Crisi e trasformazione del mercato delle costruzioni
Il Settore delle Costruzioni ha vissuto, in Italia, nell’ultimo decennio, una grave crisi strutturale, a detta di tanti, addirittura, la più grave in assoluto della sua storia, che è apparsa peculiare persino di fronte ad altri Paesi Comunitari, come l’Irlanda e la Spagna, che pure ne hanno contemporaneamente sofferte di simili.
A tale crisi ha fatto, però, da contrappeso la notevole crescita registratasi in alcuni mercati comunitari e, soprattutto, extraeuropei, determinando anche un forte processo di internazionalizzazione da parte di molti campioni nazionali che hanno così, in buona parte, «abbandonato» il mercato domestico, in cui la
Domanda, specie Pubblica, di là del ridotto volume di investimenti e della sua capacità di attuarli, ha, in molti casi, dimostrato notevoli carenze qualitative quanto alla funzione committente.
L’opposizione, poi, tendenzialmente a opera degli enti locali, a una riforma radicale della struttura della Domanda stessa, non ha certo giovato alla trasformazione.
Tra l’altro, la contemporanea crisi che aveva patito il Regno Unito alla fine dei primi Anni Duemila, aveva permesso, dal 2010-2011, al movimento riformista governativo di porre la digitalizzazione come game changer del mercato riscuotendo una adesione, almeno in apparenza, convinta (simile a quanto fatto in Italia nella manifattura per Industria, poi Impresa, 4.0): cosa che, per lungo tempo, non è avvenuta nel Nostro Paese.
Che, infine, quell’accoglienza positiva abbia determinato, anni dopo, una piena digitalizzazione del mercato domestico è tutto da verificare, ma certamente, per i Britannici, il brand ha molto fruttato internazionalmente, sotto ogni aspetto.
Quel movimento, in realtà, si basava su un assunto, la centralità dell’informazione per il miglioramento nei processi decisionali, ripetuto puntualmente inutilmente, dagli Anni Quaranta del secolo scorso a oggi, ma, al contempo, vi è stata la consuetudine di perseguire la capitalizzazione delle esperienze maturate, la legacy, nelle grandi commesse pubbliche.
Del resto, come è stato osservato in una recente audizione parlamentare, il rischio maggiore che si profila, nel Regno Unito, come altrove, è di arrestare il processo di digitalizzazione a metà del percorso, creando diseconomie.
Ciò, come si tenterà di dimostrare, è dovuto all’incoerenza che sussiste tra il senso ultimo della digitalizzazione e l’uso, parziale, che se ne vorrebbe fare.
Palesemente, comunque, ciò di cui patisce in Italia, tanto il Settore delle Costruzioni quanto, persino, al proprio interno, la Cultura dell’Architettura, è una cesura epistemologica intorno alla essenza del mercato, dovuta a fattori quali, ad esempio, la limitazione del consumo di suolo o la struttura anagrafica della popolazione, a cui si stenta a dare forme e risposte.
È pure utile rilevare che la cultura architettonica italiana non ha subito una particolare fascinazione in materia digitale, percependo il passaggio come estraneo, tanto che ne ha recepito la strumentalità, evitando spesso di interrogarsi sulla essenza della stessa nei confronti delle identità, oltre che degli statuti, a differenza di quanto avvenuto nel Regno Unito o negli Stati Uniti a opera delle rappresentanze stesse: discorso intermedio meritano Francia o Germania.
Il che ben rispecchia la diffusa sensazione che, in generale, l’accoglienza della digitalizzazione presso gli operatori avvenga in una ottica fortemente «analogica».
La qual cosa è fondamentale, nella misura in cui i saperi e le esperienze tradizionali sono principalmente detenuti da generazioni più antiche, mentre quelle più giovani, pur privi spesso dei contenuti, paiono possedere gli strumenti innovativi e il modo di impiegarli più appropriatamente, ingenerando una prima problematica sulla transizione anagrafica e il ricambio generazionale.
Dicotomie e conflitti nella digitalizzazione
È opportuno osservare come la digitalizzazione si imponga all’opinione pubblica internazionale del Settore in coincidenza con alcuni obiettivi dichiarati:
- l’incremento della produttività;
- la mitigazione del rischio;
- la governabilità del processo.
Se, tuttavia, questi sono gli scopi che attengono più direttamente al tradizionale Settore delle Costruzioni, essi fungono, altresì, da presupposti per la grande sfida evolutiva che è offerta dal Settore inedito dell’Ambiente Costruito, che ne prevede potenzialmente una dilatazione per stravolgimento.
Non confinando i tratti dell’innovazione alla sola digitalizzazione è, tuttavia, evidente che la prima si presenti in maniera molto articolata sia nella essenza sia nella localizzazione, rendendo difficile tracciare geografie e storie unitarie ed emulabili.
Vi è, appunto, anche da dire che non di rado le tematiche ambientali e circolari hanno esercitato una maggiore fascinazione, anche forse in virtù di una loro maggiore «indeterminatezza» (al netto, peraltro, delle questioni energetiche).
Come inizia, a ogni buon conto, oggi a essere palese, la crisi strutturale del mercato domestico è, pur nella sua articolata complessità, stata una crisi di cultura industriale, per cui, ad esempio, occorre non soffermarsi solo su aspetti, per quanto cruciali, quali il ridimensionamento del mercato o la contrazione di alcuni dei suoi segmenti tradizionali.
Le gravi criticità relative alla complicazione amministrativa (che ha ostacolato, peraltro, l’attuazione degli investimenti pubblici, assieme ai vincoli comunitari della spesa pubblica), agli iniqui compensi e ai ritardati pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche, spiegano, peraltro, solo una parte delle difficoltà del mercato, ma, al contempo, ne mettono in evidenza il desiderio di giustificare con fattori esogeni la condizione precaria ingeneratasi in un contesto, anni or sono, di forte incredulità sulla realtà del cambiamento.
In ogni caso, se, da un lato, un segmento consistente degli interventi, relativamente sia alle infrastrutture sia agli edifici, riguarda gli interventi sul costruito e sull’esistente, secondo una sensibilità tendenzialmente conservativa, d’altro canto, si pone l’esigenza di legittimare una azione improntata alla sostituzione (demolizione e ricostruzione) e alla sua contestualizzazione o innesto.
La centralità del costruito, infatti, pur costituendo una grande sfida culturale che ha originato, nell’ambito del patrimonio culturale, un primato nazionale, almeno nei confronti di una sensibilità e di una prassi, qualche decennio or è, pone la necessità di una ancor migliore comprensione dei suoi modi funzionali, in vista della sua sensorizzazione e interconnessione, inerente alle tematiche strutturali ed energetiche.
Naturalmente, di là di interessanti sperimentazioni di recupero architettonico, di riqualificazione energetica e di riabilitazione strutturale del patrimonio immobiliare degli Anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, le attività di demolizione e di ricostruzione appaiono complesse sotto molto profili, ma le criticità cui appare soggetto il patrimonio infrastrutturale potrebbero dare la spinta allo sdoganamento dell’edilizia, oltre che della infrastrutturazione, di sostituzione.
È palese, comunque, che, specie per la prima eventualità, una attività sistematica di monitoraggio del patrimonio costruito a livello urbano e territoriale (inerente, appunto, alle prestazioni strutturali ed energetiche) richiederebbe la configurazione di un sistema informativo (parzialmente legato al Geographic Information System e al Building Information Modeling) che, di per se stesso, costituirebbe una vera e propria infrastruttura digitale strategica per la riconfigurazione del mercato, su cui innestare nuovi operatori urbani e territoriali, tutti da immaginare, come ibridazione di attori tradizionali e inconsueti, a una scala superiore a quella attuale.
Un tentativo embrionale di costituzione di tale sistema informativo era, in effetti, stato avviato con Casa Italia, ma esso, per avere senso, dovrebbe dipendere da una precisa strategia industriale.
Ciò è importante in quanto, a onta di riflessioni sulla Rigenerazione Urbana, nelle quali la digitalizzazione è spesso assente (nelle vesti della Smart City), il retropensiero prevalente ipotizza che siano esclusivamente gli attori convenzionali a porvi mano.
La digitalizzazione, già a questo livello, suggerisce, dunque, che il rilancio del Settore, attraverso, perciò, una rottura epistemologica, ne richieda una profonda riconfigurazione identitaria, culturale e organizzativa, tanto più che per il Nostro Paese la sfida non riguarda solo le agglomerazioni urbane, bensì il territorio diffuso.
Innovazione incrementale o radicale
Già questa considerazione si scontra comprensibilmente con le logiche conservative di un tessuto pubblico e privato, committente, professionale e imprenditoriale, che non manifesta particolare desiderio in tal senso.
Da questo punto di vista, perciò, il dilemma riguarda la tradizionale capacità del comparto di svuotare in parte dall’interno il potenziale dell’innovazione, depotenziandone i tratti eversivi, oppure di un Sistema delle Costruzioni che intenda, appunto, accettare la sfida epocale destinata a trasformarlo.
L’enfasi che si ripone sulla centralità della filiera, infatti, appare spesso di circostanza, nel senso che il presupposto da cui si parte è il rafforzamento del paradigma della distinzione, implicando che ogni operatore curi più la propria identità che non le relazioni cogli altri attori, nonostante le asserzioni formali in senso contrario.
Del resto, persino all’interno di contesti omogenei e orizzontali, come i raggruppamenti temporanei e le centrali di acquisto, accade talvolta che prevalga l’opacità informativa.
Più interessante è il fatto che, negli stessi raggruppamenti, soggetti che mostrano forte diffidenza verso la digitalizzazione, temano che delegarne il governo ad altri partner possa infragilire il proprio potere negoziale.
Ciò, tuttavia, avviene aderendo nominalmente a logiche industriali che si fondano su nozioni antitetiche rispetto a quelle di cui si dice: ancora una volta, il paragone tra Construction, Automotive e Aerospace sembra essere più una suggestione che altro, a meno che l’implementazione dei relativi assunti sia in parte inconsapevole, dischiudendo un processo del cambiamento a dispetto dei promotori.
Per certi versi, infatti, si assumono i presupposti della digitalizzazione improntati alla trasparenza, alla simmetria, alla riproducibilità, accogliendo il fatto che essi possano condurre a forme di condivisione, ma, nella realtà delle cose, le modalità di integrazione si fermano sulla soglia di passaggi di consegna che delimitano ancor più che in passato le sfere di competenza tra i soggetti.
In realtà, probabilmente, la fase espansiva precedente alla recessione aveva permesso di trarre benefici a tutte le parti in causa senza dover rimettere in discussione alcunché (senza innovare?), mentre la successiva grave crisi ha suscitato una tendenza difensiva, come se da lì si dovesse ripartire.
La attesa comune è, perciò, quella di generare positività parziali, sufficienti a efficientare i processi gradualmente, ma occorre verificare se le razionalità intrinseche ai nuovi metodi e strumenti lo consentano davvero, mentre, per altri osservatori, la partita riguarda, appunto, lo stravolgimento dei contenuti odierni.
Se, d’altra parte, gli scenari di imitazione letterale delle logiche manifatturiere negli aspetti più immediati (come la robotica nel cantiere: altra cosa negli impianti produttivi) appaiono improbabili, o, comunque, non determinanti, anche la natura stessa del lavoro nel comparto pare destinata a mutare.
Pure le severe perdite occupazionali registrate nell’ultimo decennio, come si vedrà, nell’orizzonte prospettico andrebbero analizzate alla luce della possibile sostituzione della natura labour intensive del comparto con una logica capital intensive, legata alle diverse forme di Automation e di Autonomization, logica che oltre a ridurre il fabbisogno di lavoro tradizionale, richiede una estensione di competenze inedite.
Ciò potrebbe valere, del resto, anche per nicchie di mercato apparentemente lontane da questa dimensione, come quelle prossime all’intervento sul costruito e, specificatamente, nella conservazione dei beni culturali immobiliari.
Il rischio insito in certe letture è, tuttavia, quello di attribuire al cantiere 4.0, da definire se On Site od Off Site, le parvenze esteriori della robotica che mette in opera i componenti oppure quelle, assai più decisive, della autonomazione dei processi decisionali che, naturalmente, può tradursi anche nella gestione sincronizzata dei macchinari e degli apprestamenti interconnessi, ma che ha una valenza molto più dilatata.
Non si tratta, in effetti, tanto di preoccuparsi dei robot che sostituiscano il muratore o il carpentiere, il cosiddetto cantiere Unmanned, un tema utilizzato, ad esempio, per stupire in alcuni progetti, quanto di formare tecnici di cantiere dotati di una cultura del dato.
Se, dunque, la natura della crisi è «industriale», tale essenza è essenzialmente legata alla trasformazione digitale, che, per mezzo di soluzioni computazionali, mette, anzitutto, in discussione i paradigmi della frammentazione e della polverizzazione del mercato e dei tessuti committenti, professionali e imprenditoriali.
Ciò che emerge continuamente, infatti, è questa dicotomia tra un proposito di rivisitazione temperata di un mercato consolidato, per quanto ridimensionato, e un intendimento di sua riconfigurazione radicale.
La cultura industriale di carattere digitale, come indica chiaramente l’evoluzione di alcune strategie industriali, prevede, nella sua versione propria, un ampliamento delle dimensioni del mercato attraverso l’incorporazione in esso di segmenti sinora a esso estranei, ma ciò potrebbe avvenire solo introducendo un livello di servitizzazione molto superiore a quello attuale.
Se, infatti, per molto tempo il progettare si è riferito quasi solamente al costruire, anche allorché si è trattato di guardare al manutenere e al gestire, l’ambito di applicazione del Facility Management si è sempre arrestato alle soglie del Core Business.
La trasformazione digitale, come si vedrà, ipotizza una dilatazione del comparto proprio revocando tale distinzione, abbattendo questa fatidica barriera.
È il valore intrinseco del dato, o meglio della grande mole di dati (Big Data) generati, e della capacità degli operatori di sfruttarne le potenzialità predittive, che richiede la aggregazione, quanto meno, delle esperienze, computazionalmente descritte che stimola processi aggregativi connessi alla necessità, appunto, della ibridazione degli attori e al superamento di certe nette separazioni.
Il che vede, come alternativa, la definizione di entità in grado di raccogliere le attività di una miriade di micro e di piccole organizzazioni che, con una modesta cultura digitale propria, siano eterodirette.
Su questo peculiare aspetto è, ovviamente, da attendersi una lotta epocale tra diverse concezioni del mercato che si presenterà sotto molteplici vesti, alcune delle quali saranno considerate in questa sede.
Oltre il BIM
La partita dipende, allora, dalla massima estensione dei soggetti raggiunti dalla digitalizzazione, nel senso che, mentre alcune esperienze molto avanzate possono essere perseguite da un numero limitato di operatori, altre, altrettanto significative, sono condizionate dalla permeazione digitale nei più remoti anfratti della filiera.
La cultura del dato (computazionale) rappresenta, pertanto, la maggiore sfida industriale per il Settore delle Costruzioni, palesandosi sempre più il rischio che l’acronimo BIM (Building Information Modeling) paradossalmente risulti ostativo a una piena comprensione dei passaggi evolutivi che attendono il Settore.
Una visione riduzionista, per non dire semplicistica, della digitalizzazione potrebbe, infatti, condurre gli operatori in una condizione intermedia tra l’analogico e il digitale assai rischiosa.
Ora che si inizia a comprendere nitidamente che la digitalizzazione del comparto non può passare esclusivamente attraverso la modellazione e la gestione informativa, fattori che, anzi, ne possono essere, tutt’al più, la porta di accesso più rapida e significativa, è palese che attorno alla cultura del dato occorra costruire la riconfigurazione del mercato (o meglio: dei mercati, se ne accettiamo una declinazione sempre più articolata).
Se la crisi strutturale dell’ultimo decennio può attribuirsi, infatti, a molteplici cause concorrenti, la sua «risoluzione» non può che essere sistemica e richiede una forte coscienza della posta in gioco.
La digitalizzazione, infatti, sembra modificare in profondità i processi, ma, in realtà, sono i prodotti a subire i cambiamenti maggiori e, con essi, le identità degli attori.
Il rischio che si corre è un’adesione acritica che non renda abilitanti i processi e che stravolga l’identità degli attori a loro insaputa.
Tutto ciò sta, anzitutto, a dire che, fatte salve le determinanti esterne, cui si è già accennato, la cui mancata risoluzione potrebbe vanificare ogni altro tentativo riformista, la via maestra da percorrere passa attraverso la consapevolezza che la digitalizzazione non sia intrinsecamente un fenomeno positivo, bensì che essa, essendo, appunto, un fenomeno complesso, sia incognito, richieda una visione di sistema e una politica industriale attenta.
Bisogna, anzitutto, come ribadito, osservare come non sia scontato che i volumi di produzione del mercato domestico, già profondamente mutato rispetto a un decennio fa, possano ritornare al periodo di riferimento né che si possa recuperare quantitativamente il numero di operatori del recente passato, giacché, in fondo, la questione relativa alla produttività rivela che il futuro del mercato debba probabilmente essere assai diverso dal suo passato e che, dunque, le vie dell’espansione siano diverse.
Semmai, sarebbe opportuno immaginare di estendere la platea degli operatori domestici in grado di competere digitalmente sui mercati internazionali.
La digitalizzazione, infatti, pone una serie di questioni che si proverà qui a elencare e a evocare, senza alcuna pretesa di esaustività, ma che possono forse essere così enumerate:
- il valore degli ecosistemi digitali;
- l’evoluzione del mercato tra On Site e Off Site;
- la natura dei prodotti immobiliari e infrastrutturali e l’identità degli attori.
Piattaforme digitali e progetti industriali
Anzitutto, si profila l’ispirazione a creare ecosistemi digitali in cui, per primi, i produttori metterebbero a disposizione, in maniera sistematica ed esaustiva, i corredi informativi legati ai propri prodotti.
Ciò, in realtà, già avviene in forma eterogenea, ma occorre chiedersi quale sia la struttura ottimale dei dati inerenti a ciascun prodotto, in funzione delle finalità che ci si prefigge, necessità che variano da uno scopo strettamente espositivo a uno che concerne l’intelligence consentita dalle data analytics relative ai comportamenti degli utenti che, di fatto, prelude alla possibilità di introdurre algoritmi raccomandativi in grado di comprendere e di influenzare le scelte.
Il presupposto su cui si basano le intenzioni è solitamente quella di garantire una perfetta simmetria informativa a tutti gli attori, oltre che assicurare la piena affidabilità dei valori dichiarati per le caratteristiche e le prestazioni.
In teoria, nella versione classica della nozione di piattaforma digitale informativa (altre, come vedremo, possono essere proposte), ogni attore avrebbe accesso in maniera esaustiva a tutte le informazioni concernenti gli altri attori (ad esempio, i produttori), cosicché la competizione possa avvenire colla massima correttezza e trasparenza.
Al contempo, però, tutto ciò preluderebbe a fare sì che ciascun produttore dovesse, in un «luogo» predeterminato introdurre tutte le informazioni inerenti alla propria produzione secondo modalità univoche e unitarie, così che la scelta da parte dei progettisti (e la conseguente adozione da parte degli esecutori) non risentisse di alcun condizionamento.
La prassi indica, tuttavia, che il presupposto su cui si basa questa aspirazione è, di fatto, in tendenza opposta a ciò a cui il mercato attribuisce un valore: non tanto il permettere agli operatori una scelta, appunto, incondizionata, bensì il comprendere quali siano le decisioni di ciascuno in circostanze relativamente asimmetriche per influenzarle.
La messa a disposizione di tutte le informazioni possibili paradossalmente implicherà la richiesta di darne specifiche finalizzazioni, tanto che le migliori piattaforme digitali di questa natura contemplano precise strutture contrattuali e contestualizzano gli scambi informativi all’interno dei procedimenti.
In definitiva, anche sotto l’aspetto più strettamente economico della transazione, la disponibilità del dato, che si vorrebbe neutra, assumerà, al contrario, una veste orientata.
È chiaro, pertanto, che la omogeneizzazione dei sistemi di classificazione e di codificazione non potrà non risentire di questa considerazione.
La digitalizzazione delle norme armonizzate (CE Smart Marking) costituisce sicuramente un primo tassello di una configurazione dei dati relativi ai singoli prodotti che il CEN sta conducendo.
Di fatto, però, da un altro canto, la progressiva sensorizzazione dei componenti da realizzare in opera o da assemblare condurrà alla possibilità di verificare, costantemente e tempestivamente, i valori dichiarati dai produttori e riportati nominalmente nel progetto, ovverosia nell’ambiente di condivisione dei dati a cui i modelli informativi sono connessi e di cui fanno parte.
In realtà, nel momento medesimo in cui la caratteristica o la prestazione del componente (o, ad esempio, del vano) potrà essere misurabile costantemente in tempo reale, l’essenza stessa tangibile dell’elemento lascerà, da un punto di vista contrattuale, il primato alla componente prestazionale (sia consentito il gioco di parole), legata al «servizio», più che al «prodotto», alla «fruizione» più che al «possesso».
Il prodotto, il componente, a quel punto, potrebbe determinare una variazione non solo della sua stessa natura, ma anche di quello del suo produttore, conferendo «certezze computazionali» avvalorate e sancite dalla blockchain.
Molte delle piattaforme digitali sinora ipotizzate o realizzate affrontano il prodotto in termini singolari, individuali, mentre il ritorno dell’Off Site richiede che esse supportino configurazioni semi-automatiche originali partendo da combinatorie di elementi unificati che si prestino a relazionarsi sistemicamente con una notevole versatilità nei confronti delle tipologie di cespiti.
Tra On Site e Off Site
La strutturazione dei dati che concernono i prodotti si pone, quindi, a un crocevia tra l’On Site e l’Off Site.
Per quanto il primo caso resti largamente maggioritario, si riscontra una forte tendenza della pubblicistica a valorizzare il secondo.
Tra l’altro, sinora il Computational Design ha significato per la cultura architettonica confrontarsi con i casi eccezionali e colle forme complesse, mentre l’Off Site rimanda alle nozioni di «pre-fabbricazione», di «modularità», di «manifattura», secondo l’assunto per cui le combinatorie permetterebbero di generare l’«unicità».
In realtà, l’ipotesi più credibile riguarda, appunto, la promozione di una piattaforma produttiva basata su sistemi costruttivi e componenti standardizzati che possano essere utilizzati per tipologie di cespiti differenti, giustificando così, con una domanda parzialmente anelastica, gli elevati costi fissi relativi agli investimenti necessari per la realizzazione degli impianti produttivi.
In aggiunta, una ulteriore ipotesi riguarderebbe la istituzione di una serie di fabbriche temporanee (o volanti) o di una serie di impianti produttivi di minori dimensioni delocalizzabili, eventualmente basati sull’Additive Manufacturing, oltre che sulla più consolidata Digital Fabrication.
È chiaro, tuttavia, che la industrializzazione digitale del comparto comporta un drastico accorciamento della catena del valore e della fornitura, ponendo al centro soggetti di medie e di grandi dimensioni che, semplificando la filiera e riducendo le azioni di assemblaggio in sito, favoriscono processi aggregativi e, quanto meno, mettano a sistema, se non addirittura eliminino, una miriade di micro operatori professionali e imprenditoriali.
In più, si tratta di business model che seguono logiche collaborative e integrate, molto distanti dalla mentalità diffusa degli attori tradizionali.
Ancora una volta, emerge il potenziale conflitto tra, da una parte, un ripensamento moderatamente digitale delle attuali prassi di approvvigionamento, di produzione, di distribuzione e di realizzazione e, da un’altra parte, una visione che riconduca alla produzione in fabbrica, supportata da una logistica avanzata di tipo Lean (dapprima verso il luogo di produzione e, successivamente, da lì al cantiere) l’evento centrale cui l’assemblaggio in sito, rafforzato da sistemi logistici, faccia da corollario.
Tali considerazioni spiegano il senso di una piattaforma digitale comune a più operatori che sia basata su un configuratore capace, appunto, di originare soluzioni specifiche per ogni situazione.
Qui si incrocia il tema dell’Off Site che, col supporto della digitalizzazione e con soluzioni costruttive prevalentemente a secco (al contrario di quanto accaduto nel secolo scorso), cerca di compiere, attraverso i maggiori produttori, una serie di misure:
- ridurre e razionalizzare la catena di approvvigionamento, cercando, nei casi migliori, di creare un indotto di macro componenti stratificati;
- produrre tali componenti in condizioni controllate, introducendo forme avanzate di automazione e di autonomazione;
- istituire un sistema logistico performante che serva i cantieri di destinazione finale;
- gestire direttamente la fase di assemblaggio dei componenti in cantiere, eventualmente con l’ausilio della robotica.
In realtà, affinché questo proposito possa inverarsi occorre assicurare alcune condizioni basilari, come, appunto, la formazione di una domanda anelastica che assicuri elevati volumi di produzione per contribuire ai costi fissi di impianto e di gestione della manifattura, la presenza di una classe professionale in grado di recepire i dettati del Design for Manufacture & Assembly, la realizzazione di fabbriche temporanee dislocabili, la capacità di realizzare just in time componenti adattate a ciascun intervento sull’esistente.
Oltre, dunque, alla versatilità dei sistemi produttivi, che dovrebbero consentire la Mass Customization, la maggiore scommessa risiede in piattaforme digitali condivise tra diversi produttori, che dovrebbero fare sì che elementi relativamente standardizzati siano associabili in maniera plurima, soddisfando in maniera non ripetitiva, esigenze variegate.
In questo caso, perciò, si comprende bene, come già osservato, che una piattaforma digitale non può esistere al di fuori di un progetto industriale specifico che, in questo caso, prevede la istituzione di un marketplace dedicato ai Modern Methods of Construction, ma che potrebbe, altresì, essere rivolto ai micro operatori e ai micro committenti, secondo logiche di uberification.
È chiaro che l’Off Site costringerebbe i professionisti a una maggiore integrazione colle logiche produttive, mettendo fuori gioco gran parte dei piccoli produttori e distributori commerciali, oltre a obbligare i costruttori a ragionare in termini di assemblaggio.
Laddove, poi, il componente stratificato divenisse sensorizzato i suoi valori prestazionali attesi dichiarati contrattualmente sarebbero verificabili in continuo, in tempo reale e in remoto, cosicché il produttore/assemblatore potrebbe impegnarsi a offrire livelli di servizio, anziché oggetti, affitto in luogo di alienazione.
Cespiti e cognitività
Il legame tra piattaforme digitali e modelli di mercato si rafforza ulteriormente se si guarda alla natura che il
cespite immobiliare ovvero infrastrutturale sta assumendo, in virtù di una interconnessione tra entità eterogenee che lascia intravedere anche la possibilità di una interazione più diretta tra di esse.
In definitiva, ciò che costituisce il valore aggiunto di un sistema di configurazione computazionale è la opportunità di combinare non solo le relazioni tra componenti ma anche tra modelli di flusso dei beni immobili e degli utenti.
In questo modo, alla progettazione dei manufatti si sovrappone l’ideazione dei servizi che in essi dovrebbero essere erogati.
Questa osservazione introduce al tema più generale della cognitività che consente di concepire edifici e infrastrutture che siano in tempo reale costantemente in dialogo cogli occupanti, anche in remoto.
Tale rapporto «uomo-macchina», impostato sulla sensorizzazione, prevede modalità di interazione essenzialmente vocali e gestuali.
Se il tema delle piattaforme digitali impone l’esigenza di strutturare i dati e quello dell’Off Site l’argomento inerente alla riduzione degli operatori, la questione della natura dei cespiti investe l’identità stessa del Settore.
Si tratta, in effetti, così come oggi già appare evidente per i workplace, di considerare lo spazio (l’ufficio come il vano) come fattore direttamente produttivo, capace di evolvere, di essere polivalente, di rispondere (nel caso gestuale e vocale, quasi direttamente) ai singoli individui, riconoscendoli.
Vuol dire che le Operations che riguardano i manufatti sono, come affermato, senza mediazione fattori del Core Business, che i cespiti che si progettano sono imprescindibili dalla ideazione dei servizi o delle attività e, in ultima analisi, anche dei comportamenti.
Sorge, qui, il rischio che si confonda la sfida cognitiva che concerne il rapporto che intercorre tra contenitore e occupante con elementi complementari come la domotica (Smart Home) o altro.
Tanto a livello di edifici quanto di infrastrutture, il tema principale non è semplicemente quello di efficientare energeticamente o di spostarsi produttivamente, bensì si tratta di immaginare come le accresciute possibilità di interazione possano configurare la creazione di servizi sempre più personalizzati e sempre più evolutivi, che siano prossimi a una dimensione sociale che vede profonde individualità (la singolarità come norma) sincronicamente tra gli esseri umani (abitanti, lavoratori, passeggeri, fruitori) e diacronicamente per ciascuno di essi.
La dinamicità dei cespiti è, certamente, il passaggio cruciale per trasformare il Settore.
Un nuovo Settore?
Ciò che si chiede agli operatori tradizionali con le piattaforme digitali è di convergere nella condivisione dei Big Data, cosa antitetica nei confronti di un antagonismo spesso esasperato.
Il paradigma della collaborazione e dell’integrazione inizia, infatti, a corrodere il principio essenziale della distinzione dei ruoli.
Quello che si domanda con l’Off Site è di adottare una cultura industriale, ispirata all’Automotive e all’Aerospace, che si fonda sulla logistica dei flussi e delle metriche.
Si tratta, qui, di dilatare l’ambito delle responsabilità, oltre che rendere processi aleatori prevedibili.
La posta in gioco con la cognitività dei cespiti è, tuttavia, legata a un immaginario dell’intangibile che davvero è distante anche dalla semplice cultura manutentiva.
La centralità del servizio nei confronti del bene richiede una inversione delle priorità e una familiarità con universi tradizionalmente lontani dal comparto.
Il combinato disposto dei tre fattori analizzati suggerisce di immaginare, dunque, un Settore dell’Ambiente Costruito inedito, con prodotti dalla natura innovativa, regolato da processi avanzati e, soprattutto, operatori da attori, dalle identità stratificate.
È, infatti, interessante, osservare come proprio il cambiamento della essenza stessa dei cespiti stia inducendo la costituzione di realtà progettuali che affiancano agli architetti specialisti quali gli psicologi e i neuroscienziati, partendo da una pratica di Operations.
Ciò significa avere la possibilità di modellare i flussi individuali e collettivi (una sorta di behavioural pattern) in base a esperienze pregresse (come fanno coloro che raccolgono sistematicamente dati sui comportamenti degli occupanti degli uffici affittati), collegandoli a profili di utenza, mettendoli, successivamente in relazione con la distribuzione spaziale che, a sua volta, si invera tramite sistemi costruttivi.
Queste simulazione progettuale iniziale, inerente alla progettazione dei servizi e degli spazi, è in seguito in tempo reale verificata e validata cogli occupanti potenziali in ambienti immersivi e, infine, è monitorata sistematicamente durante la Occupancy.
Ovviamente, a questa ipotesi, che esalta gli elementi di sconvolgimento del mercato convenzionale, se ne contrappone una per cui la digitalizzazione si limiterebbe a efficientarlo così come sia.
L’analisi dei modi di digitalizzazione del Settore non può che dipanarsi nel divario tra queste due opzioni, l’una più conservativa, l’altra più eversiva.