Data Pubblicazione:

La forza semplificatrice della pianificazione attuativa

Oggi le nostre città sono sommerse da montagne di carte e di burocrazia. I problemi dell'ingorgo non sono solo procedurali ma snaturano anche i rapporti fra le figure che intervengono nel processo.

Modesta proposta per il divenire delle città

L'evoluzione della normativa urbanistica ed edilizia nell'ultimo decennio ha assunto un carattere troppo complesso e ha generato un coacervo di norme spesso contraddittorie e comunque di dubbia interpretazione. Tanto che il fenomeno di professionisti che si rifiutano di sottoscrivere SCIA, DIA o comunque di assumere autonomamente un'interpretazione autentica, sta aumentando sempre più.

Dalle sue origini, l'urbanistica ha sempre svolto il ruolo di indirizzare situazioni complesse verso una soluzione semplificata e di normare per linee generali i diversi comportamenti singoli; una forza semplificatrice da tutti accettata e richiesta. La prima conferenza internazionale della storia dedicata all’urbanistica si tenne a New York nel 1898 per affrontare i problemi generati dall’aumento dei cavalli nelle città. Esponenti politici, amministratori locali, geografi, architetti e ingegneri provenienti da tutto il mondo cercarono una soluzione al problema. La crescita del numero di cavalli presenti nei centri abitati era esponenziale e le città americane erano letteralmente sommerse dal loro letame, dalle loro carcasse e dalle mosche. La soluzione fu semplice e per quei tempi, "ambientalmente sostenibile": privilegiare e diffondere l'uso dell'automobile.

Da quel momento abbiamo fatto dei progressi ma oggi le nostre città sono nuovamente sommerse anche se solo da montagne di carte e di burocrazia. È aumentato in modo abnorme il numero di oggetti normati e si sono moltiplicate le procedure; in urbanistica le norme sono diventate piccoli trattati di edilizia, il doppio piano ha solo prodotto un aggravio di procedure mentre le vere scelte sono affidate a programmi complessi o accordi di programma che generano varianti al PRGC spesso incongrue.
I problemi dell'ingorgo non sono solo procedurali ma snaturano anche i rapporti fra le figure che intervengono nel processo. I progettisti sono concentrati su procedure defatiganti, la Pubblica amministrazione è impegnata a garantire il processo ma sempre più solo con operazioni e controlli a campione ed inquisitori. Nessuno si interessa della reale congruenza della trasformazione edilizia od urbanistica con il contesto; la visione del futuro è affidata spesso a fumose espressioni tecnico politiche e non a scenari evolutivi valutabili e misurabili e tanto meno al confronto fra progettisti e gestori.
Una situazione di blocco e uno stallo con cause multifattoriali che va affrontato con riforme di base ma che potrebbe essere almeno subito smosso con azioni decise, puntuali come per un nodo gordiano, un colpo di spada. L'urbanistica può compiere queste azioni forti se si rifà alle sue origini e nella storica legge 1150 uno degli strumenti più efficaci ma in fondo poco e male usato è il Piano particolareggiato. Oggi tutti concordano che l'obiettivo primario per il rilancio del settore edilizio è una forte e innovativa rigenerazione urbana ma manca il coraggio politico di affrontarla con energia offrendo a estese parti di città un piano di rinnovo edilizio con strumenti utili a gestire in modo unitario gli interventi in presenza di edifici obsoleti ma con proprietà frammentate, non contemporaneamente disposte ad intervenire o assenti.

Ci si limita ad offrire meccanismi premiali, agevolazioni fiscali non mirate e diffuse a pioggia; i piani casa e le provvidenze statali vanno in questa direzione ma gli esiti non sono soddisfacenti. In urbanistica abbiamo già visto situazioni simili: i centri storici negli anni '60 in graduale abbandono o le zone investite dai terremoti, entrambe oggetto di contributi singoli per il recupero ma anche di forti e complessi piani attuativi.
Il Piano particolareggiato ha spesso garantito esiti organici, talvolta è risultato troppo vincolante e costoso ma è da questa esperienza obbligata che sono nati programmi complessi, piani di ricostruzione e i discussi accordi di programma. Ridisegnarne i contenuti, aumentarne la flessibilità, esercitare verifiche intermedie sulla sua attuazione, limitarne la durata da 10 a 5 anni, ecc.; lo chiameremo NewPP per sintesi ma va inteso come un rinnovamento a "legislazione invariata" visto che le riforme vere devono ancora trovare il momento adatto per emergere. La regolazione dei NewPP può essere affidata a soli decreti ministeriali o alle legislazioni regionali che spesso già prevedono strumenti attuativi speciali.

Ma il punto vero che può fare la differenza è che tutta l'attività edilizia prevista e regolata dal NewPP viene totalmente affidata alla sola responsabilità dei proprietari e dei professionisti progettisti e direttori dei lavori una volta che il NewPP è approvato e su questo si sono espresse compiutamente i decisori politici ed amministrativi. La LR 15/2013 dell'Emilia Romagna già prevede che in presenza di "precise disposizioni sui contenuti planovolumetrici, formali, tipologici e costruttivi" il permesso di costruire può essere sostituito dalla SCIA; si tratta di fare un passo in più per giungere ad una maggiore libertà di costruire.
Un NewPP "ben formato"può garantire il rispetto dei parametri edilizi, le linee estetiche e i diritti di terzi, se viene strutturato come planivolumetrico vincolante sul modello dei PP dei centri storici; può garantire sicurezze per i rischi naturali perchè accompagnato da verifiche sismiche o idrogeologiche; può dare innovazione al suo contesto se basato su studi specialistici come quelli di riqualificazione energetica. Naturalmente controlla gli aspetti propriamente urbanistici come il disegno della città pubblica, gli standards e la conformità al PRGC insieme a tutti gli accordi paraurbanistici o convenzionali che si vogliono avviare per la ricostruzione di standards e sottoservizi moderni. Con la sua approvazione in Consiglio comunale si garantiscono pubblicamente le regole di fondo e si ridà spazio alla partecipazione e al dibattito.

Non c'è nulla di nuovo, si potrà dire ma una ipotesi di forte semplificazione delle procedure edilizie che si potrebbe ipotizzare si appoggia proprio su questi ipotetici NewPP; tratta di spostare tutti i controlli sostanziali e di tutela dell'interesse pubblico all'interno dell'iter di approvazione del Piano. che è atto complesso amministrativo e politico superiore alle istruttorie edlizie e che quindi le potrebbe sostituire tutte; Se l'approvazione del NewPP assume natura di permesso di costruire, se quindi il piano attuativo è definito in dettaglio tale da permettere l'espressione di pareri di tipo edilizio, con questa procedura ci si può liberare della responsabilità pubblica di controllo delle SCIA con l'insoddisfacente controllo a campione. Ciò può avvenire se le procedure edilizie autocertificate vengono depositate presso gli uffici comunali solo per garantire certezza dei tempi e integrità dei materiali senza controlli sistematici e a campione da parte degli uffici e le SCIA depositate si esaminano solo a seguito di atti giudiziari o di contenziosi o di esposti motivati; anche l'abitabilità finale si trasforma in una verifica urbanistica di conformità, ora sì, del costruito alle sole norme del NewPP mentre le norme tecniche autocertificate sono garantite dai progettisti.
È un po' il meccanismo originario dei depositi dei progetti strutturali in zona non sismica, soggetti a solo collaudo finale, che ha regolato l'intera filiera del progetto di strutture senza problemi per decenni e, non ultimo, un meccanismo che non ha mai degenerato in corruzione o in ricatti burocratici.

Si può immaginare il sollievo dei tempi e dei controlli formali che vengono saltati a piè pari e affidati alla responsabilità professionale personale mentre la struttura tecnico-amministrativa comunale può accompagnare la realizzazione dell'ambito, libera da compiti ispettivi, cambiando il rapporto con il costruttore, gestendo la qualità della città pubblica, anche progettandola nei dettagli, verificando a fondo la materia urbanistica e lasciando la sfera edilizia al libero rapporto privato-privato.

È la strada opposta a quella percorsa dai vari "piani casa" che ad oggi possiamo considerare inefficaci e anzi dannosi. È inutile liberalizzare gli interventi su singole unità immobiliari, già assoggettate ad autocertificazioni e che non sono più un problema da tempo mentre è indispensabile rispondere ad esigenze di un moderno rinnovo urbano che passa attraverso la ristrutturazione di palazzi, condomini, aggregati di proprietà, stratificati e complessi e non di sole villette singole.
Ricordiamo che le ultime ricostruzioni di successo, Friuli e Umbria nei rispettivi post-sisma, hanno percorso strade simili con i Piani di ricostruzione, le Unità minime di intervento e strumenti analoghi.
I costi di progetto iniziale sono dei privati o se pubblici possono essere trasferibili ai privati che intervengono. I tempi sono quelli dell'urbanistica attuativa, lunghi ma controllabili e comprimibili se c'è la volontà attuativa congiunta pubblica e privata; il momento edilizio è poi immediatamente avviabile. Semplice, no?