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La conduzione degli impianti di depurazione delle acque reflue

La situazione italiana degli impianti di depurazione delle acque reflue

In Italia si è ancora lontani dal raggiungere l’obiettivo di assicurare una completa depurazione delle acque reflue per tutti i cittadini. Lo si capisce, tra l’altro, cercando le statistiche fornite dall’Eurostat: il rigo dell’Italia è sempre vuoto. Andando, ad esempio, a esaminare i dati del documento SEC(2011) 1561 final, Brussels, 7.12.2011, redatto dalla Commissione Europea a proposito dell’implementazione della Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (91/271/CEE), si capisce come la situazione non sia per niente rosea per il nostro paese.
Infatti, l’articolo 4 della direttiva UE, prevede che secondo precise cadenze temporali (ampiamente scadute) gli Stati membri debbano provvedere affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, a un trattamento adeguato. Ebbene, la percentuale di conformità dell’Italia è del 58%. Giusto per dare una misura della gravità della situazione, la Grecia, paese sull’orlo del baratro economico, finanziario e sociale è al 96%.
Ad aggravare la situazione, il 21 giugno scorso, è giunto un comunicato stampa della Commissione europea, che ha proposto ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione Europea per il mancato ottemperamento dell’Italia degli obbiettivi previsti dalla direttiva 91/271/CEE, per la mancanza di trattamento delle acque reflue in 50 centri con più di diecimila abitanti.
È il caso di evidenziare come le Regioni lamentino una generale e cronica carenza di fondi per la depurazione. Non sempre, tuttavia, i fondi disponibili sia per la costruzione sia per l’adeguamento degli impianti esistenti vanno a buon fine.
Una nota particolarmente dolente attiene alla gestione degli impianti in termini di conduzione del processo depurativo: anche a causa della limitatezza delle risorse economiche disponibili o per la mancanza di personale sufficientemente qualificato, a volte si assiste a comportamenti superficiali, che trascurano alcune operazioni di base, con conseguenti cali di efficienza e gravi diseconomie. Queste circostanze sono particolarmente frequenti negli impianti medio-piccoli, dove non si riesce sempre a garantire un’adeguata gestione.
In generale, la conduzione del processo riguarda tutte le operazioni che devono essere condotte con periodicità, al fine di garantire una costanza del processo depurativo, in modo da assicurare il rispetto dei limiti normativi per l’effluente, salvaguardando l’economicità della gestione.
La conduzione del processo varia secondo la struttura dell’impianto e la tipologia delle apparecchiature installate. Ad esempio, nei piccoli impianti di depurazione le griglie a pulizia manuale e i dissabbiatori a canale, necessitando di una presenza assidua di personale, fanno sensibilmente lievitare i costi relativi. D’altro canto, anche ai fini della tutela del personale, si cerca di automatizzare gli impianti in modo da ridurre all’essenziale le operazioni manuali, specialmente nelle fasi a maggior rischio igienico.
La conduzione dell’impianto si esplica soprattutto nella verifica della funzionalità delle apparecchiature, in particolare di quelle di riserva, che troppo spesso sono lasciate inattive per lunghi periodi. L’assenza di una verifica periodica della loro funzionalità è all’origine dei malfunzionamenti che si evidenziano, sistematicamente, quando è necessario attivarle, in caso di emergenza. Per evitare questi inconvenienti, è opportuno alternare il funzionamento delle macchine con una certa periodicità. In questo modo, oltre a garantire una sicurezza al processo, si allunga la vita media delle apparecchiature, riducendo, al contempo, i costi di manutenzione.
Altre operazioni che rientrano in questa categoria e che devono essere regolarmente condotte sono l’allontanamento dei materiali di risulta, lo spurgo dei fanghi, l’aggiunta di addittivi, ecc.
Non è raro che un impianto di depurazione, dimensionato in base a determinate ipotesi progettuali, si trovi a gestire carichi non previsti. Mutate condizioni ambientali, dovute a un aumento di popolazione o a insediamenti industriali successivi alla progettazione o anche scelte non consone in sede di progettazione, possono dar luogo a complicazioni nella gestione dell’impianto.
I fenomeni più frequentemente riscontrati sono in genere dovuti a:

  • incremento del carico idraulico;
  • incremento del carico organico;
  • scarichi contenenti sostanze incompatibili con il processo depurativo adottato.

In generale, il problema di più difficile soluzione è il primo, poiché un eccesso di portata può difficilmente essere affrontato senza un adeguamento strutturale e può incidere negativamente sulle unità di sedimentazione. Una riduzione di efficienza nella sedimentazione primaria comporta un aumento del carico organico in fase di ossidazione. Una tale riduzione può essere efficacemente contrastata ricorrendo alla sedimentazione chimicamente assistita (CAPS). La CAPS è un processo di natura chimico-fisica, in cui l’aggiunta di un reattivo chimico al refluo urbano da trattare consente di ottenere un incremento del rendimento depurativo, senza interferire in modo significativo sul funzionamento del trattamento biologico successivo.
Un aumento di portata senza un corrispondente incremento del carico organico, a seguito di infiltrazioni di acque parassite in fognatura, di consumi elevati oppure per immissione di acque di lavaggio in rete, comporta di fatto una diluizione dei reflui: l’ossidazione biologica, che pure riduce i propri tempi di ritenzione, non subisce un decremento di efficienza.
La fase che più di ogni altra subisce l’effetto negativo dell’aumento del carico idraulico è la sedimentazione secondaria, dove il fango biologico può essere trascinato con l’effluente, se presenta una scarsa sedimentabilità. In questo caso si può tentare un appesantimento del fango con reattivi chimici (coagulanti, flocculanti, inerti, ecc.) ma solo per valori non eccessivamente elevati del carico idraulico.
Nel caso di portate consistenti può essere necessario ricorrere a strutture aggiuntive. Se l’eccesso di carico si verifica soprattutto in corrispondenza dei valori massimi (punte) si può prevedere un prelievo di parte della portata da trattare separatamente, solo nel periodo di punta.
Se il carico continua a rimanere eccessivo, non vi è altra soluzione possibile che ricorrere a un ampliamento dell’impianto. In alcuni casi, se non si vogliono realizzare altre opere civili anche per motivi di spazio, è possibile asservire più unità di sedimentazione a un’unica linea di ossidazione e trasformare le linee rimaste sprovviste di sedimentatore in sistemi a membrana (MBR, Membrane Biological Reactor).
Gli impianti a biomassa adesa risentono dell’incremento di carico idraulico anche nella fase ossidativa. In presenza di liquami più diluiti, in un percolatore con ricircolo è opportuno ridurre il rapporto di ricircolo, per evitare un distacco eccessivo del biofilm. La diminuzione di efficienza dei sistemi a biomassa adesa è tipicamente elevata in caso di sovraccarichi.
In generale, è più facile affrontare l’incremento del carico organico, specialmente in impianti a biomassa sospesa. Il sovraccarico organico può essere contrastato, innanzitutto, con il ricorso alla sedimentazione assistita, trattenendo una maggiore quantità di sostanza organica con i trattamenti primari. Un eccesso di carico organico in fase ossidativa richiede tipicamente un potenziamento dei sistemi di aereazione, che può essere facilmente ottenuto ricorrendo all’ossigeno puro. Tuttavia riduzioni consistenti dell’efficacia del processo di ossidazione, in termini di BOD, si registrano solo se l’aumento di carico organico è più che significativo rispetto a quello di progetto; è più facile, invece, incorrere in una riduzione della capacità di nitrificazione: in ogni caso, si può intervenire con un aumento della concentrazione dei solidi sospesi nella miscela aerata anche ricorrendo alla trasformazione di alcune unità in MBR.
Bisogna tenere sempre presente che a un incremento di carico corrisponde un incremento della produzione di fango che deve essere fronteggiata con un potenziamento della linea fanghi. Anche in questo caso è possibile fare ricorso ad apparecchiature aggiuntive (addensatori dinamici, macchine disidratatrici di maggiore portata, ecc.).
Qualora nei reflui si riscontri la presenza di composti che non si possono rimuovere con le unità con cui si attua il processo depurativo, in presenza di vasche di sedimentazione primaria, si può fare ricorso alla sedimentazione assistita, che, utilizzata con opportuni reagenti precipitanti, può ridurre o eliminare del tutto i composti indesiderati, prima della fase biologica. In altri casi si possono aggiungere sostanze capaci di esercitare un effetto tampone sulle sostanze (ad esempio, uso del carbone attivo in polvere nella fase biologica). Non sempre, tuttavia, è possibile intervenire senza ricorrere a interventi strutturali, prevedendo, ad esempio, una fase intermedia di ossidazione chimica.
Per eliminare eventuali composti che attraversano il trattamento biologico senza essere rimossi si può prevedere un semplice trattamento aggiuntivo di finissaggio, quale, ad esempio, la filtrazione su carbone attivo granulare.

 

Per approfondimenti

 
Acque reflue. Progettazione e gestione di impianti per il trattamento e lo smaltimento

Giovanni De Feo, Sabino De Gisi, Maurizio Galasso

Dario Flaccovio Editore
ISBN 9788857901183
1244 pagine
Formato 17x24

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