Il crollo del ponte Morandi e le "lezioni" che ci lascia
Un'attenta riflessione su cosa il crollo del Ponte di Genova insegna
Il pensiero ai fatti del 14 agosto 2018 non può che riguardare, prima di tutto, le vittime, le famiglie coinvolte, gli affetti irreversibilmente infranti, oltre che la solidarietà delle persone comuni e l’impareggiabile sistema, strutturato e volontario, dei soccorsi.
Per tutti quelli che guardano alle costruzioni, alle opere di ingegneria in generale, stando dalla parte degli “addetti ai lavori”, il crollo offre anche altre riflessioni che, in queste settimane, hanno occupato gran parte della discussione tecnica ed anche di quella che, dalle informazioni di natura tecnica, deriva altre riflessioni di carattere politico, amministrativo, sociale, economico.
Ingenio ha dedicato molto spazio a queste riflessioni; uno spazio aperto e non costretto entro binari precostituiti, che oggi, attraverso una selezione dei tanti articoli e dei tanti commenti, viene riproposto all’attenzione di tutti per quel contenuto tecnico scientifico che, pur nella tragedia, ha una utilità concettuale e formativa di rilievo.
Una sintesi che parla il linguaggio del protagonista (l’ing. Morandi), della storia, della ricerca, delle esperienze sul campo.
Con il ponte Morandi se ne va un simbolo della sintesi virtuosa tra il momento della concezione, quello delle verifiche, quello della costruzione; ma anche un simbolo di sperimentazione ed innovazione delle tecnologie e dei processi costruttivi, oltre che della responsabilità di un mestiere, quello dell’Ingegnere, tanto affascinante e coinvolgente quanto fortemente connesso al concetto di rischio nella sua più ampia accezione.
Un ponte in cemento armato precompresso che, con il suo crollo, riporta inevitabilmente sulla scena tutta la forza delle idee di chi vede in questo materiale il nemico più grande di costruzioni sicure e durabili.
Basta coi fondamentalismi materici
E’ mia convinzione che una delle tante lezioni che questo crollo disastroso deve darci è quella che riguarda la necessità, sempre più e sempre meglio, di abbandonare i fondamentalisti materici di chi dice, senza contesto e senza confronto, “tutto legno”, “tutto acciaio”, “tutto vetro” …, per sostituirli con l’essenza del “fare progetto” che, prima di tutto, vuol dire valutare le opzioni, analizzarle, confrontarle, scegliere e, come certo fanno anche gli ingegneri, e come dice il sociologo Ulrich Beck, prendere “decisioni in condizioni di rischio”.
E dopo la scelta, dopo il progetto, dopo la costruzione, “..la preziosa esigenza di riandare con il pensiero alle ipotesi fatte, ai calcoli…” (P. Pozzati) riprendere tutte quelle valutazioni per indirizzare verso l’attenzione al ciclo di vita, la manutenzione, il monitoraggio.
Tornare alla conoscenza dei materiali
Per il materiale cemento armato, e per quello precompresso con tecniche di post tensione in particolare, la lezione più grande è quella di un materiale bellissimo che deve, però, essere conosciuto e progettato in ogni dettaglio, incluso quello materico connesso ai materiali componenti (il calcestruzzo, l’acciaio); necessità che stride un pò con la pressoché generalizzata eliminazione dei corsi di tecnologia dei materiali nella formazione degli ingegneri civili ad indirizzo strutturale.
Fu un ingegnere de Genio Civile del centro della Francia ad innovare, nel 1905, il sistema della costruzione o ricostruzione dei ponti; quell’ingegnere si chiamava Eugene Freyssinet e con lui, non solo con lui, la strada alle costruzioni in cemento armato, e poi in cemento armato precompresso, fu definitivamente tracciata.
“Il cemento armato precompresso deve però difendersi anche da altri nemici particolarmente insidiosi: la corrosione e la rottura spontanea sotto sforzo…. il precompresso è così diventato un sorvegliato speciale…” così, il prof. Franco Levi (“Cinquant’anni Prima - dic. 2003)
Il ponte Morandi, resta giustamente protagonista di questa fase del “dopo crollo”, perchè le scelte sulla prossima ricostruzione dovranno comunque fare i conti con la sua storia oltre che con le porzioni ancora in situ.
E per il futuro ponte?
La mia personale idea è che, qualsiasi sia la scelta - demolizione e ricostruzione totale o ricostruzione solo della porzione crollata - essa sia fatta dopo una attenta valutazione di tutti gli aspetti e non sulla scorta di scelte emotive di nessun genere e della adesione “senza se e senza ma” alle teorie della più rigorosa conservazione o a quelle, opposte, della necessità della sostituzione moderna.
“I ponti li costruiscono gli ingegneri. A Genova serve un bravo progettista di Ponti”, dice Renzo Piano; penso che si possa anche andare oltre una affermazione che potrebbe anche sembrare generica; è mia convinzione che, per la stragrande maggioranza dei progetti tanto per nuove costruzioni quanto per gli interventi sul costruito, serva una visione interdisciplinare e multidisciplinare.
Il tempo del cordoglio e del dolore resterà tra noi ancora per molto; forse, le critiche anche feroci indirizzate al progettista, e quell’ansia di ricercare ogni sua opera per demonizzarla e coinvolgerla nella spirale di fini annunciate, inizieranno lentamente a regredire, lasciando spazio a più meditate valutazioni tecniche e scientifiche.
L’immagine della distruzione e della rovina che ancora oggi è sotto i nostri occhi rappresenti il proposito di un impegno sempre più attivo e pressante, di tutti (parlamento, governo nazionale, governi locali, tecnici) sui temi della sicurezza del costruito.