IMU riporta la pressione fiscale sulle rendite da locazione vicino al 40%
L’IMU può far scendere i valori immobiliari e riporta la pressione fiscale sulle rendite da locazione vicino al 40%. Il caso di Roma L’introduzione dell’Imu che da quest’anno è tornata a colpire le abitazioni degli italiani ha portato alla ribalta la questione delle quotazioni immobiliari, con importanti riflessi sull’andamento del mercato immobiliare residenziale in Italia. Da un’attenta analisi sembrerebbe infatti che nel breve periodo, nella sfida dei rendimenti, il real estate soccomba nel confronto con altri prodotti finanziari. Questa nuova ICI che grava sulle prime case e si gonfia per le seconde abitazioni con un’aliquota base dello 0,76% (ampliabile dai Comuni fino all’1,06%) fornisce un contributo senza dubbio rilevante nella partita doppia costi/benefici per coloro i quali possiedono uno o più immobili da mettere a reddito. Ovviamente occorre considerare anche altre variabili di costo come ad esempio la cedolare secca (21% dell’affitto, il 19% in caso di canone concordato), ma emerge con chiarezza come il settore immobiliare soffra la concorrenza di altri strumenti finanziari. Prendiamo ad esempio la situazione di Roma, la più importante piazza italiana per il real estate residenziale. Qui il rendimento medio lordo annuo di un immobile residenziale in affitto si è attestato nella prima metà del 2012 al 4,5% (4,36% la media nazionale secondo Nomisma). Tutto ciò equivale a un rendimento annuale netto (applicando la cedolare secca con aliquota al 21%) del 3,1%. Se invece guardiamo all’offerta di altri strumenti finanziari come i rendimenti annuali lordi pagati sulla liquidità vincolata sino a 24 mesi su un conto deposito, notiamo come è facile trovare percentuali vicine al 5% che, al netto della ritenuta fiscale del 20% applicata sui depositi bancari, equivalgono a rendimenti annuali del 4%. Il rischio concreto è che i proprietari di immobili possano optare per la dismissione dei propri asset nei prossimi 8-12 mesi rinunciando a un rendimento netto da locazione di poco superiore al 3% per poi investire la liquidità con un rendimento netto da conto deposito pari al 4%. Proviamo a fare un esempio. Prendiamo un immobile da 300mila € situato in zona centrale a Roma, da cui il proprietario ricava un canone di locazione, al netto della cedolare secca, di circa 13.100. A questa cifra occorre però sottrarre il valore dell’IMU (per la seconda casa a Roma l’aliquota è pari all’1,06%) e la cedolare secca, che portano il rendimento netto a circa 8.800 euro. Uno stesso investimento in uno dei conti deposito più convenienti oggi (che possono tranquillamente spuntare un rendimento del 3,9% al netto della ritenuta fiscale) frutterebbe invece 11.700 euro con una differenza netta di 2.900. Da considerare anche che il possessore di immobili deve fronteggiare l’ammortamento delle spese di ristrutturazione dell’abitazione di proprietà quantificabile in 1% annuo del valore di mercato dell’immobile (calcolato considerando una ipotetica ristrutturazione ventennale pari al 20% del valore della casa stessa).
L’IMU può far scendere i valori immobiliari e riporta la pressione fiscale sulle rendite da locazione vicino al 40%.
[FONTE: AITEC]
Il caso di Roma
L’introduzione dell’Imu che da quest’anno è tornata a colpire le abitazioni degli italiani ha portato alla ribalta la questione delle quotazioni immobiliari, con importanti riflessi sull’andamento del mercato immobiliare residenziale in Italia.
Da un’attenta analisi sembrerebbe infatti che nel breve periodo, nella sfida dei rendimenti, il real estate soccomba nel confronto con altri prodotti finanziari.
Questa nuova ICI che grava sulle prime case e si gonfia per le seconde abitazioni con un’aliquota base dello 0,76% (ampliabile dai Comuni fino all’1,06%) fornisce un contributo senza dubbio rilevante nella partita doppia costi/benefici per coloro i quali possiedono uno o più immobili da mettere a reddito. Ovviamente occorre considerare anche altre variabili di costo come ad esempio la cedolare secca (21% dell’affitto, il 19% in caso di canone concordato),
ma emerge con chiarezza come il settore immobiliare soffra la concorrenza di altri strumenti finanziari.
Prendiamo ad esempio la situazione di Roma, la più importante piazza italiana per il real estate residenziale. Qui il rendimento medio lordo annuo di un immobile residenziale in affitto si è attestato nella prima metà del 2012 al 4,5% (4,36% la media nazionale secondo Nomisma). Tutto ciò equivale a un rendimento annuale netto (applicando la cedolare secca con aliquota al 21%) del 3,1%.
Se invece guardiamo all’offerta di altri strumenti finanziari come i rendimenti annuali lordi pagati sulla liquidità vincolata sino a 24 mesi su un conto deposito, notiamo come è facile trovare percentuali vicine al 5% che, al netto della ritenuta fiscale del 20% applicata sui depositi bancari, equivalgono a rendimenti annuali del 4%.
Il rischio concreto è che i proprietari di immobili possano optare per la dismissione dei propri asset nei prossimi 8-12 mesi rinunciando a un rendimento netto da locazione di poco superiore al 3% per poi investire la liquidità con un rendimento netto da conto deposito pari al 4%.
Proviamo a fare un esempio.
Prendiamo un immobile da 300mila € situato in zona centrale a Roma, da cui il proprietario ricava un canone di locazione, al netto della cedolare secca, di circa 13.100. A questa cifra occorre però sottrarre il valore dell’IMU (per la seconda casa a Roma l’aliquota è pari all’1,06%) e la cedolare secca, che portano il rendimento netto a circa 8.800 euro.
Uno stesso investimento in uno dei conti deposito più convenienti oggi (che possono tranquillamente spuntare un rendimento del 3,9% al netto della ritenuta fiscale) frutterebbe invece 11.700 euro con una differenza netta di 2.900.
Da considerare anche che il possessore di immobili deve fronteggiare l’ammortamento delle spese di ristrutturazione dell’abitazione di proprietà quantificabile in 1% annuo del valore di mercato dell’immobile (calcolato considerando una ipotetica ristrutturazione ventennale pari al 20% del valore della casa stessa).