La proposta di legge urbanistica della Regione Emilia: La rivincita dei burocrati
Man mano che procedevo nella lettura (faticosa) della nuova legge urbanistica dell’Emilia sempre più mi veniva alla mente un illuminante apologo di Borges – pubblicato nel frammento Del rigore della scienza, l’ultimo della Storia universale dell’infamia (Il Saggiatore, 1961) – dove si racconta la storia di un imperatore cinese che nell’intento di controllare minuziosamente il suo vastissimo impero fece fare dai suoi cartografi delle mappe sempre più grandi, fino all’ultima che per essere più veritiera raggiunse la scala 1:1. Mappe che naturalmente i suoi successori saggiamente lasciarono esposte alle intemperie fino alla completa decomposizione. Da questo perverso disegno sembra nata la proposta di legge presentata recentemente dall’Assessorato all’urbanistica regionale: regolamentare ogni pensiero, ogni intrapresa, ogni atto dei sudditi perché sia allineato con il disegno imperscrutabile del moloch burocratico. Ben 65 pagine e 73 articoli sono dedicati a questo scopo. Quando per fare una buona legge ne basterebbe meno di un terzo.
Il linguaggio è in stretto urbanistichese, incomprensibile al volgo, tanto gli estensori coscienti del difettuccio prescrivono che in diversi casi i progettisti debbano redigere relazioni “in linguaggio non tecnico, ossia come parla la gente comune.
Sono convinto che il disegno non riuscirà. Conosco bene le assessore all’urbanistica dei comuni emiliani, senza dubbio si tratta delle migliori amministrazioni in Italia. Lo stesso si può dire dei funzionari che gestiscono gli uffici comunali; con la Toscana la migliore classe burocratica del paese. Comunque è bene fare attenzione, le vie del maligno sono infinite.
In realtà cosa si è fatto? Si è confezionato un (buon) manuale di urbanistica e lo si è sanzionato in forma di legge; non sapendo che in tal modo tutto quello che costituisce il background del buon amministratore – dalla coscienza civica ai cultura dell’agire quotidiano - rischia di essere soffocato da una pletora di regole minuziose ed ossessive, che per di più impediscono ogni ricerca ed avanzamento della disciplina. Il tutto in un periodo storico che gli addetti ai lavori considerano una rivoluzione copernicana: i vecchi sistemi di pianificazione sono obsoleti e non servono più, occorrono strumenti più semplici e flessibili, dare spazio alla ricerca, all’innovazione ed alla sperimentazione. In pratica si è fatto tutto il contrario.
Detto questo – mi sembra che basti – non bisogna mai buttare via il bambino con l’acqua sporca. Le cose positive ci sono, e non sono poche.
Dati i limiti di spazio ci limitiamo a citare solo alcune delle più interessanti.
- Consumo di suolo (artt. 5-6). La definizione della quota massima di consumo di suolo ammissibile viene fissata nel 3% della superficie urbanizzata, abbandonando le incongrue e folli procedure proposte dal DDL nazionale 2039/2013. Non sembrano però specificate le misure con le quali raggiungere l’obiettivo e guidare la riduzione della capacità insediativa dei piani vigenti.
- Rigenerazione urbana (artt. da 7 a 16). Vengono introdotti nuovi (ed inutili) concetti come Qualificazione edilizia ed Addensamento urbano. Pur essendo le misure largamente condivisibili si può fare di più; nel merito si richiama il Vademecum Nazca presentato nel recente Urban Promo.
- Perequazione (art. 8). Si ravvisa ancora una eccessiva fiducia nella perequazione che con la crisi del mattone ( e quindi anche del metro cubo) ha perso gran parte del suo appeal e della sua efficacia.
- Sostenibilità ambientale (artt. da 17 a 22). Si avverte il tentativo (lodevole) di evitare che le valutazioni ambientali diventino una alternativa ( o inversamente un doppione) della pianificazione urbanistica. Non mi esprimo nel merito.
- Pianificazione comunale (artt. da 29 a 36). Finalmente arriva la soppressione del doppio livello di pianificazione comunale, sostituito dal nuovo PUG (Piano Urbanistico Generale); si sentiva proprio il bisogno di una nuova sigla. Anche se il testo non è molto chiaro, sembra che il PUG sia conformativo per il patrimonio esistente ed indicativo per le trasformazioni urbani. Ottimo. La transizione tra il vecchio e nuovo regime dovrebbe però avvenire in modo soft senza dover necessariamente mettere in cantiere un nuovo piano ma con semplici varianti ai piani vigenti.
- Accordo operativo (art. 37). Per gli interventi di riuso si introduce l’accordo operativo che sostituisce il vecchio Piano attuativo. Non essendo conformativo il PUG i contenuti sono oggetto di negoziazione, e l’approvazione non costituisce variante al piano generale. Ottimo.
- Pianificazione territoriale (artt. 39-40). Non sembra ben chiarito il ruolo dei Piani di area vasta, da usare comunque come piani a geometria variabile e con parsimonia, solo dove se ne ravvisi la necessità.
- Semplificazione delle procedure e della strumentazione (artt. da 41 a 51) Nonostante la buona volontà non sembra che ci siano miglioramenti sostanziali rispetto al regime attuale.
- Strumenti negoziali (artt. da 55 a 58). Ottimi ed abbondanti.
- Paesaggio (artt. da 59 a 68). Bene l’unificazione del Piano paesaggistico con il Piano territoriale, che dovrebbe evitare le contraddizioni e contrapposizioni che purtroppo sempre si verificano tra i due strumenti. Però la materia è disciplinata da normativa nazionale, e più di tanto non si può fare.
Conclusione.
Rimane un giudizio sufficiente sulle proposte essenziali, che si scontra però con la necessità di rivedere e riscrivere la legge, eliminando le pagine non essenziali e ridondanti che costituiscono la quota preponderante del documento, e riducendo all’essenziale la parte normativa. Ma soprattutto una legge connotata da un atteggiamento di fiducia nelle amministrazioni locali, che lasci ampio spazio alla flessibilità ed alla sperimentazione: se non lo fa l’Emilia, chi altro? . Anche la forma ed il linguaggio devono diventare requisiti sostanziali del nuovo corso.