Semplificazione
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Andare oltre la “semplificazione”: utopia o prospettiva credibile?

Un'attenta analisi di Giovanni Cardinale sulle principali novità del DL Semplificazioni relative ai contratti pubblici.

Il Decreto Legge 31 maggio 2021, n. 77, nel disegnare uno scenario finalizzato principalmente alla attuazione del PNRR, suggerisce riflessioni di più ampia prospettiva.

Ecco l'attenta analisi dell'ing.Giovanni Cardinale, Vice Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri.


La lettura del testo, se da un lato conferma l’assoluta opportunità di evitare di commentare sulla stampa e sui social le bozze che circolano prima della pubblicazione ufficiale, dall’altro può far cambiare direzione ad un dibattito tra i vari attori del processo ancora troppo spesso orientato alla superficialità delle ormai solite parole d’ordine che servono a dividere il popolo dei favorevoli, da quello degli scettici e dei contrari, da quello, infine, di coloro che “se non posso avere il meglio allora nulla mi interessa del bene”.

Un dibattito che, spesso, neanche lambisce un aspetto rilevante che la dice lunga sul sistema dei contratti pubblici negli ultimi decenni, che ho cercato di portare all’attenzione del Ministro e di altri autorevoli interlocutori nella specifica sessione del recente 65^ Congresso nazionale degli Ordini: le varie normative, i processi di “semplificazioni” calati dall’alto, non hanno portato qualità delle opere, qualificazione delle stazioni appaltanti e delle imprese, ricchezza e lavoro; la ricchezza che viene dal lavoro, dalla sua giusta remunerazione che consente investimenti in innovazione e competitività oltre che in sicurezza dei lavoratori.

Il sistema delle imprese è profondamente cambiato e certo ci sono ragioni profonde se le nostre imprese sono apprezzate e competitive sul mercato estero mentre le imprese straniere hanno una presenza marginale nella competizione per lavori sia pubblici che privati; ragioni che non affondano le loro radici solo nelle normative sugli appalti ma che dovrebbero comunque indurre a riflessioni più approfondite e più appropriate perché il successo del PNRR dipende anche dalla soddisfazione economica e sociale che i vari soggetti potranno trarre da un contratto pubblico.

L’obbligo di avere strumenti efficaci ed efficienti di capacità di spesa in termini di rispetto di budget e tempi riporta prepotentemente al centro del dibattito politico istituzionale “la tecnologia invisibile”, ovvero il sistema di regole e procedure che regolano i contratti, definendo le condizioni generali e speciali in cui si inquadra la costruzione dell’opera.

 

Le sfide per portare al successo il PNRR

Il decreto va al cuore del problema perché sancisce che non potremo diventare un paese efficiente con un colpo di bacchetta magica, e che necessariamente, visti i tempi ridotti in cui le opere dovranno essere in esercizio, dovremo utilizzare un componente essenziale della ricetta: mettere le azioni in parallelo.

L’analisi del suo titolo è fondamentale per valutarne i contenuti ed ipotizzare gli esiti; esso, infatti, contiene due principi ispiratori:

  • a. Definire la Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza
  • b. Definire le prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure.

Assolutamente lucida ed organica nel richiamare gli aspetti più innovativi del decreto è l’analisi che su questa testata ha fatto qualche giorno fa la prof.ssa Sara Valaguzza allorchè ha evidenziato e descritto le “… tre chiavi di lettura che consentono di valorizzare il testo: sincerità, collaborazione e pragmatismo”.

La sfida reale, infatti, è quella di non catalogare questo decreto come l’ennesimo atto di “semplificazione” nella assurda idea che “semplificare” sia la sola ricetta necessaria; al contrario dovremmo sforzarci di leggerlo per quello che, a mio avviso, vuole essere: un metodo di gestione della complessità in un momento speciale caratterizzato da emergenza sanitaria, economica e sociale (“l’approccio banalizzante della semplice semplificazione, che è finito presto per essere sempliciotto, oltre che semplicistico. Le complessità vanno governate; eliminarle non sempre è possibile e talvolta non è nemmeno la soluzione migliore. La disfunzione invece sì che va eliminata, quando l’ipertrofia normativa annienta il risultato.” (S. Valaguzza))

 

La “gestione della complessità” e le competenze della Governance

E proprio alla “gestione della complessità” è dedicata la prima parte del decreto che contiene aspetti potenzialmente molto innovativi se pure scritti e pensati per la eccezionalità del PNRR.

Del resto il verso successo del piano sarà proprio riuscire a trasformare il necessario “momento tattico”, finalizzato al raggiungimento dei traguardi imposti dall’Europa, in un processo strategico di trasformazione radicale di questo settore: mentre l’economia beneficia di risorse mai viste, il Paese cresce e si prepara a cambiamenti strutturali che resteranno ben oltre il limite temporale imposto per l’utilizzo di questi fondi.

La chiara volontà di definire una Governance specifica per l’attuazione del Piano è la più limpida ammissione della incapacità dell’attuale sistema di far fronte alle complessità ed alla gestione della variabile tempo come, del resto, il decreto dice con chiarezza (art.2, art. 5) quando disegna gli strumenti con il compito individuare “… gli ostacoli all’attuazione corretta e tempestiva delle riforme e degli investimenti….” ed elaborare “…proposte per superare le disfunzioni derivanti dalla normativa vigente..”.-

Credo che mai, con un decreto, si sia detta una parola così convincente per chiudere definitivamente un dibattito (“codice appalti si, codice appalti no, direttive ecc.”), tutto incentrato solo sulle fasi di selezione ed affidamento del contraente.

Tra i diversi strumenti che il decreto istituisce per definire (Parte I) la Governance per il PNRR, assumono un ruolo centrale l’Unità per la razionalizzazione ed il miglioramento della regolazione e l’Ufficio per la semplificazione ma, accanto ad essi, assume rilievo il Comitato speciale costituito presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (art. 45), nel quale saranno presenti anche rappresentanti delle professioni tecniche: un modo chiaro e concreto di attuare una visione larga in cui capacità di indirizzo, pianificazione, gestione, controllo, monitoraggio, assumono, finalmente, un ruolo decisivo.

Dare valore al tempo in cui una esigenza sociale (avere una strada, una fognatura, una scuola) deve essere soddisfatta; capire che le attività complesse richiedono capacità gestionali (best option-best planning); mettere l’esercizio della responsabilità e le competenze reali al centro di ogni affidamento: la Governance assume, in questa direzione, il significato di una managerialità politica e tecnica, di un impegno programmato al rispetto di tempi e costi, nella flessibilità che si impone ad ogni processo edilizio che traguardi con forza il completamento dell’opera ed il soddisfacimento di un’esigenza sociale.

Una Governance competente che fa propria la consapevolezza delle inefficienze del sistema e che, nell’ottica della gestione della complessità, si apre al mondo della conoscenza e delle competenze affermando in modo chiaro (art. 5) la necessità di potenziare “iniziative di sperimentazione normativa, anche tramite relazioni istituzionali con analoghe strutture istituite in Paesi stranieri, europei ed extraeuropei” guardando anche dentro alle “migliori pratiche di razionalizzazione e sperimentazione normativa a livello internazionale” ma anche, e direi soprattutto dando valore ad ipotesi e proposte di razionalizzazione e sperimentazione normativa formulate da soggetti pubblici e privati”.

Parlare di buone pratiche e di capacità di ascolto in un paese tanto ancorato alla consuetudine di norme cogenti “senza se e senza ma”, da trasformare in questa fattispecie anche le Linee Guida dell’ANAC (softlaw??!!) non può che aprirci ad una fiducia in un cambiamento che, forse, l’emergenza drammatica che stiamo vivendo renderà finalmente davvero possibile.

Ritengo che questa apertura debba essere colta da tutta la Filiera delle Costruzioni con una iniziativa propositiva sul “come” concorrere all’attuazione di questo comma.

 

I contratti pubblici nel DL Semplificazioni

 

Importante sarà la collaborazione tra i vari soggetti che concorrono all'opera

Una importante caratteristica del decreto risiede nel disegno di un ampio scenario di collaborazione tra più soggetti, a cominciare dalla trasversalità che coinvolge vari Ministeri interessati.

La speranza è che l’attuazione del PNRR sconfigga definitivamente l’attuale tendenza delle regìe di processo tradizionali previste dal Codice, in cui, il contratto, non è il luogo della collaborazione nel rispetto dei ruoli, ma quello dell’antagonismo di default; il luogo della divisione netta tra progettualità e costruzione, il luogo in cui l’enfatizzazione della centralità del progetto, ha finito per aggiungere un’altra parola d’ordine a quel dialogo tra sordi che procede per “dogmi“.

E’ ben evidente che ogni attività di concezione non può che essere centrale nella dimensione di un processo in cui gli attori non sono avversari di una battaglia quotidiana condotta sulle presunte deficienze dell’uno o dell’altro, ma soggetti che, nel rispetto di ruoli e responsabilità distinte, perseguono, insieme, lo scopo della costruzione dell’opera.

E la Stazione Appaltante non è Notaio ma, finalmente, il leader del processo.

Nel nome della apertura, della collaborazione e della consapevolezza che solo la sinergia tra tutti gli attori del processo garantirà il rispetto degli impegni assunti anche con l’Europa, l’art. 3 instituisce il Tavolo permanente per il partenariato economico e sociale, con lo scopo dichiarato di “..favorire il superamento di circostanze ostative e agevolare l’efficace e celere attuazione degli interventi”. In questo Tavolo, accanto al sistema delle Istituzioni nazionali e locali, siedono “…categorie produttive e sociali.. sistema dell’università e della ricerca e della società civile…”.

Non sarà improprio immaginare che le categorie professionali dovranno far parte di questo tavolo come, in quella visione di prospettive che vanno oltre la contingenza del PNRR, questo articolo di legge può aiutare a portare la macchina, con più velocità, sulla strada delle regie di processo più innovative che, pur presenti nel Codice dei Contratti, e pur spinte dalle Direttive Europee, trovano una marginale applicazione: Partenariato per l’innovazione, offerta competitiva con negoziazione, consultazioni preliminari di mercato, dialogo competitivo. 

Il Decreto, se supportato da una rivoluzione culturale cui tutti gli attori devono dare il loro contributo può aiutarci a coniugare efficienza amministrativa, con competizione, sostenibilità (anche economica per Appaltante ed Appaltatore), esaltazione delle capacità progettuali e gestionali, qualità dell’opera, trasparenza, rispetto dei costi e dei tempi. 

Dall’antagonismo alla collaborazione, altro che esaltare come farmaco miracoloso una offerta economicamente più vantaggiosa in cui si chiede all’impresa di “migliorare” un progetto esecutivo (che dovrebbe essere il livello più alto di identificazione del quadro delle esigenze di una amministrazione), riducendone il prezzo che la Stazione appaltante ha determinato utilizzando i prezzari che la stessa si è data: una serie di contraddizioni in termini! 

approfondimenti sul DL SEMPLIFICAZIONI

Per tutti gli APPROFONDIMENTI sul decreto legge, n. 77 31 maggio 2021 INGENIO ha creato una NUOVA AREA dove sono contenuti i commenti e le analisi dettagliate del nuovo decreto-legge.

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Il Titolo IV è interamente dedicato ai Contratti Pubblici; esso, quindi, si pone in una dialettica vivace con il vigente “Codice dei Contratti”.

Ne esce un quadro composito dominato però da una sostanziale volontà di aumentare il dialogo tra i contraenti attraverso meccanismi incentivanti non solo nel tradizionale cerchio del contratto (i tempi, art. 50 comma 4) ma anche in un campo più ampio; si pensi in questo senso alla volontà di “..promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere…” (art. 47) o ancora alla istituzione della responsabilità solidale tra contraente principale e sub-appaltatore e sulla simmetria tra questi soggetti in tema di garanzie “…sugli stessi standard qualitativi e prestazionali… riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale ..” 

Davanti a questo scenario il dibattito sulle “quote” del subappalto, perde davvero di significato e mette ancora una volta in risalto la capacità di parlare per “sentenze” piuttosto che la voglia e la competenza di entrare nel merito.

 

Torna la "questione dell'appalto integrato"

Infine l’art. 48 che, introducendo, sempre limitatamente alle opere del PNNR e PNC, una nuova disciplina dei contratti misti ha riaperto le dispute sull’appalto integrato visto come il bene o il male assoluto.

Riaffiora lo schematismo di discussioni che non ce la fanno ad uscire dallo schema “on-off” e che, quindi, ancora una volta, evitano il merito che è dato dalla flessibilità di decidere, caso per caso, quale sia la regia di processo più utile allo scopo: best option-best planning!

Ritenere che la separazione tra attività di concezione ed attività di costruzione sia di per sé la ricetta contro il malaffare, e la garanzia per la sicurezza dei lavoratori e la qualità del risultato è, dal mio punto di vista, offrire una lettura ristretta, miope, del problema e negare che l’unicità del processo progettuale e costruttivo siano il fondamento della garanzia del risultato finale. 

Unicità che non vuol dire confusione di ruoli e tanto meno appalto di progettazione e costruzione sempre, ma solo che, a volte, quando utile allo scopo, un pezzo della strada concettuale la percorre la stazione appaltante ed un pezzo l’appaltatore dovendo quest’ultimo, però, procedere solo nella direzione che la stazione appaltante ha tracciato.

Allora il problema non è assolvere o condannare l’appalto integrato, assolvere o condannare i sostenitori/detrattori, ma dare qualità reale ai contenuti di quella parte di strada che percorre la stazione appaltante e che, proprio per questo, diventa il fondamento del “patto” (il Contratto!) con l’Appaltatore, e dare qualità alla capacità della stazione appaltante di dialogare con l’appaltatore chiamato a sviluppare il livello di progettazione posto a base di gara e di agire con appropriati sistemi di controllo. 

Una capacità che richiede simmetria di organizzazione e di competenza.

E così, in questo ambito di visione larga si inserisce la riflessione sulla nuova frontiera dei contratti pubblici con oggetto un sinallagma non più basato sulla prestazione, ma piuttosto sul risultato: “risultati” preventivamente condivisi tra le parti contraenti e puntualmente identificati e misurati attraverso indicatori di performance; sullo sfondo l’eco di antiche dispute tra assumere obbligazioni di mezzi o obbligazioni di risultato, con una virata sostanziale verso queste ultime.

Così l’art. 50 comma può essere anticipatore di contratti con ulteriori premialità collegate alla “produzione di benefici di carattere generale, con effetti economici che determinano economie e benefici non solo sull’amministrazione concedente, ma su una collettività di cittadini/contribuenti.”

Ancora S. Valaguzza molto efficacemente affermava nel suo articolo che “la chiave sarà la capacità delle stazioni appaltanti di costruire ambienti contrattuali intelligenti, resilienti e collaborativi, che sappiano promuovere una collaborazione tra gli attori coinvolti nella sfida della costruzione”.

Il decreto sarà necessariamente emendato e spero migliorato con i contributi di tutti gli attori e tra questi non mancherà certo il contributo degli Ingegneri; credo però che la sfida di leggerlo positivamente e con fiducia vada accettata con slancio e con volontà collaborativa.

Il tema dominante è quello della indispensabile flessibilità nelle procedure, negli obiettivi, nel rapporto con il mercato; non a caso le parole d’ordine delle Direttive sono flessibilità e discrezionalità e rappresentano l’esatto opposto della rigidità che regola ordinariamente i contratti pubblici. 

Queste caratteristiche non possono essere imposte attraverso la sostituzione di un corpo normativo con un altro; esse richiedono un cambiamento culturale verso cui possiamo essere traghettati dall’urgenza e dall’emergenza attuali, dettate dai tempi del PNRR. 

La vera sfida è quella di operare, nel rispetto delle regole, il passaggio da un approccio rigido e puramente amministrativo a uno flessibile, strategico, orientato alle esigenze, evitando gli slogan e le parole d’ordine, con l’umiltà di andare sempre al merito del problema accompagnati dalle competenze e dalle necessarie consapevolezze.

Una sfida titanica per un sistema in cui gli attori si sentono più a loro agio nell’antagonismo che non nella collaborazione che, per prima cosa, richiede lealtà e competenza : questo non è certo il momento di sottrarsi ad un impegno forte e generoso.