Forse, oggi più che mai, la felicità è un atto di resistenza.
“Diventa ciò che sei”, scriveva Nietzsche, richiamando l’antico invito di Delfi: conosci te stesso. Ma come si declina questa ricerca nell’era dell’intelligenza artificiale, quando ogni nostra azione viene filtrata da un algoritmo? In un mondo dove il dato sostituisce l’esperienza, la vera sfida è riscoprire la nostra autenticità. E con essa, forse, la felicità.
Diventa ciò che sei, anche tra gli algoritmi. Una riflessione sulla felicità nell’epoca dell’intelligenza artificiale
“Diventa ciò che sei”, ammoniva Nietzsche, facendoci eco di un’antica voce greca, quella scolpita sul tempio di Apollo a Delfi: “Conosci te stesso”. È questo il primo passo verso la felicità, una parola che oggi rischia di sbiadire sotto la luce fredda dei dati.
Crescere, per l’uomo, è sempre stato un atto d’imitazione: i bambini imparano perché guardano, assorbono, ripetono. Ma maturare — diventare adulti nel senso più profondo — è un processo opposto: è un distacco. Significa abbandonare le copie per cercare l’originale che siamo. Scoprire, nel tumulto dell’esistenza, quell’areté, quella virtù unica, quella vocazione silenziosa per cui siamo stati gettati al mondo.
Eppure oggi, in un tempo in cui ogni nostra azione è registrata, ogni esitazione misurata, ogni desiderio anticipato da un algoritmo, la domanda si fa più vertiginosa: come si diventa se stessi, quando è un’intelligenza artificiale a suggerirti chi potresti o dovresti essere?
L’IA ci offre efficienza, ottimizzazione, risposte rapide — ma anche un riflesso digitale che rischia di sovrapporsi alla nostra immagine autentica. Lo specchio non è più d’acqua, come a Delfi, ma di codice. E lì dentro ci cerchiamo, ma cosa troviamo?
Siamo ancora capaci di esperire, cioè di passare attraverso il rischio dell’esperienza, o preferiamo restare nel recinto del probabile, dell’assistito, del suggerito?
La felicità, quella vera, non è nel piacere istantaneo né nella performance perfetta. È un’eco antica che risuona solo quando smettiamo di imitare e iniziamo a fiorire secondo la nostra forma. Ma per questo serve silenzio, dubbio, solitudine. E soprattutto: disobbedienza al modello.
Nell’era dell’intelligenza artificiale, diventare ciò che si è richiede un atto di coraggio nuovo: non contro la macchina, ma contro la tentazione di delegarle il nostro destino.
Forse, oggi più che mai, la felicità è un atto di resistenza.
Ps. Riflessioni nate ascoltando Umberto Galimberti

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