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La gestione dei materiali da scavo alla luce del Decreto del Fare e successive conversioni

La gestione dei materiali da scavo alla luce del Decreto del Fare e successive conversioni

In fase di conversione del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69 (c.d. Decreto del Fare) è stata operata una ulteriore modifica al regime delle terre e rocce da scavo.
La l. 9 agosto 2013 n. 98 di conversione del d.l. n. 69/2013 (pubblicata in G.U. n. 194 del 20 agosto 2013), in vigore dal 21 agosto 2013, ha introdotto l’art. 41bis “Ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo”.
Sulla base di queste due recenti norme la gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti si distingue per i materiali soggetti e non a VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale).
L’art. 41, comma 2 della l. 98/2013 stabilisce che il d.m. 161/2012 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo) “si applica solo alle terre e rocce da scavo provenienti da attività o opere soggette a valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale”.
Per i materiali da scavo invece che non provengono da attività o opere soggette a VIA e/o AIA l’art. 41-bis della l. 98/2013 prevede che essi siano sottoposti al regime dei sottoprodotti di cui all’art. 184-bis del d.lgs. 152/06 e s.m.i. (Codice Ambiente).
Tale articolo prevede inoltre che il produttore dimostri che vengono soddisfatte le seguenti quattro condizioni che consentono di considerare i materiali da scavo quali sottoprodotti e non rifiuti:
1.            sia certa la destinazione all’uso direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati;
2.         in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non siano superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui all’Allegato 5 alla parte IV del d.lgs. 152/06 e s.m.i. e i materiali non costituiscano fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee;
3.         in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime;
4.         relativamente agli utilizzi previsti nei punti 2 e 3, non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere (si confronti il d.m. 161/12 per tale definizione).
In base all’art. 41-bis, inoltre, il proponente o il produttore attesta il rispetto di tali condizioni tramite una dichiarazione all’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa), precisando le quantità da utilizzare, il sito di deposito e i tempi previsti per l’utilizzo, che non possono comunque superare un anno dalla data di produzione, salvo i casi in cui l’opera nel quale si impiegherà il materiale preveda un termine di esecuzione superiore.
Sempre l’art. 41-bis afferma che “le attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico-sanitaria”.
Qualora intervengano delle modifiche alle condizioni e ai requisiti indicati nella dichiarazione del produttore o proponente queste devono essere comunicate entro 30 giorni sia al Comune che all’Arpa competenti territorialmente per il luogo di produzione e di utilizzo.
Il produttore deve anche comunicare alle Arpa competenti l’utilizzo completo dei materiali da scavo indicati nella propria dichiarazione.
Per quanto riguarda il trasporto dei materiali da scavo utilizzati come sottoprodotto l’art. 41.bis prescrive che essi siano accompagnati dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto oppure dalla scheda di trasporto di cui agli artt. 6 e 7-bis del d.lgs. 286/05 e s.m.i.
 
In conclusione, per maggiore chiarezza su cosa intenda il legislatore per “materiali da scavo”, è opportuno richiamare le definizioni riportate nell’art. 41-bis, comma 1 della l. 98/2013, il quale fa riferimento alle definizioni riportate all’art. 1, comma 1 del d.m. 161/2012.
In base a tali norme per materiali da scavo si intende:
·       il suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivante dalla realizzazione di un’opera (es. scavi, trivellazioni, infrastrutture);
·         i materiali litoidi in genere provenienti da escavazioni (ad es. effettuate negli alvei, nei corpi idrici superficiali, nelle aree golenali dei corsi idrici, nei fondali lacustri);
·         i residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un’opera e non contenenti sostanze pericolose.

I materiali da scavo possono contenere anche materiali come calcestruzzo, bentonite, PVC, vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato, purchè non vengano superate le concentrazioni massime di inquinanti previste dal d.m. 161/12.