Data Pubblicazione:

La prevenzione sismica dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980

Attraverso un approfondimento dell'ing. Paolo clemente di ENEA si ripercorre tutta l'evoluzione della normativa sismica fino ai giorni nostri

23 novembre 1980, ore 19:34:53, una violenta scossa di terremoto scuote l’Italia meridionale. Non esisteva internet, le comunicazioni telefoniche saltavano facilmente come l’energia elettrica e per tutta la notte successiva la radio raccontava la tragedia avvenuta a Balvano, in Basilicata, dove tanti fedeli erano rimasti intrappolati sotto le macerie della parte anteriore e del portale di ingresso della chiesa di S. Maria Assunta, proprio nella disperata corsa verso l’uscita. Lì morirono 77 persone, di cui 66 tra bambini e adolescenti. L’evento ha segnato per sempre la storia di quel paesino e di tante persone e famiglie. 

Balvano era soltanto uno dei pochi comuni raggiungibili immediatamente dopo l’evento, molti lo sarebbero stati soltanto diverse ore o addirittura alcuni giorni dopo. A tremare per circa 90 secondi, infatti, era stata un’ampia area della Campania e della Basilicata e gli effetti furono sentiti lungo lo stivale, in tutto il centro-sud della penisola (Figura 1). Il più severo terremoto della storia dell’Italia, dopo quelli di Messina e Reggio Calabria del 1908 e di Avezzano del 1915, fu caratterizzato da una magnitudo pari a 6.9, epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania e avrebbe causato circa 3000 vittime, 9000 feriti e 400000 sfollati, interessando in modo significativo città come Avellino, Potenza, Salerno, Benevento, Matera, Caserta e perfino Napoli, dove molti vecchi edifici furono gravemente danneggiati e crollò un palazzo in via Stadera causando 52 vittime. Secondo una stima del CNI, gli stanziamenti per la ricostruzione, attualizzati, hanno superato i 50 miliardi di euro. 

Molte le frasi dell’epoca rimaste famose: dal “Fate presto”, ben noto titolo de Il Mattino, al “mai più” del Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti, fino al “saranno i fatti che contano” del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, giunto sui luoghi prima dei soccorsi, come lui steso denunciò. Il governo nominò Commissario Straordinario Giuseppe Zamberletti, che pose le basi per la costruzione di una moderna protezione civile in Italia, i cui frutti sono oggi ben visibili. 

Il terremoto dell’Irpinia ha costituito un vero spartiacque nella storia dell’ingegneria sismica in Italia. Che cosa si è fatto da allora? Che cosa rimane ancora da fare? La risposta dopo una rapida disamina del quadro tecnico e normativo.  

Le norme tecniche nel 1980 e le successive evoluzioni 

Pochi anni prima del sisma dell’Irpinia era stata approvata la Legge n. 64 del 2 febbraio 1974, una pietra miliare nel percorso delle norme tecniche in Italia, che stabiliva alcuni principi generali, anche di carattere tecnico, e affidava ad appositi Decreti Ministeriali il compito di disciplinare i diversi settori delle costruzioni, garantendo inoltre un più agevole aggiornamento successivo delle norme stesse nonchè della classificazione sismica, che doveva procedere sulla base di comprovate motivazioni tecnico scientifiche. Così, negli anni seguenti, sono state prodotte norme tecniche relative ad edifici, ponti, dighe e alle indagini sui terreni di fondazione, senza dover ricorrere allo strumento della Legge. È stato inoltre previsto un sistema di controlli e di repressione delle violazioni particolarmente incisivo nelle zone sismiche, la cui efficacia tuttavia si è progressivamente ridotta a seguito della possibilità introdotta dalla Legge 741/81 di snellire le procedure di controllo attraverso metodi a campione. 

Shake map del terremoto del 23 novembre 1980

Figura 1. Shake map del terremoto del 23 novembre 1980 (U.S. Geological Survey). 

 

Per gli aspetti sismici, col D.M. 3 marzo 1975Approvazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” fu definita la nuova mappa di pericolosità sismica di base, nella quale appena il 25% del territorio era classsificato sismico (Figura 2a), distinguendo due livelli di pericolosità, furono recepite tutte le indicazioni precedenti in relazione ai requisiti delle costruzioni in zona sismica e fu introdotta l'analisi dinamica delle strutture con spettro di risposta (Figura 3b): l'azione sismica poteva essere schematizzata mediante forze statiche orizzontali ricavate dall'analisi dinamica modale e semplicemente variabili approssimativamente con legge lineare lungo l'altezza, al fine di simulare il primo modo di vibrazione. Si teneva così conto del comportamento dinamico della struttura. In precedenza la quantificazione delle azioni sismiche si ispirava ancora al D.L. 5 novembre 1916 (TU) n. 1526 (Figura 3a), che seguì il terremoto di Avezzano del 15 gennaio 1915 e prevedeva un sistema di forze a ciascun impalcato proporzionali alle masse dell’impalcato stesso. 

I terremoti del Friuli, con le due scosse del 6 maggio 1976 e quelle del 15 settembre 1976, e soprattutto il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980 riportarono la questione sismica all'attenzione nazionale e si avviarono numerosi studi per il miglioramento sia della classificazione sia delle norme tecniche. Con il D.M. 7 marzo 1981 e il successivo D.M. 3 giugno 1981, che seguirono proprio il terremoto dell’Irpinia, il 43% del territorio nazionale fu classificato sismico; con il secondo D.M., in particolare, fu introdotta la zona sismica di terza categoria (caratterizzata da un grado di sismicità inferiore, Figura 2b), che includeva diversi comuni delle provincie di Napoli e di Salerno e, in seguito, anche il comune di Roma. 

 

Classificazione sismica nei vari decreti

Figura 2.  Classificazione sismica: (a) D.M. 3 marzo 1975: (b) D.M. 7 marzo 1981 e 3 giugno 1981, (c) OPCM 3274/2003. 

Intanto sin dalla seconda metà degli anni settanta si era sentita la necessità di razionalizzare la zonazione sismica del territorio nazionale, evoluta per aggregazioni successive di Comuni interessati da nuovi eventi sismici e, pertanto, contenente “buchi” assolutamente ingiustificabili. La Commissione per la Riclassificazione Sismica, istituita in quegli anni presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, recependo i risultati del Progetto Finalizzato Geodinamica del C.N.R., stabiliva per la prima volta dei criteri generali, validi per tutto il territorio nazionale, con i quali provvedere all’iscrizione dei Comuni negli elenchi di classificazione. 

In paralello, i decreti previsti dalla legge 64/1974 si susseguirono fino al 1996, anno in cui vennero emanate pressoché contemporaneamente le norme per le costruzioni in zona sismica (D.M. 16 gennaio 1996), quelle per le costruzioni in c.a., c.a.p. e acciaio (D.M. 9 gennaio 1996) e le norme sui carichi e sovraccarichi (D.M. 16 gennaio 1996) con vari miglioramenti (per esempio una maggiore attenzione agli elementi non strutturali). 

Un significativo passo in avanti, però, ci fu soltanto a seguito di un ennesima tragedia: il 31 ottobre 2002 un violento terremoto provocò il crollo dell'istituto scolastico pluricomprensivo di San Giuliano di Puglia, in Molise, causando la morte di 27 bambini e una maestra. Il territorio comunale di San Giuliano di Puglia risultava una "isola" non classificata come sismica in un mare di comuni sismici. L'impatto sull'opinione pubblica fu notevole e in pochi mesi vennero riviste sia la classificazione che le norme tecniche. Con l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, che recepì gran parte delle indicazioni della normativa europea (Eurocodice Sismico 8), vennero introdotte significative modifiche all'assetto normativo: 

tutto il territorio fu classificato sismico, inserendo la zona 4, a sismicità molto bassa (Figura 2c) e vennero definite le azioni sismiche attraverso gli spettri elastici e di progetto (Figura 3c); 

• fu consentito soltanto il metodo di calcolo agli stati limite e fu previsto e regolamentato l'uso di moderne tecnologie antisismiche, quali l'isolamento sismico e la dissipazione di energia. 

In realtà all'OPCM n. 3274/2003, successivamente aggiornata con l'OPCM 3431/2005, seguì un periodo di caos, in cui erano vigenti sia le vecchie norme che le più recenti, con ampia possibilità di scelta da parte del progettista, e nel 2005 il Ministero delle Infrastrutture pubblicò anche le Norme Tecniche per le Costruzioni (D.M. Infrastrutture 14 settembre 2005) che hanno rappresentato il primo tentativo di raccogliere in un unico volume tutte le norme tecniche. 

PER APPROFONDIRE LEGGI ANCHE

Isolamento sismico: passato, presente e futuro

Tentativo che, invece, andò in porto qualche anno dopo, quando a seguito del terremoto dell'Aquila del 6 aprile 2009, entrarono in vigore, sostituendo tutte le norme precedenti, le nuove "Norme Tecniche per le Costruzioni" (NTC-2008), aggiornate poi dalle NTC-2018 con la successiva Circolare applicativa 7/2019 del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici. Queste inglobano in un testo unico tutte le norme tecniche, comprese quelle sismiche, comprendendo sia la nuova mappa di pericolosità sismica di base sia la normativa tecnica, che definisce i criteri per assicurare alle strutture una vulnerabilità sismica bassa. 

Si comprende facilmente che gran parte del costruito in Italia non rispetta le attuali norme tecniche per le costruzioni e ciò vale sia per l’edilizia pubblica sia per quella privata.  

 

Forze statiche simulanti l'azione sismica

Figura 3.  Forze statiche simulanti l'azione sismica secondo (a) il D.L. 5 novembre 1916 (TU) n. 1526 (G = carichi permanenti, Q = carichi variabili) e (b) il D.M. 3 marzo 1975 (Fhi = C·R·ε·β·γi·Wi, C = (S-2)/100, S = 12 (zona I) o 9 (zona II), ε = coeff. suolo (1,0¸1,3), β = fattore struttura (1,0¸1,2), Wi = Gi·s Qiγi = zi·ΣjWj / ΣjzjWj). (c) spettri di risposta elastico Se e di progetto Sd secondo l’OPCM-2003. 

Mai più? 

Dopo il terremoto del 1980 c’è stata una lunga calma sismica: il primo terremoto di un certo rilievo è avvenuto nel 1997, con una sequenza che ha interessato Umbria e Marche per diversi mesi. Questo periodo di 17 anni avrebbe potuto essere utilizzato per avviare un serio piano di prevenzione e, invece, ha contribuito a far perdere memoria di quello che era successo. Ancora una volta il terremoto ci ha trovati impreparati e nei comuni colpiti abbiamo rivisto scene analoghe a quelle del terremoto dell’Irpinia. 

Gli eventi principali successivi si sono susseguiti a pochi anni l’uno dall’altro. Anche nell’ultima sequenza sismica, che ha interessato l’Italia centrale nel 2016, edifici in muratura irregolare e orizzontamenti con connessioni poco efficaci alle strutture verticali e altro ci hanno ricordato le immagini viste in Irpinia, abbiamo scattato tante foto identiche o quasi a quelle che avevamo già nel cassetto. Ad Amatrice non abbiamo rivissuto la stessa tragedia di San Giuliano di Puglia perché il sisma è avvenuto a scuole chiuse (la notte che precedeva il 24 agosto 2016). Il terremoto di Norcia del 30 ottobre 2016, di magnitudo 6.5, ha fatto rivivere le paure dell’Irpinia: in realtà non ha provocato vittime soltanto perché, a causa delle scosse precedenti, molti edifici era già stati dichiarati inagibili e le zone colpite erano state già evacuate. Ma si pensi a che cosa sarebbe potuto succedere se quella fossa stata la prima scossa improvvisa e se fosse accaduta durante l’orario scolastico. 

In alcuni casi, come in Umbria già colpita dal terremoto della Valnerina nel 1979, abbiamo visto come gli interventi eseguiti non fossero sempre appropriati. L’errore principale è stato quello di aver preteso di applicare agli edifici esistenti gli stessi concetti e le stesse tecniche che si stavano sviluppando per gli edifici di nuova realizzazione. Si pensi, ad esempio, all’inserimento di cordoli e solai pesanti e rigidi negli edifici in muratura, nati invece con leggeri solai a travi di legno o metalliche (Figura 4). Tali interventi impropri hanno, a volte, condannato definitivamente edifici e strutture di interesse storico. 

Crollo (quasi) completo di un edificio con copertura pesante

Figura 4.  Crollo (quasi) completo di un edificio con copertura pesante

NTC-2018: qualche aspetto su cui intervenire 

Con orgoglio possiamo affermare di avere una delle norme tecniche più avanzate al mondo, anche con riferimento alle costruzioni in zona sismica. Certo, tutto è migliorabile e dovrà essere migliorato al passo con i risultati della ricerca e gli sviluppi della tecnologia, ma possiamo affermare che abbiamo sufficienti conoscenze per progettare e costruire strutture idonee a sopportare le azioni statiche e sismiche e che tali conoscenze trovano riscontro nelle Norme Tecniche per le Costruzioni che, si ricorda, in Italia hanno forza di legge.
La sfida, che purtroppo dobbiamo ancora affrontare compiutamente, è quella delle costruzioni esistenti che rappresentano il vero problema della sicurezza nel nostro paese. Preso atto che non è pensabile la demolizione e ricostruzione di gran parte del patrimonio edilizio esistente, sia per motivi economici ma, in molti casi, anche e soprattutto per motivi storici e culturali, ricerca e tecnologia devono trovare le soluzioni più idonee per conservare l’esistente senza rinunciare ai necessari requisiti di sicurezza, soprattutto per gli edifici di particolare rilevanza e strategici. 

Le NTC-2018, come già le NTC-2008, dedicano un capitolo alle costruzioni esistenti. Non si scende in dettaglio sui vari aspetti, di cui si è già discusso in precedenti articoli riportati in bibliografia cui si rimanda per approfondimenti, ma si ricorda che va distinto l’aspetto statico da quello sismico. Per quanto riguarda il primo, le NTC-2018 hanno introdotto l’indice di sicurezza statico ( (γ'Q1 Qk1)C = carico variabile che porta la struttura allo SLU, (γQ1 Qk1)D = carico variabile di progetto allo SLU per le nuove costruzioni):  forze-sismiche-formula-1.JPG

che deve essere ≥ 1; se ζV

Per le azioni statiche, quindi, le norme sembrano non ammettere sconti. In realtà, nella verifica allo SLU, è possibile assumere moltiplicatori dei pesi propri e dei sovraccarichi permanenti ridotti rispetto a quelli prescritti per le nuove costruzioni (rispettivamente pari a 1.3 e 1.5) purché giustificati da approfondite indagini sperimentali sui dettagli costruttivi e sui materiali. Va osservato, al riguardo, che per un edificio in muratura raramente si può raggiungere un livello di conoscenza elevato, sia per la variabilità dell’efficacia delle connessioni tra le pareti e tra orizzontamenti e strutture verticali sia per la variabilità della consistenza di pareti e solai, oltre che per la variabilità delle caratteristiche meccaniche dei materiali. 

Per quanto riguarda l’aspetto sismico, va preliminarmente ricordato che, per le nuove costruzioni, le NTC-2018 prescrivono di assumere un terremoto di progetto cha ha una certa probabilità di superamento in 50 anni (valore convenzionale di riferimento): 10% per gli edifici ordinari, 7% per quelli di particolare rilevanza (come scuole, ospedali, …), 5% per le strutture strategiche (con scopi di protezione civile). I valori sono relativi a una vita nominale pari a quella minima di 50 anni. Per le strutture esistenti, le NTC-2018 hanno introdotto l’indice di sicurezza sismico ( (ag S)C,SLV= azione sismica che porta la struttura allo SLV,  (ag S)D,SLV= azione sismica di progetto allo SLV per le nuove costruzioni):  forze-sismiche-formula-2.JPG

Al contrario di quello statico, l’indice ζE può essere anche E = 0.6, per le altre strutture un incremento minimo di 0.1. 

In definitiva, per le costruzioni esistenti, le norme accettano che non sia soddisfatta la verifica sismica ma non impongono un valore minimo dell’indice di sicurezza. L’aspetto dirimente è soltanto quello statico: questo è un punto da rivedere se si vuole favorire il miglioramento sismico e la sicurezza delle costruzioni, abitazioni, edifici scolastici e altro. 

Negli anni scorsi si era diffuso il criterio di misurare la sicurezza di un edificio esistente valutando la vita nominare restante (VNR), procedendo a ritroso, dal tempo di ritorno TR corrispondente all’azione sismica che porta l’edificio al suo SLV.

La NTC non hanno recepito questo criterio, e si concorda su tale scelta, ma si ritiene utile valutare come varia il vero indice di sicurezza ζE, prima richiamato, per valori della vita restante minori della minima prevista dalle NTC per le nuove costruzioni, ossia 50 anni. Il diagramma è riportato in Figura 5 per un edifico ordinario, e si vede come l’indice di sicurezza, pari all’unità per VRN = VN = 50 anni, si dimezzi per VNR = 10 anni e scenda a valori inferiori a 0.3 per VNR pari a circa 3 anni (valore legato al minimo TR previsto dalle NTC). Ovviamente, la probabilità di superamento in VNR, PVNR, dell’evento corrispondente a TR = 9.5*VNR, è sempre pari al 10%, mentre al diminuire di VNR cresce notevolmente la probabilità P50 di superamento nei 50 anni. 

Indice di sicurezza e probabilità di superamento in funzione della vita nominale restante

Figura 5.  Indice di sicurezza e probabilità di superamento in funzione della vita nominale restante (o tempo di intervento).

 

Per continuare la lettura SCARICA IL PDF

Allegati