggiore profondità, negli anni a venire. Nel cuore di questa grande speculazione intellettuale è sempre presente una architettura pensata per durare nel tempo ed esito di un impegno civile.

«Contro le teorie che la interpretano come stato provvisorio di una narrazione, io credo che la figura fisica, disegnata o costruita che l’architettura assume, il suo stato di opera sia certamente un momento di una lunga meditazione narrativa, ma credo anche che in essa quel materiale si trasformi prima in progetto concreto e poi in costruzione per diventare solo successivamente, per il percettore, narrazione. Questo non significa cioè che il soggetto progettante non muova, oltre che dalla razionalità della soluzione del problema, da sentimenti, memorie, emozioni, dalla propria storia personale e dalla partecipazione a quella collettiva; ma questo deve trasformarsi in materiale architettonico attraverso tutto il peso della sua promessa di durata, dove la provvisorietà della narrazione diventa materiale di costruzione, per ridiventare, una volta compiuta, un’esperienza narrativa per altri soggetti e per la stessa architettura»1.

Ma procediamo con ordine. Gregotti arriva a Palermo nel 1968, come professore Ordinario di composizione architettonica della Facoltà di Architettura e vi rimane sino al 1974. La prima edizione del Territorio dell’architettura è del 1966, di un anno posteriore al numero di «Edilizia moderna», intitolato La forma del territorio. Sui temi approfonditi nel volume edito dalla casa editrice Feltrinelli, si fonda il suo insegnamento a Palermo e sempre nel capoluogo siciliano, negli stessi anni, in particolar modo nel 1969, ha la possibilità di progettare, il quartiere ZEN, per l’appunto, e i Dipartimenti di Scienze dell’Università di Palermo (Vittorio Gregotti, Gino Pollini con S. Azzola, R. Brandolini, C. Fronzoni, H. Matsui). Sempre del 1969 è il progetto, non realizzato, per la nuova sede dei grandi magazzini La Rinascente (V. Gregotti, H. Matsui, F. Purini)2. Dopo il 1969 Vittorio Gregotti ha redatto centinaia di altri progetti, forse complessivamente un migliaio, e dopo Il Territorio dell’architettura ha scritto molti altri libri, saggi ed editoriali, ma si ribadisce che i sei anni di insegnamento a Palermo sono stati un periodo determinante nella sua esperienza di docente e progettista. 

La tesi che si propone trova un chiaro riscontro nel confronto tra i due progetti palermitani del 1969, alcuni temi definiti prima della trasferta nel capoluogo siciliano e le ulteriori considerazioni maturate nella successiva direzione della rivista «Casabella».

Quartiere ZEN 2 e Dipartimenti di Scienze dell’Università di Palermo

Per conoscere il quartiere ZEN 2, i Dipartimenti di Scienze dell’Università di Palermo e, più in generale, il pensiero e l’architettura di Gregotti, la bibliografia a cui riferirsi è sterminata e quindi, per ragioni di sintesi, si rimanderà soltanto ad alcune pubblicazioni che sono state occasione di personale riflessione.

In particolare, Tra le Modernità dell’architettura. La questione del quartiere ZEN 2 di Palermo3, ricostruisce le vicende del quartiere dal concorso bandito dall’Istituto Autonomo Case Popolari del capoluogo siciliano nel 1969 sino ai primi anni 2000; una scheda sui Dipartimenti di Scienze, contenuta in Luigi Figini e Gino Pollini. Opera completa4, descrive il modo in cui si fondono i contributi di Gregotti e Pollini con il tema della geografia del sito.

Sulla questione del quartiere ZEN 2 di grande interesse è il saggio di Franco Purini intitolato Il mio contributo allo ZEN 25, nel quale ricorda quanto rilevante sia stato, attraverso il suo apporto, l’influsso, nel progetto del quartiere palermitano, del razionalismo italiano e, in modo specifico, quello dell’architettura di Giuseppe Terragni. Tale contributo è evidente nelle insulae realizzate e, ancor prima, in modo palese, nei molti disegni dello stesso Purini. Fra questi le prospettive sono determinanti per la costruzione e la comprensione del progetto, permettendo di cogliere l’interazione fra il rigore della geometria dell’insediamento e le caratteristiche del luogo.

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Figura 2 - Veduta prospettica dal Monte Pellegrino del quartiere ZEN 2.

Sempre per lo ZEN 2 è bene ricordare che, senza mai giungere a una realizzazione completa, il progetto vincitore fu sottoposto a cinque varianti; nel 1978, anno in cui furono aggiudicate le prime gare d’appalto, il presidente dell’I.A.C.P. Antonino Cangemi Leto – che molto si era impegnato per la realizzazione del quartiere – si dimise e quasi contemporaneamente il gruppo di progettazione fu estromesso da qualsiasi ruolo nella realizzazione del quartiere. E ancora, nei primi anni Ottanta, quando il quartiere, privo delle opere di urbanizzazione primaria, fu in buona parte occupato abusivamente.

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Figura 3 - Planimetria generale dello ZEN 2.

Questa estrema sintesi è poca cosa rispetto a una completa narrazione dei fatti, ciononostante si continua ad attribuire al progetto e, in particolare, al solo Gregotti il degrado sociale del quartiere. In merito a questa impropria associazione si ricordano le parole di David Harvey: «Attribuire alla forma fisica, concreta, la responsabilità dei mali sociali significa far uso del più volgare tipo di determinismo ambientale che pochi sarebbero disposti ad accettare in altre circostanze (anche se noto con disagio che un altro membro del gruppo dei consiglieri del principe Carlo è la geografa Alice Coleman che regolarmente scambia per rapporto di casualità la correlazione fra cattivo progetto e comportamento antisociale). È interessante notare, perciò, come i residenti dell’“habitat per vivere” di Le Corbusier a Firminy–le–Vert si siano organizzati in movimento per impedire la sua distruzione (non per una particolare fedeltà a Le Corbusier, direi, ma più semplicemente perché si trattava delle loro case)»6.

Nel 2003 scrivevo: «Simile alla reazione degli abitanti dell’Unité di Firminy–le–Vert è stata quella degli abitanti dello ZEN 2 che con forza si sono dichiarati contrari all’ipotesi di demolire le insulae, proposta nel 1995 dal disegno preliminare del nuovo P.R.G. A questa difesa “autoctona” si è accompagnata anche quella di Vittorio Gregotti che, avendo rivisto il quartiere nella primavera del 1999, dopo avere scritto e dichiarato molte volte che il quartiere andava raso al suolo e ricostruito così come era previsto nel progetto originario, ha cambiato idea accorgendosi che almeno un quarto delle insulae era in perfetto stato e che gli abitanti, non a caso i legittimi affittuari, avevano grande cura, oltre che delle proprie case, anche degli spazi pubblici, pur avendo da pochissimo tempo fognature acqua e luce. “La presenza di queste famiglie normali che hanno dovuto subire l’ostilità di tutti” ha fatto cambiare idea al progettista novarese»7.

I Dipartimenti di Scienze si segnalano, al pari del quartiere di edilizia economica e popolare, per una grande chiarezza e rigore d’impianto e nella contrapposizione fra esterni austeri – definiti da Manfredo Tafuri «spalti di fortezza»8 e la ricchezza spaziale degli interni. Tale caratteristica, presente in tanti altri progetti di Gregotti, a Palermo si arricchisce per una specifica attenzione al tema della struttura, e alle geometrie realizzate dalla maglia 7,20 per 7,20 in cemento armato precompresso. Questa attenzione al ruolo spaziale della struttura ha caratterizzato in modo costante il lavoro di Gino Pollini e Luigi Figini che lo avevano esplorato sin dai tempi dei progetti concorsuali per il Palazzo del Littorio (1934) e per le Scuole di Brera (1935).

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Figura 4 – Dipartimenti di Scienze dell’Università di Palermo.

Le analogie tra i due progetti palermitani di Vittorio Gregotti

Il quartiere ZEN 2 e i Dipartimenti hanno, rispetto ai luoghi in cui ricadono nella planimetria di Palermo, un ruolo comune; il quartiere doveva essere la conclusione a nord della città ponendosi come punto di arrivo del prolungamento di via Libertà, previsto nel P.R.G. del 1962 e fortunatamente mai realizzato perché avrebbe travolto quelle poche ville storiche con i relativi giardini che hanno resistito all’onda di piena dell’espansione palermitana. I Dipartimenti sono realmente la testata conclusiva dell’asse attorno a cui si struttura la cittadella universitaria e le piazze del progetto di Gregotti e Pollini, sulle quali si innesta la parte estrema di viale delle Scienze, il luogo d’incontro dell’intera comunità universitaria.

Molte sono le analogie tra i due progetti ma, almeno in parte, diversi sono stati i loro destini. [...]

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ndr. Si ringrazia il Dipartimento di Architettura dell'Università di Palermo, ente associato all'Istituto Nazionale di Urbanistica, per la preziosa collaborazione.


1. Vittorio Gregotti, Architettura, Tecnica, Finalità, Laterza, Roma – Bari 2002, p. 86.
2. Circa dieci anni dopo, nel 1976, ci sarà il Piano Particolareggiato 167 per Cefalù (Palermo) – Gregotti Associati (P. Cerri, V. Gregotti, H. Matsui, P. L. Nicolin, B. Viganò), con S. Azzola, G. Clerici, I. Rota. E ancora nel 1984 la ricostruzione di Piazza Madrice a Menfi (Agrigento) – Gregotti Associati (A. Cagnardi, P. Cerri, V. Gregotti), con M. Galantino, R. Lofranca, S. Butti, R. Cattaneo).
3. Andrea Sciascia, Tra le modernità dell’architettura. La questione del quartiere Zen 2 di Palermo, L’Epos, Palermo 2003. 
Altre pubblicazioni sul quartiere Zen sono:
Andrea Sciascia, Le stigmate mediatiche e il quartiere Zen, in «Il Giornale dell’Architettura», n. 53, 2007, p. 37.
Andrea Sciascia, Quando i recinti tracimeranno. Lo sprawl e le insulae dello Zen 2. In A. Badami, M. Picone, & F. Schilleci (a cura di), Città nell'emergenza. Progettare e costruire tra Gibellina e lo Zen (pp. 293-298), Palumbo, Palermo 2008.
Andrea Sciascia, Frammenti di città e periferie: i quartieri Borgo Ulivia e Zen di Palermo. In D. Costi (a cura di), Casa pubblica e città. Esperienze europee, ricerche e sperimentazioni progettuali, Monte Università Parma Editore, Parma 2009, pp. 188-199.
Andrea Sciascia, Palermo: periferie e città contemporanea. Progetti per i quartieri Borgo Ulivia e Zen, in Claudio D'Amato (a cura di), Il progetto di architettura fra didattica e ricerca, Polibapress, Bari 2011, pp. 1137-1146.
Andrea Sciascia, Periferie e città contemporanea. Progetti per i quartieri Borgo Ulivia e Zen a Palermo, Caracol, Palermo 2012.
Andrea Sciascia, Il progetto del quartiere Zen 2, in Il contributo e l’eredità di Salvatore Bisogni, In «FAM» Quaderni vol. 1, 2019, pp.131-137.
4. Andrea Sciascia, Piano urbanistico di sistemazione dell’ex parco d’Orléans e nuovi dipartimenti di scienze dell’Università di Palermo, in Vittorio Gregotti e Giovanni Marzari (a cura di), Luigi Figini e Gino Pollini. Opera completa, Electa, Milano 1996, pp. 432-436.
5. Franco Purini, Il mio contributo allo Zen 2, in Andrea Sciascia, Periferie e citta contemporanea. Progetti per i quartieri Borgo Ulivia e Zen a Palermo, Caracol, Palermo 2012, p. 45-53.
6. David Harvey, La crisi della modernità, il Saggiatore, Milano 1993, p. 146.
7. Andrea Sciascia, Tra le modernità dell’architettura. La questione del quartiere Zen 2, op. cit. pp. 73-74.
8. Manfredo Tafuri, Vittorio Gregotti. Progetti e architetture, Electa, Milano 1982, p. 17.

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