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Gestione emergenziale e Commissari straordinari: soluzione o problema

Il ricorso alla gestione commissariale ha finito per assumere ormai carattere ordinario, ma è davvero la soluzione di tutti i problemi oppure una scorciatoia per un sistema non in grado di evolversi?

In un frangente temporale come quello attuale in cui il ricorso alla gestione commissariale ha finito, di fatto, per assumere carattere ordinario, occorre necessariamente porsi un interrogativo di fondo: è davvero la soluzione di tutti i problemi oppure una scorciatoia per un sistema non in grado di evolversi?


Nel periodo aprile-giugno 2021, a fronte di una lista di centouno opere da commissariare per un importo complessivo pari a novantasei miliardi di euro, è stata prevista la nomina di quarantadue Commissari straordinari, di cui ventinove già nominati.

In particolare, occorre chiedersi se tale modus operandi rappresenti davvero una soluzione dal carattere salvifico o se viceversa – ancorché venga presentato come una panacea e, dunque, come un “rimedio universale, capace di risolvere ogni problema, di correggere ogni difetto, di guarire ogni male” – non finisca, all’atto pratico, col palesare l’ennesima “scorciatoia” cui è costretto a ricorrere un sistema che non è stato in grado di evolvere e di innovarsi e che non vuole rinunciare alle “vecchie abitudini”.

Dei Commissari straordinari il Governo suole, infatti, servirsi – con cadenza ormai pressoché ciclica – per sbloccare i cantieri, specialmente allorquando il protrarsi dei tempi di esecuzione diviene indifendibile a livello politico.

 

La rilevanza del fattore tempo nel settore delle opere pubbliche

Ecco così che dietro la scelta di ricorrere alle figure commissariali si cela sovente l’esigenza di comprimere i tempi di realizzazione delle opere pubbliche, visto e considerato che il fattore tempo finisce, nei fatti, con l’assumere un ruolo di primaria importanza in un settore, come quello in esame, che riveste carattere strategico anche in termini di attrattività per gli investitori.

Tale riflessione diviene ancor più attuale, se si considera che, stando ai dati emergenti dall’ultimo Rapporto edito sui tempi di attuazione delle opere pubbliche, la cui pubblicazione risale al 2018, il tempo medio di realizzazione di un’opera pubblica in Italia ammonta a quattro anni e quattro mesi e risulta destinato ad aumentare in maniera esponenziale al crescere del valore economico dei progetti, arrivando a toccare punte di quindici anni e sette mesi in presenza di progetti, il cui valore a base gara supera i cento milioni di euro.

Peraltro, il settore maggiormente inciso dal protrarsi delle tempistiche risulta essere il settore dei trasporti lato sensu inteso, risultando esso interessato da interventi di carattere infrastrutturale che coinvolgono porti, aeroporti, stazioni e interporti e che involgono il trasporto ferroviario, marittimo, aereo, lacuale e fluviale.

Il Rapporto sopra citato, peraltro, ha messo in evidenza come una quota parte considerevole dei rallentamenti riscontrabili nel percorso attuativo di un’opera pubblica – che, come è noto, muove dalla programmazione dell’intervento per giungere alla realizzazione e alla messa in esercizio dell’opera stessa – vada ascritta al dilatarsi dei c.d. tempi di attraversamento, definiti come “l’intervallo temporale che intercorre la fine di una fase e l’inizio della fase successiva” e riconducibili a un insieme di attività (propedeutiche e necessarie) dal carattere prevalentemente amministrativo.

Dinnanzi al quadro sin qui descritto, occorre chiedersi se l’antidoto individuato per rimediare alle disfunzioni che permeano l’azione amministrativa e che sono da ricondurre a una molteplicità di fattori sia quello giusto.

Siamo davvero sicuri che solo il ricorso alle figure commissariali può garantire il rispetto di tempi certi, congrui e ragionevoli, comprimendo i tempi di attraversamento?

A leggere un’intervista rilasciata a marzo 2020 al Sole 24 Ore dal Sindaco di Genova si direbbe di no. Dalla medesima si ricavano infatti le seguenti considerazioni:

i) “la condizione senza la quale l’intervento non può funzionare è l’allineamento di tutte le amministrazioni pubbliche agli obiettivi finali. Soprattutto, l’allineamento della testa delle amministrazioni pubbliche, perché se una parte politica è in dissenso, i ritardi sono inevitabili … la politica deve anche condividere una data entro cui finire l’opera”;

ii) occorre “lavorare in parallelo, cioè contemporaneamente”, dandosi obiettivi di tempo e un cronoprogramma;

iii) “è fondamentale la qualità della struttura commissariale che deve essere in grado di applicare tecniche di management e di project management”.

Anche le esperienze registrate in Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna sembrerebbero dirci di no.

Dallo studio condotto dall’OICE nel dicembre 2017 sulle procedure e sui tempi di esecuzione delle grandi opere nei paesi industrializzati non emerge alcun ricorso, da parte dei Governi di questi paesi, a figure commissariali dotate di poteri derogatori più o meno ampi, bensì un’attenzione marcata riservata ad aspetti quali:

i) la fase di programmazione degli interventi e/o di razionalizzazione della spesa;

ii) l’accuratezza nella preparazione degli atti di natura tecnica che corredano la documentazione da porre a base di gara;

iii) la completezza che contraddistingue gli elaborati progettuali tutti e la precisione che si riscontra nella fase di “controllo dell’esecuzione”.

Non converrebbe allora provare a concentrarsi sugli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per cercare di affinarne la capacità di funzionamento, piuttosto che continuare a ricorrere a logiche emergenziali che rischiano di stabilizzare i poteri speciali e di minare la fiducia che i cittadini dovrebbero serbare nei confronti delle istituzioni, tanto più in assenza di controlli sui risultati delle gestioni commissariali?

Non varrebbe la pena investire su un’amministrazione che – lungi dal ricorrere a surrogati vuoi sotto forma di organismi ausiliari e collaterali della più varia natura, vuoi sotto forma di figure commissariali, che operano al suo posto – sappia fare in prima persona?

Non converrebbe provare a riportare al centro del dibattito gli enti e gli amministratori locali, così da scongiurare il rischio di inutili e dannosi immobilismi, valorizzando al tempo stesso la conoscenza delle peculiarità dei singoli contesti territoriali di riferimento? 

Sembrerebbe essere conscio di questa esigenza il Commissario straordinario per la ricostruzione del Centro Italia, che – stando a quanto riferito da notizie di stampa – ha optato, con riferimento ad Arquata del Tronto e a Castelluccio di Norcia, per una vera e propria ricostruzione pubblica dei centri storici, attribuendo al Consiglio comunale il compito di individuare le aree in cui si procederà con tale ricostruzione, previa identificazione e mappatura degli edifici che dovranno essere interessati dalla ricostruzione.

Sembra essere parimenti consapevole della problematica l’8ᵃ Commissione Lavori Pubblici che, nel parere reso sull’Atto del Governo n. 262, ha espresso, tra le altre, la seguente considerazione: “considerato che alcuni dei commissari vengono designati per un numero elevato di opere – alle quali, in certi casi, vanno aggiunte le opere di cui essi già si occupano in virtù dei provvedimenti precedentemente adottati dal Governo – e che le opere assegnate a un solo commissario sono a volte disseminate sull’intero territorio nazionale, si ritiene quindi di dover aumentare il numero dei commissari, al fine di ridurre il numero di interventi assegnati ad ognuno di loro e/o di nominare subcommissari che presentino caratteristiche di maggiore radicamento nei territori sui quali insistono le opere”.

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Il contenuto e l’ampiezza dei poteri in deroga

Altra tematica di estrema attualità, dai risvolti pratici ancora poco nitidi, è quella del concreto significato da attribuire alla formula impiegata dal legislatore per definire l’ampiezza e l’estensione dei poteri attribuiti alle figure commissariali chiamate ad operare nel settore della contrattualistica pubblica.

Il più delle volte, infatti, ai Commissari straordinari viene attribuito il potere di operare in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto: i) delle disposizioni contenute nel Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (i.e. d.lgs. n. 159/2011 e s.m.i.); ii) dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea; iii) dei principi derivanti dagli articoli 30, 34 e 42 del Codice dei contratti pubblici (i.e. d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i.); iv) delle disposizioni in materia di subappalto.

In particolare, sarebbe interessante capire cosa ha in mente il legislatore quando impiega la formula “vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea”, visto e considerato che, in virtù del principio del primato del diritto europeo, quest’ultimo finirebbe comunque con il prevalere sulla normativa nazionale e considerato, altresì, che l’attuale Codice dei contratti pubblici rappresenta, nei fatti, una trasposizione delle disposizioni contenute nelle direttive europee.

Inoltre, gli articoli 30, 34 e 42 del d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i. richiamano principi generali, quali la tutela di esigenze ambientali e sociali, il favor per la partecipazione alle procedure di gara da parte delle microimprese, piccole e medie imprese, il rispetto dei principi di economicità, di efficacia, di tempestività e di correttezza, di libera concorrenza e di parità di trattamento, tanto cari all’ordinamento europeo, che permeano, nei fatti, l’intero tessuto codicistico.

Grandi indicazioni non giungono neppure dalla giurisprudenza, che fino ad oggi non pare avere avuto occasione di confrontarsi veramente con la tematica per sviscerarla compiutamente.

Così, nella sentenza n. 3889 resa dalla sezione I-quater del T.A.R. Lazio Roma in data 31 marzo 2021, il Collegio capitolino si è limitato a segnalare – con riferimento a una procedura aperta di massima urgenza indetta dal Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 – che “l’art. 122 del d.l. n. 18 del 2020, nell’autorizzare il Commissario straordinario ad adottare provvedimenti derogatori non ha posto alcuna limitazione, per materia o contenuto, alle disposizioni derogabili salvo quanto espressamente indicato («in deroga a ogni disposizione di legge vigente, nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea”)”. Di conseguenza, il Commissario “esercitando i poteri ad esso conferiti, già nell’avviso di gara telematica ha precisato che la presente procedura è predisposta in deroga al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e alle vigenti norme del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, con conseguente disapplicazione delle disposizioni in oggetto, ad eccezione delle norme specificamente richiamate negli atti di gara”.

Del pari, dalla sentenza n. 597 resa dalla Iᵃ sezione del T.A.R. Piemonte in data 8 giugno 2021, si ricava che la scelta di verificare l’anomalia delle offerte a operazioni di gara già concluse (nel caso di specie, dopo la stipula dell’accordo quadro) si giustifica proprio in considerazione del fatto che “la gara è stata bandita ai sensi dell’art. 2, commi 3 e 4 del decreto Semplificazioni, il quale ha consentito alle stazioni appaltanti di espletare procedure di gara in deroga …”, senza che ciò determini alcuna lesione del diritto di difesa procedimentale e processuale.

Siamo davvero sicuri che sia questo il significato da attribuire alla locuzione sopra richiamata e che questa sia l’unica strada per far fronte alle inefficienze del sistema Paese?

Una riflessione onesta, schietta, concreta e sincera pare quanto meno doverosa.