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Il conferimento dello studio professionale

In virtù di quanto affermato di recente dalla Cassazione, è legittimo cedere lo studio verso corrispettivo, il che abilita anche il conferimento, atteso che esso va definito come una cessione a titolo oneroso con corrispettivo non monetizzato.

In tempi in cui è sempre più sentita la necessità di associarsi per svolgere l’attività professionale (più del 40% dei commercialisti già oggi svolge l’attività in forma associata) diventa essenziale capire come trattare sul piano civilistico il conferimento dello studio, passo necessario per traghettare l’attività individuale verso una forma associata.

Conferimento dello studio professionale: le conseguenze civilistiche

Ma in primo luogo dobbiamo capire se sia lecito e quali conseguenza civilistiche porti con sé il conferimento dello studio.

Certamente non siamo di fronte ad un conferimento di azienda che invece presenta una certa procedura sul piano civilistico.

Mentre in tempi risalenti la dottrina e la giurisprudenza ritenevano che non fosse possibile eseguire il conferimento dello studio professionale, in epoche più recenti l’orientamento è radicalmente mutato a partire da una sentenza della Cassazione (Corte di Cassazione, n. 2860/2010) che ha giudicato legittimo cedere lo studio verso corrispettivo, il che abilita anche il conferimento, atteso che esso va definito come una cessione a titolo oneroso con corrispettivo non monetizzato.

Il conferimento dello studio professionale

A livello fiscale

Ma se sul piano fiscale non siamo di fronte ad un conferimento disciplinato dall’articolo 176 Tuir, la conclusione è che esso deve sempre avvenire a valore normale ex articolo 9 Tuir?

Fortunatamente le cose non stanno proprio così. In primo luogo occorre rimarcare che una cosa è conferire il proprio studio in una società semplice o studio associato, altro è conferirlo ad una società commerciale STP, di persone o di capitale.

Il primo caso è stato oggetto di una risoluzione risalente al 2009 (risoluzione 177/E/2009) e consisteva in un conferimento di studio verso una associazione professionale, quindi soggetto di cui all’articolo 5, comma 3, lett. c), Tuir.

Il quesito posto verteva sulla assimilazione supposta tra conferimento e cessione delle clientela, quindi se poteva trovare applicazione l’articolo 54, comma 1 quater, Tuir anche nei confronti del conferimento dello studio inteso come cessione a titolo oneroso del medesimo, ancorché non monetizzata.

Sul punto è stato chiaro il pensiero della Agenzia delle Entrate nel ritenere che l’operazione non potesse dar luogo a formazione di reddito da lavoro autonomo (né altra categoria reddituale) in ragione del fatto che manca nel conferimento proprio la monetizzazione del trasferimento.

Se non c’è incasso di denaro non si configura l’ipotesi di cui all’articolo 54, comma 1 quater, Tuir e ciò anche se allo studio viene assegnato un certo valore che poi si riverbera nell’entità della quota di partecipazione ricevuta e in definitiva nella quota di partecipazione all’utile ancorata alla partecipazione.

Tutto ciò a condizione che lo statuto societario non preveda che al momento del recesso vi sia il diritto a ricevere una somma in denaro pari al valore della quota.

Questa precauzione da parte delle Entrate non sembra troppo razionale considerando che comunque non sfuggirebbe a tassazione l’incasso di una somma di denaro al momento del recesso, atteso che se ciò avvenisse il socio recedente subirebbe la tassazione prevista ordinariamente dall’articolo 47, comma 7, Tuir.

Se l’intento è quello di non veder sottratto imponibile (sostituendo alla cessione monetaria il conferimento) non serve vietare la clausola statutaria del recesso oneroso poiché se essa esistesse la tassazione sarebbe già prevista dall’ordinamento.

Alla medesima conclusione di non tassazione dello studio conferito non perviene l’Agenzia delle Entrate se la società conferitaria appartiene al perimetro del reddito d’impresa, quindi società di persone commerciale o società di capitali costituite in forma di STP.

Nel più recente interpello n. 107 del 2018, il caso era rappresentato dalla trasformazione di uno studio associato in una Sas STP, ritenendo l’interpellante che l’operazione poteva essere qualificata come neutrale ex articolo 170 Tuir.

A questa tesi non aderisce affatto l’AdE, partendo dal presupposto che non si possono applicare istituti tributari pensati per società appartenenti al perimetro del reddito d’impresa a società che non vi appartengono (studio associato).

La trasformazione eterogenea

In realtà l’operazione proposta va qualificata come una trasformazione eterogenea da soggetto non appartenente al reddito d’impresa verso soggetto che vi appartiene: in sostanza l’articolo 171, comma 2, Tuir.

In base a tale norma la trasformazione eterogena progressiva viene trattata come un conferimento di beni (quelli che eventualmente non appartengono già ad una azienda), applicando quindi:

  • l’articolo 54, comma 1 bis, Tuir per le eventuale plus/minusvalenze dei beni strumentali,
  • l’articolo 9 Tuir, quindi valore normale, per i beni diversi da quelli strumentali.

Per dire il vero l’Agenzia non cita espressamente il valore della clientela tra i beni diversi da trattare con l’articolo 9 Tuir, ma questo, ovviamente, è il tema più delicato.

A parere di chi scrive si può pervenire alla conclusione che non vi sia tassazione del valore della clientela trasferito alla società conferitaria, poiché siamo sempre di fronte ad una operazione non monetizzata quindi non ricadente sotto la disciplina dell’articolo 54, comma 1 quater, Tuir.

Fuori dall’articolo 54 Tuir si potrebbe tentare di applicare l’articolo 67 , lett. n), Tuir laddove stabilisce che sono redditi diversi quelli che derivano da trasformazioni eterogenee ex articolo 171, comma 2, Tuir, ma anche questa tesi appare priva di fondamento.

Infatti la tassazione quale reddito diverso deve comunque individuare una fattispecie inquadrata nella varie lettere dell’articolo 67 Tuir, e non sembra , scorrendo tutte le ipotesi previste, di individuarne una applicabile alla cessione della clientela.

In questa direzione, peraltro, si muove anche l’autorevole dottrina del Documento Cndcec del settembre 2020.

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