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L'Indebolimento Virale del BIM e l'Insorgenza Vaccinale della Digitalizzazione

Una riflessione di Angelo Ciribini

Si è osservato, più volte, come, sia per via dell'estensione progressiva dei suoi ambiti di applicazione sia a causa di limiti intrinseci, la locuzione Building Information Modeling abbia ormai perso un significato puntuale, come riconosce, magistralmente, la definizione relativa in italiano proposta dal BIM Dictionary.

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Indebolimento virale del BIM

L'acronimo BIM, a questo proposito, nel momento in cui tende a rappresentare il tutto attraverso una parte, è ovviamente destinato progressivamente a lasciare il posto al termine digitalizzazione, a diluire la sua «carica virale» in essa, come affermato in più e più occasioni.

Alla stessa stregua, lo si è rilevato ripetutamente, ciò che l'emergenza pandemica ha fatto è probabilmente l'aver funto da acceleratore della trasformazione digitale che, dunque, pone al centro non più il modello informativo, bensì l'ambiente di condivisione dei dati.

In altre parole, ciò che sta accadendo è che, tutto sommato, lo si è detto innumerevoli volte, la modellazione informativa è stata molto spesso asservita alle logiche settoriali convenzionali di committenti, di professionisti (prevalentemente) e di imprenditori, ma, soprattutto, ha risposto, in maniera sincopata, con profonde cesure alla transizione di fase temporale e processuale, alle esigenze dell'approccio documentale, con ricadute certo positive (per il novero ristretto di coloro che la hanno adottata), ma non decisive.

Tutto questo, nel migliore dei casi, ha condotto a un relativo miglioramento delle prassi tradizionali, ben lungi, tuttavia, dalle aspettative di cambi di paradigma epocali, circoscrivendone, al contempo, la portata.

Tra l’altro, la affermazione della autentica cultura digitale richiede molto più tempo e molto meno clamore della cosiddetta «rivoluzione BIM».

Detto altrimenti, il «BIM», nonostante i roboanti proclami in tal senso, ha stentato fortemente ad affrancarsi dal contesto analogico in cui erano, e sono attualmente, immersi gli operatori economici nella loro maggior porzione.

D’altro canto, «essere in BIM» oppure «fare il BIM» sono rapidamente divenute espressioni retoriche: tanto irrinunciabili quanto relativamente poco significative.

Insorgenza vaccinale della digitalizzazione

Come è, a questo punto, palese, la situazione emergenziale ha posto in evidenza l'insufficienza di una simile condizione, poiché le organizzazioni, più o meno preparate a lavorare, in maniera coattivamente collaborativa, a distanza, hanno dovuto constatare come ciò che valesse fosse non tanto la dematerializzazione, o nel caso specifico,la parametrizzazione, quanto la necessità di disporre di ecosistemi digitali, ambienti o piattaforme, che permettessero il fluire dei dati (numerici e computazionali) secondo modelli e strutture, relazioni, ontologie e semantiche, senza soluzione di continuità.

Di fatto, la svolta pandemica non ha di sicuro evidenziato buone pratiche, se non per coloro che fossero già stati attrezzati in presenza, ma ha, all’interno di uno straordinario esperimento sociale involontario, posto, irreversibilmente, l’interezza del mercato nella necessità di agire digitalmente.

Il «BIM», pertanto, appare ormai come un utile, non secondario, configuratore di dati strutturati che, peraltro, deve iscriversi in un universo assai più ampio, tale per cui non sia il resto a essere conforme a esso, ma, al contrario solo modelli informativi coerenti con le istanze informative complessive potranno essere associati a flussi di lavoro informativi e decisionali, governati, o almeno supportati, dai dati.

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Dato che, naturalmente, tale esigenza è stata sinora soddisfatta in maniera piuttosto limitata, emerge un clamoroso spostamento della focalizzazione dalla modellazione informativa (in buona parte, ancora solo geometrico-dimensionale, più rivolta alla rappresentazione che non alla simulazione) alla gestione informativa.

Il portato di questa constatazione, piuttosto ovvia, è che i mezzi, vale a dire gli strumenti, concepiti per la produzione o per l'uso dei dati, divengano relativamente trascurabili a fronte dei dispositivi che ne permettono la gestione: che si chiamino, ad esempio, piattaforme digitali (per il marketplace), ambienti di condivisione dei dati, gemelli digitali, o in altro modo, ciò che conta, tanto più ampliando l'ambito di applicazione digitale, dalla fase di committenza e da quella di progettazione a quelle di esecuzione e di gestione, è, appunto, la capacità di abilitare i soggetti a sfruttare al meglio i dati collegati e sincronizzati.

Il punto, però, è che questa, fondamentale, aspettativa, comporta una, altrettanto decisiva, conseguenza: l'introduzione diretta, non mediata, del dato nei processi di carattere decisionale, avvia la, sia pur lenta, sparizione della centralità del documento, fisico o dematerializzato.

Occorre ripeterlo: la generica sensibilità che la condizione di digitalizzazione coatta ha indotto negli attori per integrare i flussi di dati nei processi decisionali non potrà che esitare, in futuro, nella centralità del dato come fattore di attuazione nei modelli dei processi decisionali, espungendone progressivamente il documento quale veicolo di trasmissione e di transazione.

Ciò significa che le logiche con cui il vecchio universo analogico del settore della costruzione e dell’immobiliare ha da sempre operato saranno radicalmente sconvolte.

Il fatto che le filiere e le catene che denotano il settore della costruzione e dell'immobiliare siano sempre più agite dai dati, numerici e computazionali, implicando apparati mentali e prassi operative inedite, che potrebbero innescare una profonda riconfigurazione del mercato, non ha, in effetti, nulla, o ha ben poco, a che fare con una innovazione incrementale, caratteristica del cosiddetto BIM.

E' questa la ragione per cui i data dictionary previsti recentemente dalla norma EN ISO 23386 oppure gli ontology language, sempre oggetto di normativa nei prossimi anni, risulteranno oggetto della posta in gioco per definire i rapporti negoziali tra gli operatori economici.

Sfortunatamente, nonostante la grande attualità e popolarità di questi temi tra le limitate cerchie degli addetti ai lavori, si tratta di questioni assai astruse agli occhi della maggior parte degli attori, a cui, del resto, è stata sovente proposta una versione rassicurante del «BIM», tendenzialmente analogica, cioè affine al vecchio mondo, che è destinalmente incompatibile. 

E' chiaro, però, vale la pena ripeterlo, che laddove si accetti di operare entro ecosistemi autenticamente digitali sarà il dato a suggerire, se non a innescare, come prevede la normativa UNI EN ISO 19650, le decisioni: nasce un nuovo mondo, obbligante, ancor più che necessitato, non per questo auspicabile, ma difficilmente evitabile.

Il settore interamente governato da dati interpretabili dalle macchine è, peraltro, probabilmente ancora molto lontano, ma, in fondo, la stessa idea di inter-operabilità rimanda al Data Modeling, ben prima che non all’Information Modeling e, in ultima analisi, la nozione di trans-operabilità, che si sta timidamente affacciando, illustra il passaggio da uno scambio, per così dire, statico a uno dinamico.

Bisogna comprendere, perciò, che la ricostruzione socio-economica del Paese, a prescindere da eventuali imponenti flussi finanziari derivanti dalle politiche pubbliche di deficit spending, consentirà prevalentemente la sopravvivenza ai soggetti che sapranno dimostrare di generare valore, attraverso le metriche alimentate dai dati.

Se così non fosse, e in verità molto indizî lo suggeriscono, collo European Recovery Plan il settore avrebbe gettato al vento una occasione epocale, irripetibile.

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