La SCIA ha da tempo acquisito un ruolo fondamentale all’interno dell’ordinamento nazionale, soprattutto a seguito dei numerosi interventi legislativi che, negli ultimi anni, hanno cercato di semplificare i procedimenti amministrativi e di liberalizzare numerose attività precedentemente sottoposte alla potestà amministrativa. In tale contesto una delle questioni principali riguarda l’individuazione dei rimedi impugnatori volti a garantire ai terzi adeguate tutele rispetto alle attività sottoposte alla SCIA.
La questione dell’impugnabilità della SCIA da parte del terzo è stata oggetto forte dibattito giurisprudenziale e dottrinale, all’interno del quale, a partire dai primi anni duemila, erano emerse due diverse tesi.
Per dirimere il contrasto è intervenuta solo nel 2011 l’Adunanza del Consiglio di Stato che ha provveduto a qualificare la natura della SCIA, affermando a chiare lettere che la SCIA è un atto di natura privatistica e non un provvedimento amministrativo, neppure a formazione tacita.
Investita della questione, in tale sede l’Adunanza ha avuto anche modo di soffermarsi anche sui rimedi impugnatori della SCIA riconosciuti dall’ordinamento da parte del terzo, precisando che i terzi controinteressati ritenuti lesi della SCIA possono unicamente impugnare il silenzio significativo negativo dell'amministrazione formatosi in seguito al decorso del termine per esercitare il potere inibitorio nei confronti del titolo presentato.
In semplici parole, viene così consentita l’impugnabilità della SCIA mediante l’esercizio dell’azione di annullamento avverso al silenzio (ex art. 29 c.p.a.). Nello specifico per utilizzare le parole del Consiglio di Stato “a differenza del silenzio rifiuto, che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo e privo di valore provvedimentale, il silenzio di che trattasi, producendo l'esito negativo della procedura finalizzata all'adozione del provvedimento restrittivo, integra l'esercizio del potere amministrativo con l'adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell'adozione del provvedimento inibitorio”.
Il successivo passo, volto a recepire il contenuto della sentenza della Plenaria, è poi stato intrapreso dal legislatore il quale nel modificare l’assetto normativo si è tuttavia in parte discostato dalle conclusioni espresse dal massimo consesso amministrativo, andando a limitare parzialmente i rimedi impugnatori esperibili dal terzo rispetto alla SCIA.
Con l’introduzione del comma 6-ter all’art. 19 della l. 241/1990 il legislatore ha invero previsto che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104” (comma introdotto con l. 148/2011).
Il comma in questione ha infatti operato su due fronti:
Il quadro delineato dall’art. 19 comma 6 ter l. 241/1990 è stato però oggetto di ulteriori dibattiti giurisprudenziali e dottrinali per cercare di comprendere quali fossero i limiti dell’affidamento del privato segnalante rispetto ai poteri di controllo esercitabili dall’amministrazione e quali tutele spettassero al terzo per salvaguardare i propri interessi rispetto alle attività intraprese dal segnalante.
Nello specifico il dibattito si era concentrato sulla formulazione, del comma 6 ter dell’art. 19, che era stata tacciata di essere lesiva dell’affidamento posto in capo al segnalante in quanto non previsto un termine ultimo per l’esercizio dei poteri sollecitatori da parte del terzo interessato all’esercizio dei poteri inibitori dell’amministrazione.
La svolta è poi giunta dal TAR Firenze che con l’ordinanza interlocutoria n. 667/2017 ha richiesto alla Corte costituzionale di riscontrare al seguente quesito: “Va rimessa alla Corte Costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6, par. 3, del Trattato UE, e 117, comma 2, lett. m), Cost., la questione di legittimità dell'art. 19, comma 6-ter, l. 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui omette di prevedere il termine entro il cui il terzo può avanzare l'istanza di sollecitazione delle verifiche sulla S.C.I.A.”.
Investito della questione il giudice delle leggi, pur evidenziando l’importanza di prevedere nell’ordinamento nazionale termini certi che garantiscano la tutela dell’affidamento del privato, ha affermato che, ai sensi dell’art. 19, comma 6 ter, l. 241/1990 l’amministrazione è pur sempre limitata all’esercizio dei soli poteri espressamente riconosciuti dalla legge (precisamente individuati dall’art. 19 l. 241/1990).
Si legge infatti nella sentenza che: “Le verifiche cui è chiamata l'amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall'art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (oggi pari a dodici mesi n.d.r.) (comma 4, che rinvia all'art. 21-novies)”.
Per il giudice delle leggi, infatti, una volta decorsi gli anzidetti termini (30 e 60 giorni per il controllo e 12 mesi per l’autotutela) la situazione soggettiva del presentatore della SCIA si viene a consolidare in via definitiva sia nei confronti dell’amministrazione che del terzo eventualmente pregiudicato dall’attività sottoposta a segnalazione.
In questo modo la Corte costituzionale giunge a ritenere che l’interesse del terzo all'esercizio del controllo amministrativo trova un limite invalicabile nei termini espressamente previsti dalla legge riconosciti in capo all’amministrazione, con conseguente estensione della tutela dell’affidamento del privato segnalante, il quale non potrà in alcun modo essere destinatario di provvedimenti amministrativi anche laddove sollecitati da eventuali terzi ritenuti lesi dall’attività liberalizzata.
A riprova della bontà del ragionamento la Corte costituzionale ha inoltre evidenziato che la stessa formulazione adottata dal legislatore (“Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione (…)”) fa espresso richiamo a quell’insieme di poteri di verifica, limitati temporalmente, che l’amministrazione detiene solo in forza dell’espressa previsione di legge.
In questo modo:
L’assetto ad oggi vigente consente di trovare un delicato equilibrio tra la tutela del terzo denunciante e, altresì, l’affidamento del privato segnalante che non si trova a doversi scontrare con il possibile esercizio di un potere - temporalmente illimitato - da parte dell’amministrazione pubblica.
In conclusione, in tale quadro normativo e giurisprudenziale, il terzo ad oggi si trova alternativamente a poter:
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